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sabato 24 aprile 2021

25 APRILE: MEMORIA, RESISTENZA, LIBERAZIONE.

FOTO GENTILMENTE CONCESSA DA  MARCELLO BIANCA

E' da tempo che l'oblio comprime ogni forma di memoria, fino a renderla, nel migliore dei casi, un lontano ricordo in sospensione; nel peggiore: farla scomparire del tutto. Esso viene oramai consigliato come se fosse qualcosa di saggio, di oculato, di prezioso. In questa assurda condizione è stato fatto, volutamente, precipitare anche il 25 Aprile. Una data che dovrebbe evocare ed esaltare il momento più alto della storia recente del nostro Paese: la Resistenza alla disumanità e la Liberazione dalle peggiori barbarie. 

Andrea Gentile ha rovistato con cura nel piccolo giardino di casa nostra e ha messo in fila i fatti violenti accaduti in questa provincia tra il 1920-1921. Storie messe a macerare appositamente nell'oblio e determinate da persone a cui sono state dedicate, in alcuni comuni (Comiso, Ragusa, Ispica), vie e piazze.  Biagio Pace, Filippo Pennavaria, Dionisio Moltisanti, non potevano e non possono meritare questo riconoscimento. I loro nomi fanno sicuramente parte della storia di questa terra ma è una storia di cui non si può essere fieri. Quelle vie, quelle piazze, rappresentano il peggiore dei compromessi politici. Secondo un vecchio detto popolare: "perdonare è da re, dimenticare è da sciocchi". Qui, come in tante altre parti, si è perdonato con molta facilità e si è dimenticato con troppa velocità. La bestia ne ha approfittato e grazie alla complicità di alcuni sinistri ha coltivato negli anni, con cura scientifica, l'oblio. E' tempo di cambiare rotta. E' tempo di militanza della memoria.  W SEMPRE IL 25 APRILE.


Resistenze vittoriesi alla nascita del Fascismo

di Andrea Gentile

Il ruolo del movimento sociale negli Iblei nel 1920-1922

Alla fine della Prima Guerra Mondiale i contadini e gli operai che avevano combattuto al fronte, facevano ritorno a casa con la speranza di migliorare le proprie condizioni di vita. Anche i braccianti siciliani, che nei mesi in trincea avevano acquisito maggiore conoscenza dei diritti sociali e politici, chiedevano di essere ricompensati per il sacrificio in nome della Patria, come era stato loro ripetuto retoricamente per motivarli in battaglia. Il tema della redistribuzione della terra assumeva un ruolo centrale nel dibattito politico. Drammatiche erano le condizioni sociali alla fine del conflitto. I ceti popolari piangevano i morti in battaglia e i sopravvissuti dovevano far fronte alla povertà, all’inflazione e alla disoccupazione. In questo contesto internazionale i movimenti sociali rivendicavano con forza diritti e partecipazione. “Tutta l’Europa è pervasa da uno spirito rivoluzionario. Tra i lavoratori c’è un profondo senso non solo di malcontento ma di collera e di rivolta” Nella provincia di Siracusa, in particolare nel versante occidentale, i contadini avevano già esperienza di organizzazione e mutualismo, derivante dai Fasci contadini del 1893. Alla fine del conflitto mondiale, i braccianti contribuirono alla formazione e al rafforzamento di gruppi politici e leghe contadine. A Vittoria, il movimento socialista era politicamente attivo. Fondato nel 1899, grazie anche all’opera di Nannino Terranova, nell’aprile del 1920 si costituì il circolo socialista radicale “Carlo Marx” e nel maggio si tenne il primo congresso dei lavoratori a cui parteciparono rappresentanti di leghe contadine, cooperative, federazioni socialiste, politici e sindacalisti da tutto il circondario. L’organizzazione e la mobilitazione condusse, durante i mesi, alla contrattazione con i proprietari terrieri su posizioni di forza, con il riconoscimento del limite di otto ore giornaliere di lavoro e di aumenti salariali sia nell’area montana di Monterosso e Chiaramonte che a Vittoria. In questo clima di rivendicazioni e di partecipazione si giunse alle elezioni amministrative che si tennero nell’autunno del 1920. I gruppi socialisti conquistarono maggiore consenso in otto comuni su tredici del circondario modicano. A Modica, Pozzallo, Ispica, Scicli, Ragusa superiore, Acate, Comiso e Vittoria si insediarono amministrazioni socialiste.

I proprietari terrieri, i notabili e la borghesia, riuniti spesso in consorterie e clan, schierati tra le fila di partiti conservatori o liberali, detenevano il potere e controllavano le municipalità. In tutta la Sicilia la classe dominante guardava con preoccupazione alla crescente ondata rivoluzionaria, intenta a mantenere la propria posizione di potere. Nella parte occidentale dell’isola, per sedare le agitazioni contadine, poteva contare sull’azione intimidatrice e repressiva della mafia e della complicità delle forze dell’ordine. Nella parte orientale, in cui era scarsa la presenza di gruppi mafiosi, supportavano e incentivavano il nascente squadrismo fascista. “Là dove (nel siracusano) non esisteva la mafia come guardia bianca dei padroni, i fascisti sorsero per tempo a fermare l’avanzata delle masse” . Negli Iblei si sviluppava così un fascismo simile allo squadrismo padano, con uno spiccato carattere di violenza sociale e politica, quale reazione alle “giunte rosse” e al movimento socialista e contadino. La sera del 7 novembre, a Comiso, contadini e socialisti si ritrovarono in piazza per festeggiare la vittoria elettorale, quando irruppero i fascisti. Negli scontri accoltellarono e uccisero Matteo Iurato, presidente della Lega di miglioramento dei contadini. La Guardia Regia, con l’intento di sedare gli scontri, sparò sulla folla, uccidendo tre persone (tra le quali una bambina) e ferendo nove lavoratori. Fu il terzo omicidio di rappresentanti contadini nel 1920, dopo quello di Nicolò Alongi, accaduto a febbraio a Prizzi, e quello di Paolo Mirmina, a ottobre a Noto. A Vittoria, durante l’inverno, gli agrari organizzarono una risposta. La famiglia Jacono, al potere già dalla metà del secolo precedente, ricca di numerosi possedimenti coltivati a vigne da cui si produceva vino, armò il gruppo dei ‘caprai’, che prestavano loro servizio, e infiltrò suoi sostenitori nell’Associazione nazionale combattenti prima e nei Fasci di combattimento poi. Si costituì così il gruppo violento di attacco ai contadini e ai socialisti alla guida della città. Il movimento socialista, in tutto il Paese, fu attraversato da un dibattito che produsse la scissione e la fondazione del Partito Comunista d’Italia, il 21 gennaio 1921 a Livorno. In provincia di Siracusa la maggioranza dei circoli giovanili socialisti aderirono al neonato movimento e si formarono gruppi operativi a Vittoria, Modica e Rosolini. Lo scontro divenne ancor più radicale e numerose feroci violenze si consumarono in tutto il circondario modicano.

A partire da Vittoria dove, il 29 gennaio 1921, un gruppo armato composto da fascisti, ex-combattenti e caprai, assaltò il circolo socialista sparando sui lavoratori. Giuseppe Compagna, consigliere comunale socialista e contadino, rimase ucciso e dieci persone furono ferite. Le violenze proseguirono, sempre più feroci, e culminarono il 13 marzo: dopo una settimana di attacchi e scontri, furono devastate la Lega contadina, la sezione socialista e la sezione giovanile comunista. Una settimana dopo il sindaco socialista Salvatore Molé fu costretto a dimettersi e il consiglio comunale venne sciolto quattro mesi dopo le elezioni. Le azioni violente atte a sovvertire l’ordine democraticamente eletto furono supportate dai funzionari di governo. Secondo il prefetto Occelli, la causa della reazione squadrista risiedeva nei “disordini socialisti”, ovvero una serie di misure che in pochi mesi di governo avevano colpito fortemente il ceto borghese. Le aggressioni fasciste trovavano ispirazione e fondamento nella retorica di Mussolini, che il 3 aprile del 1921, al Teatro Comunale di Bologna sostenne l’esigenza di “ficcare le nostre idee nei cervelli refrattari, (…) piantarle a suon di randellate”. Altrettanto accadeva in ogni località, con la violenza diffusa ed elogiata perfino negli opuscoli: “quando il nemico insidioso sarà debellato, allora si che disarmeremo la mano e lo spirito”, riportava un foglio di propaganda redatto dai fascisti di Comiso. In questo clima di terrore, il 7 aprile il presidente del consiglio Giovanni Giolitti rassegnò le dimissioni e convocò le elezioni politiche per il mese di maggio. La sera del 9 aprile 1921, la piazza San Giovanni di Ragusa si riempì di uomini, donne e bambini, venuti ad ascoltare le parole del deputato socialista Vincenzo Vacirca. Il parlamentare, che a soli tredici anni aveva contribuito a fondare il circolo socialista di Vittoria, denunciò le violenze squadriste in tutta Italia, quando un gruppo di fascisti iniziò a disturbare il comizio. Pochi attimi dopo si scatenò una pioggia di proiettili verso la folla, che colpì mortalmente tre braccianti socialisti e ne ferì più di sessanta. Squadre di fascisti accorsi anche da Comiso e Vittoria giunsero in serata e contribuirono all’assedio della Camera del Lavoro e dei circoli socialisti. Il municipio venne assaltato e il sindaco di Ragusa dette le dimissioni.

In breve periodo le amministrazioni socialiste del circondario di Modica vennero sciolte, in un moltiplicarsi di violenze e pressioni che condussero alle elezioni politiche. Sempre più numerosi divennero gli aderenti ai Fasci di combattimento, guidati nell’area da Filippo Pennavaria a Ragusa e Biagio Pace a Comiso. Le elezioni politiche si tennero in un clima di pressioni, con i votanti costretti a esprimere preferenze a scheda aperta di fronte ai carabinieri. Nella città di Modica, in cui le devastazioni di circoli e di abitazioni private proseguirono più di un mese, il 29 maggio 1921, un corteo di lavoratori diretto in paese fu attaccato dalle squadre fasciste nella contrada di Passo Gatta, che spararono sulla folla in marcia, uccidendo 6 manifestanti. Sconfitti sul piano elettorale, fiaccati dopo aver subito un così violento attacco in tutta l’area, controllati e schedati dalle forze dell’ordine, i movimenti sociali e contadini dovettero ritirarsi su posizioni private, per evitare ulteriori ritorsioni. I comuni erano amministrati e controllati da solerti funzionari, come Michele Serra a Vittoria, il quale ricevette elogi dal Prefetto Occelli perché agevolò la nascita e l’affermazione elettorale del partito fascista ed ebbe il “merito politico incomparabile di saper condurre il corpo elettorale alla riscossa dal partito comunista che dominava il comune”. Si realizzò quindi, tra l’estate del 1921 e il 1922, nei paesi dell’area iblea, un “allineamento istituzionale che metteva in collegamento diretto e in comunione di intenti il centro con la periferia del paese. I grossi proprietari terrieri che avevano finanziato le gesta delle squadraccie per demolire il movimento dei lavoratori e di tutte le opposizioni, chiedevano, adesso, di essere ammessi ufficialmente al Fascismo”. A Vittoria si registrò il tentativo del movimento di non assoggettarsi definitivamente al fascismo ormai dilagante. Nei mesi erano stati ricostituiti i circoli socialisti e comunisti e la Camera del Lavoro. Il 1 maggio 1922 si organizzò una manifestazione di lavoratori e si tenne il comizio dell’avvocato socialista Salvatore Molé, che indusse la folla, composta da comunisti e socialisti, a riorganizzarsi e cooperare. Immediatamente arrivò la risposta fascista: le squadracce intervennero e devastarono la sede del PCI e della Camera del Lavoro. Picchiarono chiunque si oppose e uccisero il 19enne Orazio Sortino, un manovale comunista. La resistenza alla violenza nazionalista era ormai (temporaneamente) sconfitta anche a Vittoria. Gli agrari, in testa la famiglia Jacono, e i fascisti di Pennavaria esultavano e suggellavano una collaborazione che sarebbe durata un Ventennio. Benito Mussolini, appena giunto alla guida del governo, con decreto dell’11 gennaio 1923, revocò tutte le concessioni temporanee di terre, fatte ai contadini in seguito al movimento di occupazione dei feudi, favorendo la ricostituzione della vecchia proprietà latifondistica.

Testi consultati:

  • Memorandum confidenziale inviato da Lloyd George; premier britannicoa Clémenceau, primo ministro francese.
  • Rita Plidda, 1997, citata in Storia del movimento Antimafiasiciliano, di G. Scolaro, 1997.
  • Fabrizio La Licata, L'area iblea nel ventennio fascista, 2012.

domenica 18 aprile 2021

Vittoria ha l'obbligo di uscire dall'abitudine e dalla rassegnazione.


Questa foto ci dice che a Vittoria c'è una sparuta minoranza rumorosa che non ama il bello, le cose ordinate, è contro le regole del vivere civile ed è intollerante verso ogni forma di pianificazione.  Questa minoranza ha tratto e trae la sua forza dal mutismo omertoso della maggioranza silenziosa di questa città.  Queste azioni, tanto stupide quanto violente, trovano il loro sostegno in questo vergognoso silenzio. Senza questo mutismo non avrebbero nessuna sussistenza. La frase che giustifica questa omertà è stata subito coniata: "adesso con le videocamere vedremo chi ha commesso tutto ciò". Saranno solo le videocamere ha lavare e giustificare le nostre mute e ipocrite coscienze? Nessuno, nel momento in cui l'imbecille o gli imbecilli si "divertivano" ad imbrattare un'ordina e dignitosa facciata, ha sentito qualcosa o visto qualcuno? Lo Stato (cioè tutti noi) sta finanziando con il superbonus la riqualificazione dei prospetti degli edifici: ad un miglioramento urbano dovrà seguire, per forza, una rapida vandalizzazione dello stesso? Invece di uscire dal degrado continueremo a sostenere, con il silenzio omertoso, questa condizione?
Questa città non ha bisogno di più forze dell'ordine (il commissariato di polizia è ancora acquartierato nell'immobile posto sotto sequestro perché di proprietà di soggetti accusati di concorso esterno in associazione mafiosa?). NO! Questa città ha bisogno di storici dell'arte che non si mettano al servizio del potente di turno ma raccontino, insegnino, alle persone l'importanza della bellezza.  "Si fornirebbe un'arma contro la rassegnazione, la paura e l'omertà  ...  E' per questo che bisogna educare le persone alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore".

domenica 4 aprile 2021

Chiaramonte Gulfi: breve storia di una lapide


Chiaramonte Gulfi oltre ad essere un ordinato e ospitale borgo incastonato sull'altipiano ibleo, dove regna un'arte culinaria che "magnifica il porco",  è anche la città che ha dato i natali al prof. Serafino Amabile Guastella, uno dei più attenti studiosi della cultura, della tradizione e delle condizioni sociali ed economiche dei contadini iblei, sia prima che dopo l'unità d'Italia. Le sue opere raccontano la miseria, la fatica, la precarietà, ma mettono anche in risalto la saggezza di queste persone da sempre sfruttate. I suoi testi  sono stati utilizzate da Dario Fo in "Mistero Buffo" e sono stati studiati e apprezzati da Italo Calvino, Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo.  Nel paese che ha dato i natali ad una personalità definita da Consolo "... una pietra, e fra le più preziose, della nostra ribellione, della nostra sacca di resistenza culturale" e da Sciascia come uno scrittore la cui opera "non indegna di sfigurare accanto a "i Malavoglia" c'è una lapide che per certi versi sberleffa la sensibilità del Guastella. Sul lato destro della faccia del duomo è incassata una lastra di marmo che ricorda un evento, dove si leggono queste "significative" parole:  

SE MAI NELLA VICENDA DEI SECOLI
AI CITTADINI DI CHIARAMONTE
GIORNO RIFULSE
PER CELEBRITA' DI FESTEGGIAMENTI
MEMORANDO
E' PROPRIO QUESTO 
CHE
S. EMINENZA IL SIG. CARDINALE ERNESTO RUFFINI
ARCIVESCOVO DI PALERMO
FRA L'ESULTANZA E GLI OSANNA
DEL POPOLO TUTTO
E PERSINO DEGLI STESSI MORTI
FREMENTI DI GIOIA NEGLI AVELLI
CON DIADEMA D'ORO TEMPESTATO DI GEMME
DECORA ONORA E MIRIFICA
LA BELLA MARIA SS. DI GULFI
LA MADRE E PADRONA GLORIA DI CHIARAMONTE
RATIFICANDO COSI' E CONSOLIDANDO
IL PREZIOSO RETAGGIO DELLA FEDE
TRAMANDATA DAI PADRI 
E RIPETUTA DAI SECOLI

CHIARAMONTE GULFI  6-5-1954

Al di là dell'esaltante quanto "fremente" retorica, all'autore di questo manifesto marmoreo sarà sfuggito, o avrà ignorato volutamente, un particolare: S. E. il cardinale Ruffini  riteneva che i mali della Sicilia fossero determinati da chi provava a difendere e denunciare le condizioni dei ceti popolari meno abietti. Il porporato oltre a negare l'esistenza della mafia riteneva che i mali della Sicilia fossero: i comunisti, il romanzo "Il Gattopardo" e il sociologo Danilo Dolci. Ci troviamo di fronte all'involontario precursore della sceneggiatura delle tre piaghe del film  "Johnny Stecchino". Infatti, tutto questo, S.E. Ruffini lo mise nero su bianco in una lettera pastorale dal titolo: "Il Vero volto della Sicilia", dove i tre mali vennero definiti come denigratori dell'isola. Per dovere di cronaca va detto che a quella lettera replicò, sul giornale l'Ora, il pastore valdese Pietro Valdo Panascia, il quale scrisse come il porporato non facesse cenno "agli omicidi, ai crimini  della mafia o ... alla condizioni inumana in cui vivono centinaia di famiglie... Dire queste cose non è fare il denigratore, ma denunciare uno stato di cose di cui ogni cittadino e ogni cristiano soffre, perché queste cose sono cose che si vedono ogni giorno".

In questo epitaffio tanto fantasioso quanto comico e paradossale, reso quasi ignoto perché scolorito dal tempo,  dove i morti gioiscono a festa dentro i loro loculi per il passaggio di un porporato negazionista, è racchiusa una grande contraddizione. All'attenzione del Guastella, che raccontava con un linguaggio semplice e comprensibile "il vivere a stecchetto dal primo all'ultimo giorno dell'anno" dei contadini sfruttati e derisi, si contrappongono gli "osanna" verso un panciuto uomo di chiesa capace di negare le evidenze.  
Quanta differenza tra il cardinale Pappalardo e l'attuale arcivescovo Lorefice,  che dopo secoli di silenzio hanno deciso di parlare chiaro ... proprio come il prof. Serafino Amabile Guastella.