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sabato 16 maggio 2015

Vittoria, Città di frontiera.


Rileggo il passo scritto da Sciascia “... Vittoria è come un paese di frontiera: ne ha l'animazione, la mescolanza, l'ambiguità, la contraddizione. Era l'argine contro cui si spegnevano, non senza qualche impennata, le ondate mafiose. Forse più di una breccia in questi anni si è aperta: ma l'impressione della frontiera rimane ancora oggi. Ho il pregiudizio che non soltanto sappiamo di star valicando il confine tra la sicilia sedicente "sperta" ... e la Sicilia che da quella "sperta" è definita "babba".

Una frase mi resta impressa, soprattutto perché è declinata al passato: “Era l'argine in cui si spegnevano, non senza qualche inpennata, le ondate mafiose”. Eravamo una ostacolo, ma abbiamo rimosso i blocchi, gli anticorpi si sono indeboliti e siamo stati infettati definitivamente dalla cultura mafiosa. Difatti, la città via via negli anni, è scesa sempre più in basso senza mai toccare il fondo. Il masso, la zavorra che ci sta trascinando giù è una criminalità organizzata autoctona, capace di relazionarsi con altre criminalità. La stessa si evoluta ed è mutata con la stessa velocità con cui si è evoluta ed è mutata la nostra società.
Negli anni ’80 e ’90, i clan erano macro-organizzazioni che assemblavano a se ogni forma di criminalità e non tolleravano, stroncando violentemente sul nascere, ogni tentativo di disobbedienza o di attentato alla loro supremazia. Oggi, la nuova criminalità organizzata ha cambiato atteggiamento, ha avviato una sorta di flessibilità, di precarietà del crimine. Non sente più come in passato la necessità di costituirsi in una macrostruttura evidente, non tiene a libro paga i propri affiliati. Troppa visibilità. Troppi costi. Meglio vivere nell'ombra e controllare senza rischiare.

Può succedere che lo spaccio delle droghe (attività principale di tutte le mafie) venga affidato, come una sorta di franchising, agli extracomunitari. Si rischia poco, il guadagno è abbondante e sicuro, ma soprattutto l'opinione pubblica individua come responsabili principali di questa piaga sociale gli “immigrati” che da tempo sono percepiti come una questione di ordine pubblico (specie in una società come la nostra indebolita economicamente e culturalmente dalla crisi).
La mafia ha però sempre il solito problema, dove e come reinvestire i soldi. Può accadere che i proventi delle attività illecite vengano investiti in attività imprenditoriali di servizio all'economia legale. E così che volto criminale e violento della Cosa Nuova si attenua e affiora invece l'aspetto “gentile e imprenditoriale”? La criminalità organizzata sa che negli affari si guadagna e si perde, ma la stessa non vuole perdere mai. Le imprese criminali cercano la certezza del monopolio. Le regole sono per i deboli, bisogna controllare l'economia. Per mettere in moto queste dinamiche bisogna abbandonare i vecchi metodi. Ad esempio, l'idea di pizzo, da violenta e odiosa imposizione, dovrebbe trasformarsi in conveniente prestazione professionale. In questo caso la possibile vittima del racket verrebbe trasformata in cliente a cui fornire un ottimo servizio, ma soprattutto per attirare tanti clienti, per avere il monopolio, le prestazioni devono essere molto vantaggiose economicamente. L'economia criminale da tempo ha compreso che i costi di alcuni processi lavorativi delle imprese che operano nella legalità sono diventati poco sostenibili. Se si riesce ad offrire la possibilità di ridurre questi costi, si possono creare realmente le condizioni di monopolio. E' forse così che l'economia criminale prova a penetrare l'economia legale? Come è possibile che una prestazione se svolta dall'impresa legale ha un costo, se invece viene conferita a “terzi” lo stesso si riduce? Il servizio viene svolto nel rispetto delle norme ambientali, lavorative, previdenziali e fiscali? Da questa breve analisi emerge in modo evidente come queste forme di “esternalizzazione” vadano incontro alle esigenze dell'impresa sana. Infatti, la stessa non si porrebbe il problema di chi offre il servizio e di come si possano ridurre le spese, alla stessa interessa che il servizio sia fatto bene e soprattutto costi poco. Se tutto questo avviene si creano le condizioni perfette: la mafia si fa impresa, il pizzo diventa servizio, l'impresa sana abbatte i costi. E' così che si generano cont(r)atti bilaterali perfetti? E' così che i rapporti economici tra legale e illegale si consolidano? E' possibile che questi rapporti da economici diventino personali? E' così che si diluiscono i confini tra legale e illegale?

Al centro di queste vortice di punti interrogativi ci sta la Vittoria “buona”, la così detta “società civile” che parla tanto di legalità ma dimentica spesso come la legalità è corresponsabilità. Questa parte della città pare che nasconda a se stessa come le nuove forme di criminalità economica possano essere in grado di creare economia e influenzarla sia nel territorio, sia fuori dal territorio e quindi di formare una ricchezza che non genera sviluppo e progresso. La domanda che tutti dovremmo porci è: forse questa ricchezza crea punti di contatto tra i vari strati sociali della città?

In una terra di “frontiera” capire i meccanismi d'affermazione dell'impresa criminale significa comprendere come funzionano le dinamiche economiche e sociali del territorio. Schierarsi contro questa economia diventa la prima azione vera per affermare la legalità autentica. Conoscerne l'evoluzione, avviando forme di contrasto, non è solo un impegno morale ma è una necessità che ci permette di cominciare a ricostruire “l'argine” che restituisca dignità a Vittoria.