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domenica 26 gennaio 2020

A RAGUSA NON C'E' LA MAFIA !?




"Il sindaco di Ragusa, Cassì, al convegno che si è svolto il 27 ottobre in occasione del 47esimo dell’assassinio di Giovanni, nel suo breve intervento ha detto che a Ragusa non c’è la mafia ...”

Ho estratto questa frase da un lungo post pubblicato sul profilo Facebook di Salvatore Spampinato - fratello di Giovanni Spampinato, il giornalista ucciso a Ragusa il 27 ottobre del 1972 perché scriveva sui rapporti tra neofascismo e mafie nel Sud Est siciliano - e mi è subito sorta una domanda: su quale base logica il sindaco di una città media siciliana può fare un’affermazione di questo tipo in un convegno che ricorda un giovane cronista ammazzato perché cercava la verità? La prima risposta, a freddo, che mi sono dato è come questo sindaco non riesca a vedere una verità che non ha bisogno di essere dimostrata. Ma ragionandoci con calma questa asserzione: “ … a Ragusa non c’è la mafia ...” ci racconta qualcos’altro, ci dice che il sindaco, ma più complessivamente la città di Ragusa, ha ancora una visone classica della mafia: coppole, lupare, rapine, pizzo, rapimenti … e siccome tutto questo a Ragusa non c’è mai stato significa, per una logica conseguenza assurda, che nel capoluogo ibleo la mafia non c’è. Questa impostazione potrà sembrare semplicistica ma è utile, involontariamente, a nascondere l’azione reale delle mafie. A Ragusa prima ancora che a Palermo la mafia ha abbandonato le lupare e le coppole, anzi non le ha mai utilizzate e indossate, ha assunto si da subito un’immagine diversa. 
A Ragusa, meglio che in altre parti della Sicilia, si è sviluppato, senza violenza, quel sistema relazionale che non ha funzione di mero supporto, ma è l’aspetto costitutivo del fenomeno mafioso.
Giovanni Spampinato, 47 anni fa, aveva capito cosa si muoveva da tempo sotto la tranquilla e paciosa Ragusa. Ha alzato un lembo di quel tappeto che nascondeva verità imbarazzanti e ha iniziato a raccontarle. Giovanni ha cominciando a minare nella sua essenza l'apparente serenità ragusana. Per questo è stato ucciso, etichettato subito come un provocatore, uno che se l’è cercata, quindi un modello da non seguire e per questo rapidamente dimenticato.
Al sindaco di Ragusa va ricordato che la cultura mafiosa è un modo di essere, di agire sparso in tutta l’isola, nessuna città è esclusa. Questo sistema, a Ragusa, ha avuto la capacità di mimetizzarsi bene determinando una barriera di silenzio che l’ha reso ancora più invisibile, impalpabile e quindi più potente. La non visibilità non significa che a Ragusa non c’è la mafia, anzi a Ragusa servono azioni amministrative di forte contrasto che accendano le luci, atti che non si sono mai visti. Signor sindaco, il buio non ha mai divorato ciò che nasconde.

domenica 19 gennaio 2020

Omicidio Lucifora, Modica e la presunta "società civile" che non c'è.

Foto tratta da Google immagini

All’ombra degli Iblei c’è un omicidio che non trova soluzione: quello di Peppe Lucifora, il cuoco modicano picchiato violentemente e poi strangolato lo scorso 10 novembre a Modica. Il delitto rischia di rimanere un enigma senza colpevole. La probabile “società civile” modicana è silente. Dopo la sorpresa e la meraviglia iniziale tutto è via via scemato. La Città della Contea ha ripreso immediatamente i suoi ritmi facendo di tutto per farsi scivolare addosso la "cosa" con estrema rapidità. Nessuno parla, nessuno ha visto, nessuno ha sentito. Ora che cominciano ad affiorare alcune ipotesi e sarebbe importante che qualcuno aiutasse gli inquirenti, sembra, invece, che la vicenda diventi sempre più fastidiosa e quindi sempre meno considerata. Questo mutismo fatale e ambiguo si presta a molteplici letture: stiamo zitti perché “u scruscio” può danneggiare il buon nome della città; restiamo muti perché non ci interessa nulla; rimaniamo in silenzio perché meno se ne parla meglio è. Insomma, si tace per disinteresse, rassegnazione e forse anche per omertà?
Intanto, secondo gli inquirenti, al centro dell’inchiesta dell’assassinio ci sarebbe una nuova pista dettata del patrimonio economico attribuibile al Lucifora, gli stessi investigatori lo hanno stimato intorno al milione e mezzo di euro. Si parla di giro di usura, ma dove c’è strozzinaggio c’è anche un’organizzazione criminale ... O NO? Come è possibile che un dipendente possa aver accumulato un tesoro di tale proporzione? Come ha guadagnato questi soldi? A Modica nessuno sapeva e vedeva nulla? Avrà investito una parte di questi soldi? Se lo ha fatto avrà chiesto la consulenza di qualcuno capace? Tutte domande che, in una società che da sempre si definisce esente dal modello culturale mafioso, dovrebbero trovare delle risposte e invece domina un silenzio, una impassibilità che hanno il retrogusto dell’omertà che sostiene le mafie. Se questi fatti dovessero trovare conferma il motivo di tanto mutismo ha una sola definizione: irragionevole complicità. È come se a Modica si fosse affermato un principio: meglio offuscare questa “viriogna” parlando delle feste al castello, della campagna pubblicitaria di Dolce e Gabbana, dell'onnipresente cioccolato, di ‘mpanatigghi, di “scacce” o di qualche altra piacevole e appetitosa particolaritàmuricana”. La leggerezza mista all’apatia è da sempre un ottimo anestetico, riesce a narcotizzare per bene e rapidamente le coscienze.
Questo atteggiamento ci racconta l’assenza della presunta “società civile” modicana, anzi la stessa ha mostrato la sua vera faccia: disinteresse per cosa sta succedendo da anni all’ombra dei duomi di San Giorgio e di San Pietro.


domenica 5 gennaio 2020

Fava e Impastato, la dignità non muore mai.



Immagine tratta da Google immagini

Peppe Fava e Peppino Impastato, uniti da una data e dal destino. Due contestatori del sistema di potere che ancora oggi soffoca la Sicilia. Due comunicatori che avevano l'idea di una società senza ingiustizie, senza sopraffattori, senza differenze di classe e in cui la legge è sempre uguale per tutti.

IL COMIZIO

"Pane e lavoro!" disse l'oratore.
Ci fu un applauso.
L'oratore continuò:"Pane e lavoro, la terra ai contadini, la pensione ai vecchi, le fabbriche agli operai ..."
"La casa!" suggerì uno che stava sotto il palco.
"La casa ai lavoratori - rimbombò l'oratore e fece cenni con la manoverso la folla - Una casa a te, una casa a questo, una casa a quell'altro!"
"A me niente?" gridò uno che stava in fondo e temeva di non essere visto. Ma arrosì subitoquando gli altri si voltarono a guardarlo.
"Una casa a tutti!" gridò l'oratore.
Un giovanottoalto, bianco e tristealzò la mano.
"Io voglio la mamma" disse.
"Come la mamma?" disse l'oratore.
"Io sono orfano" rispose il giovanottoe divenne pallido per il dolore.
 "Casa, pane, lavoro e pensione per tutti ..." riprese di colpo l'oratore, tentando di sviare il disocorso. Ma il giovanotto alzò di nuovo la mano.
"Voglio la mamma" - disse - "invece della casa voglio la mamma".
"Ma che significa?" balbettò l'oratore; guardò quella folla silenziosa e si confuse di più. Si sentì una voce di donna era una piccola donna sfiorita, con gli occhiali.
"Io vorrei l'amore!" disse, e si colpì il volto per la vergogna. Ma aveva il coraggio della disperazionee aggiunse ... "Almenno una speranza ...?"
"Non so ..." disse l'oratore smarrito. Si strinse le tempie fra le dita per concentrarsi - "Credo di no ...".
Qua e là, però la gente cominciava già a sfollare delusa.
Si cominciarono a sentire dei fischi ... 

Tratto da "Pagine" Giuseppe Fava 


Fiore di campo nasce
dal grembo della terra nera
Fiore di campo cresce
odoroso di fresca rugiada
Fiore di campo muore
sciogliendo sulla terra gli umori segreti.


Peppino Impastato