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sabato 28 luglio 2018

VITTORIA RIPARTE SE RIPARTE IL LAVORO LEGALE E PRODUTTIVO


Il Consiglio Comunale di Vittoria sciolto per mafia. Nessuna sorpresa, non prendiamoci in giro, la notizia era nell’aria da tempo. Ieri mattina alcuni amministratori sembravano già preparati all’evento: “oggi c’è il consiglio dei ministri forse accadrà qualcosa ...”. e infatti quel qualcosa è accaduto. Mai come ora essere “vitturisi”, scegliere di vivere in questa città, significa combattere per farla rinascere.
Secondo gli inquirenti qui si è consolidato un grumo di potere che ha condizionato i processi sociali, economici e politici di questa città. Un coagulo di interessi che ha assoggettando in primis il lavoro. Se c’è una battaglia da iniziare, e subito, è quella di dissolvere questo grumo liberando per prima il lavoro - qualsiasi forma di lavoro (quello dei piccoli imprenditori come quello dipendente) - da una costrizione diventata oramai asfissiante.
Si dice che il lavoro rende liberi. Qui, negli ultimi dieci anni, il lavoro ha creato miseria e schiavitù. Ho visto decine di produttori agricoli impoverirsi lavorando, mentre altri soggetti si arricchivano grazie al loro lavoro. Ho visto dove è finita quella ricchezza. L'odore del successo, della conquista, sta nel cemento, nei mattoni, nelle lottizzazioni, ma soprattutto nella capacità di utilizzare, di sfruttare, i tanti piccoli imprenditori artigiani su cui tagliare il prezzo delle loro manodopera e scaricare responsabilità e rischi. Quando guardo i tanti edifici nati in questi anni sento le voci di chi li ha costruiti senza guadagnarci nulla, anzi è stato travolto dalla crisi proprio come i serricoltori. Ho visto l’affermarsi di ogni forma di caporalato e di schiavitù. E’ stato così! Mentre il corpo economico sano della città veniva divorato dall’avidità e dalla crisi, l’economia criminale, la mafia, con i suoi soldi si impadroniva del territorio senza nessun contrasto. Entrava nel salotto buono della città, si imborghesiva, e grazie ai servigi di tanti tecnici e consulenti di vario genere riciclava il denaro fatto illegalmente. Per essere ancora più chiaro il ruolo espansivo della mafia e delle sue economie è stato possibile grazie ad una società (in)civile che ama sguazzare nell’illegalità. Gli assessorati e i percorsi alla legalità erano foglie di fico tristi e appassite.


Il commissariamento riuscirà a disgregare questo grumo? Non lo so! Lunica cosa che so è che troppi giovani fuggono da questa città in cerca di un lavoro dignitoso e - se è vero che il lavoro rende liberi - in cerca di libertà. Ridare dignità vera al lavoro, è’ questo l’elemento centrale. I giovani fuggono perché qui non c’è futuro, corrono via in cerca di riscatto. Se questa città non riscopre il valore del lavoro legale e produttivo, se non abbandona le vecchie logiche, se non riconverte ecologicamente il suo “modello di sviluppo”, se non punta ad una seria riqualificazione del territorio; Vittoria, la nostra città, resterà una luogo mafioso e senza futuro. Il commissariamento sarà una delle tante cicatrici su un volto già abbondantemente sfigurato. 
Conosciamo fatti e dinamiche, ora è venuto il tempo di contrastarli in modo chiaro e determinato, senza se e senza ma. Ora è il tempo di separare il grano dal loglio. Viceversa, saremo complici.

sabato 7 luglio 2018

COME I "PAPACCI"



 L'Aplisia volgarmente detta "u papacciu o minchia di mare"

La domenica mattina, soprattutto ora che è inizio estate, è bello alzarsi presto per andare a prendere il caffè in uno dei bar di fronte al mare di Scoglitti. Forse sarà un caso, ma di prima mattina, nei bar, si incontrano sempre le persone più schive ma vere, quelle che ti salutano per il piacere di salutarti e con cui è sempre gradevole fermarsi per scambiare qualche parola. Il quotidiano locale, acquistato pochi minuti prima dal titolare dell’esercizio, giace immacolato sul bancone e chi lo prende sfoglia i tomi con delicatezza, proprio ad evitare che si stropiccino le pagine.
Domenica scorsa subito dopo l’alba ho rinnovato il rito settimanale. Mentre a casa tutti dormivano mi sono alzato e in silenzio mi sono preparato per uscire in bici. Pedalando lungo la riviera apprezzavo la calma di quell’ora e la bellezza dei nostri arenili. Nelle vicinanze del porto il profumo della pasta sfoglia dei cornetti appena sfornati aveva saturato l’aria di quella zona. Entro al bar e ordino il mio caffè. Seduto in angolo c’è “Nino u piscaturi” (il nome è di fantasia, la professione no) che sfoglia il quotidiano con attenzione. Lui non mi ha ancora visto. Intanto il caffè mi viene servito, bevo l’acqua, verso un po di zucchero nella tazzina, prendo il cucchiaino e lo intingo nelle crema per mescolare lo zucchero. Il leggero tintinnio che crea quel gesto distrae Nino dalla lettura, si gira verso di me ed esclama:
- Ah tu sei!! ... Minchia di casino che tieni con quel cucchiaino … pensavo che stamattina manco ti facessi vedere.
Lo salutai,  mentre cominciavo a sorseggiare il caffè mi avvicinai a lui. Ero curioso di vedere cosa stava leggendo.
- Chi porta u giurnali Ninu’?
La sua risposta fu secca:
- E chi po’ purtare, MINCHIATE!
Allungai l’occhio per vedere meglio su quale pagina del quotidiano si era soffermata la sua attenzione. Vidi la foto di una nave militare, accanto ad essa un gommone mezzo sgonfio carico di persone.
- Immigrati! ... Ninù, è l’argomento del momento. Non si parla d’altro che di questi disperati che sperano di arrivare da noi.
-NO!! Non si parla mai dei tantissimi che non arriveranno mai. MAI!!
La durezza della sua risposta mi incuriosì:
-In che senso Ninù?
-Nel senso che la costa libica e lunga quasi 2000 km, la costa tunisina 1200 Km, e questi disperati non partono solo da un punto. Ogni giorno partono diversi gommoni, da più zone, e molti di questi non arrivano neanche a vederle le coste di Malta o della Sicilia.
- Cioè, mi stai dicendo che secondo te i morti in mare sono molti di più di quelli che ci raccontano i giornali e telegiornali?
-Ti sto dicendo che quando andiamo a pescare al largo, di pesce ne tiriamo su poco rispetto a prima. Però, tra le reti, rimane sempre incagliato un corpo o parti di un corpo umano. La cosa che fa più impressione è il rumore che fa quellacosa” nera e gonfia d’acqua quando sbatte sullo scafo. Hai presente il rumore che facevano “i papacci  ... le minchie di mare” quando da piccoli li predavamo e li facevamo saltare, con un gesto veloce delle mani, dall’acqua al bagnasciuga? Quel “bloff” ... che per certi versi ci faceva anche ridere? Ecco, quello è il rumore che fanno i morti annegati. Tiriamo su pezzi di uomini, di donne, di bambini … e mentre cerchiamo di liberarli dalla rete gli arti si scollano ... e poi quel bloff che è peggio di un pugno sullo stomaco. Dopo sai che facciamo? Ributtiamo ... piangendo e vomitando ... tutto in mare ... come se fosse spazzatura impigliata alle reti. Questo “schifo di tragedia” la compiamo noi ma anche i pescatori di Licata e ancora di più quelli di Mazara del Vallo … da quasi vent’anni.  VENT’ANNI!

Ascoltai quella storia rimanendo immobile e la cosa che mi fece più impressione era come Nino me la raccontava. Nelle sue parole c'era un rabbia sorda, ma soprattutto una freddezza impressionante. Era come se la sua coscienza fosse atrofizzata dall’abitudine di pescare corpi morti in mezzo al mare.

Pagai la mia consumazione, salutai il gestore del bar, abbracciai Nino il quale mi disse: “scenziato, se non muori ci vediamo la settimana prossima”. Salì sulla bicicletta e mi incamminai verso casa pensando al “bloff … dei papacci”.