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domenica 20 giugno 2021

GIUSTIZIA SOCIALE

 Foto tratta da Vittoria Notizie n.3 Maggio Giugno 2007

A Vittoria (e non solo) parlare di legalità - parola di cui tanti ne hanno fatto e ne fanno uso e abuso - è sempre più complicato. Spesso i tecnocrati della legalità, con fare accademico, la narrano con banali ovvietà del tipo: rispettare le regole, pagare le tasse, osservare le autorizzazioni; cioè farla diventare una formalità e, alla bisogna, un comodo riparo dietro il quale mettere al sicuro i tanti perbenisti in doppiopetto. Ma la legalità non è tutto questo. Alla base di questa parola, diventata ormai un fastidioso feticcio, vi è un concetto che è stato sempre e volutamente ignorato: la giustizia sociale.

C’è una storia che il dott. Alfio Lo Presti, un medico amico del magistrato Paolo Borsellino, ha raccontato a diversi giornalisti: “Una domenica andammo a piedi a fare una passeggiata alla ricerca di un filone di pane da portare a casa per il pranzo. Trovammo un carrettino nei pressi di piazza Ottavio Ziino. Borsellino chiese il pane e il venditore ambulante glielo diede e poi gli disse con fierezza: A lei, il pane io glielo regalo. Borsellino insistette per pagare, ma il venditore gli ricordò: Signor giudice, lei mi ha condannato per vendita di pane abusivo e ora viene da me a comprarlo!? Ma io glielo regalo con tutto il cuore. Il magistrato rimase immobile per qualche secondo, poi superato l’imbarazzo andò ad abbracciare il venditore abusivo di pane”. Quell’abbraccio non era sicuramente un chiedere scusa per la condanna applicata, ma è probabile che il dott. Borsellino avesse capito come quel lavoro, quasi certamente garantito dalla criminalità - giustamente da punire - permetteva a quella persona di scampare alla povertà. Quella condanna, se pur giusta, non era stata accompagnata da una risposta (l’esigenza di lavorare) che doveva arrivare da altre istituzioni, ma era diventata una inutile repressione.

Ecco, la legalità dovrebbe essere prima di ogni cosa garantire un lavoro vero e dignitoso, impedendo così alle mafie di essere, come lo sono in molti territori, l’unica agenzia per l’impiego. Le istituzioni, a partire dai comuni, non possono essere percepite come qualcosa di lontano o peggio come soggetti in grado soltanto di reprimere le tante arbitrarietà che caratterizzano i quartieri periferici e invece essere tolleranti con le illegalità della città bene. A Vittoria in questi anni si è formato un solco ampio e profondo tra questi due porzioni di città. Una spaccatura che ha reso le mafie più credibili dello Stato e quindi, rispetto al passato ancora più forti di condizionare e gestire ogni forma di consenso. Non servono a nulla le iniziative politiche di chi ostenta le sue belle idee di progresso, magari utilizzando slogan antimafia ad effetto, quando poi nella periferie cresce ogni forma di diseguaglianza (a partire dalla mancanza dei servizi essenziali); tutto questo sta generando una rabbia e un desiderio di ripicca che la criminalità sta capitalizzando.

Mi vengono in mente le tante operazioni antidroga degli ultimi anni, nei titoli e negli articoli dei giornali capeggiava o prevaleva spesso una frase: “ristabilita la legalità”. Ma quando mai! Gli spacciatori vengono arrestati e le loro facce vengono pubblicate, mentre i boss che fanno affari con la droga e i professionisti che ne riciclano il denaro erano e rimangono intoccabili. In questo gioco fatto di chiaroscuri la Vittoria bene, che sniffa coca e fuma hashish e marijuana, è costretta a cercarsi un’altra zona dove rifornirsi di roba, rimettendo subito in modo altri disadattati che verranno ad essere manovrati da chi li domina e li continuerà a sfruttare ... convivendoci.