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sabato 26 gennaio 2019

Risponde don Mario Cascone


Ricevo e pubblico la risposta di don Mario Cascone, vicareo foraneo, alla mia lettera.

Ringrazio Giorgio Stracquadanio per quanto ha scritto nella sua lettera aperta ai sacerdoti di Vittoria, perché ci aiuta a migliorare la nostra azione pastorale e a fare un'autocritica, che è sempre utile. Voglio solo precisare schematicamente alcune cose:
1) La frase "Prete senza scorta" è il titolo del cd musicale di don Rino Farruggio, che è stato eseguito nella serata del 24 gennaio nella manifestazione svoltasi presso la parrocchia Spirito Santo. Ovviamente non abbiamo nulla in contrario verso i preti con la scorta, che sono ammirevoli per la loro azione coraggiosa.
2) Pur potendo di sicuro fare di più, in questi anni abbiamo cercato di essere dentro il vissuto della nostra gente, sforzandoci di costruire una Chiesa che non si limita alle liturgie e alle preghiere, ma si incarna evangelicamente nella vita del territorio con lo stile evangelico del sale e del lievito. Per esempio abbiamo intrapreso un dialogo sia con l'amministrazione Nicosia che con quella di Moscato, istituendo due tavoli di collaborazione sull'agricoltura e sui servizi sociali. Abbiamo realizzato uno sportello di ascolto per quanti versano in difficoltà bancarie o legate al lavoro agricolo. abbiamo incrementato, d'intesa con la Caritas diocesana, l'iniziativa del micro-credito di fiducia, oltre che il servizio civile di numerosi giovani delle nostre parrocchie. Abbiamo appoggiato in particolare gli agricoltori nelle loro azioni di protesta, mettendo a disposizione anche i locali delle nostre parrocchie per dibattiti e incontri. Abbiamo realizzato, d'intesa con l'ufficio diocesano di pastorale sociale e del lavoro, una grossa manifestazione sui problemi agricoli, che si è tenuta l'anno scorso alla Golden hall. Ma soprattutto cerchiamo di svolgere quotidianamente la nostra azione di educazione alla legalità nei confronti dei bambini del catechismo e dei giovani e degli adulti che frequentano le nostre comunità.
3) E' chiaro che possiamo e dobbiamo fare di più. E in questa direzione sono utili le osservazioni di Giorgio Stracquadanio, come lo sono quelle di tutti coloro i quali ci spronano a migliorare la nostra azione pastorale


don Mario Cascone

venerdì 25 gennaio 2019

Lettera ai sacerdoti



Ho pensato a lungo prima di scrivere questo documento ma alla fine la voglia di dire ciò che penso ha prevalso.
I sacerdoti di Vittoria,"ispirati dall'azione educativa del beato Pino Puglisi" hanno organizzato una manifestazione della legalità con special tribute concert dal titolo "don Pino Puglisi - Prete senza scorta". All’evento è stato allegato un documento che ho letto più volte.
Parto dal titolo della manifestazione-musical. Perché risaltare il fatto che don Pino Puglisi era un Prete senza scorta? I preti che sono – purtroppo - sotto scorta hanno qualcosa che non va? E' forse un problema avere una scorta? L’azione antimafia di Don Luigi Ciotti, don Antonio Coluccia, don Luigi Merola - tutti preti impegnati nel contrasto alle economie mafiose e per questo sotto scorta - non è meritoria?
Leggendo poi il documento, ciò che più emerge non è la voglia di riscattare la città ma affiora, soprattutto nella prima parte, in modo prorompente il concetto di “delegittimazione” della città. Mi chiedo: ma prima del commissariamento, Vittoria non era mai stata offesa e delegittimata? Cari amici sacerdoti ma dove siete stati? E' da anni che Vittoria viene ciclicamente squalificata, umiliata, oltraggiata da una lunga sequenza di azioni illegali e mafiose. Non ricordo lettere firmate “Consiglio Pastorale Cittadino” che denunciassero con veemenza le azioni dei gruppi criminali che - loro si - delegittimavano e infangavano la città tutta. Vi chiedo di aiutarmi a rammentare un vostro “impegno educativo” forte, significativo, capace di incidere realmente nel corpo sociale della città e contro le economie mafiose di questa terra. Da cattolico sempre più disorientato posso dire che sui temi del contrasto alle mafie e alle sue economie avete farfugliato? A Vittoria serviva (e serve tutt’ora) una Catechesi della legalità, Vittoria chiedeva (la chiede tutt’ora) una Chiesa in uscita. Alcuni di Voi, a queste richieste, avete risposto chiudendovi, altri si sono arroccati nell’autoreferenzialità. Insomma, in modo diverso, vi siete accontentati di avere le parrocchie piene di fedeli ma con una esigua responsabilità sociale. PERCHE’? Era meglio ignorare certe questioni piuttosto che affrontarle? Ma il Vangelo non è contro ogni forma di oppressione e di ingiustizia?
C’è una parte della vostra lettera che condivido pienamente, però non è stata scritta da voi, l’avete tratta dal messaggio di Natale della Conferenza Episcopale Siciliana. La riporto perché è la cosa più interessante del documento: “i problemi più urgenti da affrontare siano una sano sviluppo economico che rigeneri lavoro e un forte contrasto alla criminalità mafiosa e alla corruzione”. Penso, sommessamente che a Vittoria sia questa la vostra missione, è li che dovevate e dovreste concentrare il vostro impegno pastorale.
Infine, fate bene a rivolgervi al nostro Patrono San Giovanni Battista, “profeta potente della Verità, della Giustizia e della Pace”. Sapete benissimo come Lui si definì: “voce di uno che grida nel deserto”. Ma il deserto di cui Il Battista parla non è un luogo geograficamente aspro, sono le persone, anche quelle di questa città, che nel tempo sono diventate sempre più aride, più smarrite e disperate. Voi che - per vostra vocazione - siete “voce” dovete gridare prima che questo deserto cresca ancora di più.

So bene che queste mie osservazione susciteranno in Voi un certo fastidio e forse una reazione, l’ho messo in conto, Vi chiedo scusa anticipatamente e accetterò le vostre critiche, ma è giusto che sappiate che le ho scritte tenendo sempre a mente una frase di Don Pino Puglisi: "Noi possiamo, dobbiamo criticare la Chiesa quando sentiamo che non risponde alle nostre aspettative, perché è giusto cercare di migliorarla. Ma va sempre criticata come una madre, non come una suocera".

sabato 19 gennaio 2019

Autostrada Ragusa Catania: un'impostura lunga vent'anni.



Quando si parla della Ragusa Catania il pensiero di un qualsiasi cittadino di questa provincia genera immediatamente la frase: “VENT’ANNI CA NI PIGGHIUNU PPI FISSA”, vent’anni che ci prendono in giro. Penso che nella storia recente della progettazione stradale non ci sia una burla più atroce di questa. Oggi leggendo i giornali si apprende l’ultima di tante beffe: “Al CIPE non convince il piano tariffario”. E SE NE ACCORGONO ORA! Ma come, poche settimane fa il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, annunciava in diretta Facebook l’inizio dei lavori, sembrava che tutto dovesse partire a breve e invece lo stesso governo in pochi giorni smentisce se stesso? IERI SI DOMANI NO!?  Ancora una volta viene dimostrato come la storia di quest’opera sia ricca di fatti inconsistenti e di avvenimenti contraddittori. L’unica cosa certa è che in tutta questa girandola di annunci e di rilanci, seguiti da vorticose quanto clamorose marce indietro, chi ci ha guadagnato sono solo certi pezzi di classe politica locale: si sono costruiti una ricca e sfavillante carriera istituzionale. Si può tranquillamente affermare che accanto alla categoria dei professionisti dell’antimafia melodrammatica possiamo affiancare i narratori di patacche infrastrutturali. Per trovare conferma basta sfogliare l’album dei ricordi. Li troviamo vent’anni di foto istituzionali con ministri e sottosegretari di ogni parte politica attorniati da facce giullaresche, pasciute e incravattate. Li si agitano vent’anni di dichiarazioni di inizio lavori rapidi e fattivi come una pugnetta. Li scorrono vent’anni di retromarce clamorose come un coito interrotto. Insomma, li giacciono vent’anni di bugie e di speranze tradite. Nel frattempo l’isola nell’isola è diventata uno scoglio sempre più emarginato e la sua economia non brilla più come un tempo. Il lavoro produttivo, quello che crea reddito vero, fatto dalle piccole imprese, merita o no questi benedetti (maledetti) 68,7 chilometri di strada? La comunità iblea tutta va ripagata con un’infrastruttura che non crei altre vittime si o no? Quanti anni ancora bisogna attendere? Quanti morti dobbiamo ancora contare?
E’ fin troppo evidente: il potere politico di questa provincia si è talmente isolato dalla realtà che tutto ciò che succede e di cui ha bisognoil territorio non lo tacca più. La classe politica di questa terra non è imbelle, NO! E’ volutamente e colpevolmente insensibile. In questi vent’anni lo ha ampiamente dimostrato.
Se vogliamo realmente quest'opera forse è venuto il tempo di organizzarsi in comitati autonomi e liberi dal condizionamento di certe signorie.

martedì 1 gennaio 2019

2 Gennaio



2 gennaio 1999. 2 gennaio 2019. Pare ieri, invece è successo vent’anni fa, quasi un quarto di secolo, il tempo è scivolato velocemente. Pioveva quel pomeriggio, quella pioggia sottile accompagnata da un freddo umido che ti entra fin dentro le ossa. Due persone entrano in un bar di periferia e iniziano a sparare: ammazzano cinque persone. Qualcosa nel meccanismo delle mafie di questo pezzo di Sicilia si era rotto? No! Il 2 gennaio ‘99 non è solo la data di un brutale regolamento di conti che ha oltraggiato una città. Quella data rappresenta uno spartiacque, certifica la nascita di una nuova era criminale. Nella mafia ogni cambiamento è caratterizzato dallo spargimento di sangue, il solo liquido che le mafie utilizzano per battezzare qualcosa di nuovo.

Era Il 9 settembre del 1983 quando don Giuseppe Cirasa, il boss legato alla mafia perdente, veniva ammazzato in una trazzera di c.da Zafaglione per ordine dei Gallo, i boss emergenti di cosa nostra. Finiva nel sangue l'epoca del contrabbando di sigarette;  iniziava, grazie a quel sangue, l’era del controllo violento e asfissiante del territorio attraverso il racket e lo spaccio delle droghe. Ma questa nuova signoria durerà poco, troppe sono le incomprensioni all’interno del nuovo gruppo criminale. Nella nuova compagine c’è chi ha tanto (i Gallo) e chi ha poco (i Carbonaro). E così, tra febbraio e giugno del 1987 Vittoria sale al centro delle cronache nazionali. I "ribelli", in meno di quattro mesi sterminano la famiglia Gallo e da li in poi soffocheranno nel sangue, tutti i contatti con quelle frange che non si piegherano alla nuova signoria. Inizia l’era del clan Carbonaro-Dominante e lo scontro - incontro con cosa nostra, in particolare con i Piscopo. Tra l’87 e il ‘92 a Vittoria si conteranno più di 50 morti ammazzati. Il sangue sancirà il potere di uno dei clan più feroci e infidi della Sicilia Orientale. Dominante verrà arrestato neI '90, subito dopo la strage di Gela, e non uscirà più dal carcere. I Carbonaro verranno arrestati tra il 91 e il 92 e subito dopo si pentiranno. La loro “redenzione” indebolirà il gruppo criminale. Nel pomeriggio del 2 gennaio del 1999 gli ultimi epigoni del clan verranno eliminati, dentro un bar, a colpi di calibro nove.

Con quel sangue viene battezzata "l'economia criminale", la nuova organizzazione che costruirà rapporti di connivenza finanziaria con imprese e professionisti. I suoi affari non possono essere intralciati da personaggi rozzi e violenti che potrebbero attirare l'attenzione degli organi inquirenti. Il campo d'azione deve essere bonificato, pazienza se due persone innocenti e totalmente estranee ad ogni logica malavitosa, Rosario Salerno e Salvatore Ottone, verranno travolte dal piombo. In poco tempo tutto cambierà, i nuovi business non verranno intralciati da “pastori” o da “malazionari” che si atteggiano a boss. Speculazioni e ricomposizioni fondiarie cominceranno a delinearsi. Cambierà la geografia criminale del territorio (l’omicidio Brandimarte (14/12/2014) ne è la testimonianza) così come cambieranno gli interessi economici delle mafie. La politica giudiziaria non riuscirà a cogliere subito la complessità di quel fatto e la molteplicità delle sue ripercussioni economiche, politiche e sociali. 
Tutto quello che stiamo vivendo è iniziato quel 2 gennaio del '99. Non si può e non si deve dimenticare.