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martedì 27 dicembre 2022

IN PROVINCIA DI RAGUSA CRESCITA RECORD DEI DEPOSITI BANCARI. MA COME E' POSSIBILE?



Certo che il nostro territorio è veramente strano, penso che qui, e solo qui, si possono realizzare certe contraddizioni economiche. La cosa interessante è come queste incongruenze non vengano (volutamente?) notate da nessuno. In base ai dati della Banca d’Italia sulla raccolta bancaria, Il Sole 24 Ore, il 18 novembre scorso, ha pubblicato nel suo sito la mappa dei depositi pro capite, stilando una classifica, per provincia, dei territori dove nei primi otto mesi del 2020 si è “risparmiato” di più. Sapete di chi è il primato nazionale relativo alla conservazione di liquidità? Al primo posto nella classifica della “spinta alla conservazione di liquidità” vi è la provincia di Ragusa con un +14% rispetto all'anno precedente. I depositi pro capite sono pari al € 26.300,00, mentre i depositi delle famiglie sono cresciuti del +6,3% e pesano per il 71% del totale (si veda la foto e il link allegato). 

https://www.ilsole24ore.com/art/piu-soldi-banca-crescita-record-risparmio-provincia-e-sud-ADLzky1

Visto così si potrebbe dire, e per molti versi è vero, che questo dato sia il frutto di un atteggiamento prudenziale legato alle incertezze economiche generate prima dalla pandemia e ora dalla guerra. Ma vi sono altri indicatori che fanno emergere, a mio modesto avviso, una valutazione diversa. In Provincia di Ragusa dal 2013 ad oggi è aumentata la povertà. In una nota del giugno scorso la responsabile dell'Unione sindacale territoriale Ragusa e Siracusa della CISL, Vera Carasi, dichiarava che “i dati sulla povertà in provincia di Ragusa sono in crescita, il 6,9% delle famiglie versa in condizioni di difficoltà assoluta … il futuro è tutt'altro che roseo alla luce dell'inflazione galoppante”. Saro Denaro, responsabile provinciale dello SPI CGIL di Ragusa, nella sua recente relazione congressuale ha dichiarato che “la povertà ha toccato in questo periodo livelli record. I più alti degli ultimi sedici anni”. Queste dichiarazioni trovano conferma in un dato: l'Indice di vulnerabilità sociale e materiale. Si tratta di un indicatore calcolato dall'ISTAT che segnala le condizioni di incertezza economica e sociale di una territorio e la sua vulnerabilità, a partire dalle caratteristiche di chi ci abita. Più è alto, maggiore è il rischio di disagio in quella zona. L'indice della nostra provincia è medio alto ed è compreso tra 99 e 103. Nei fatti significa che nel nostro territorio è rilevante l'incidenza di famiglie composte solo da anziani, genitori single, giovani che non studiano e non lavorano, adulti senza titoli di studio o analfabeti e di famiglie in disagio economico. Tutto questo è dimostrato anche da un altro indice: il Misery index. E' un indicatore che viene calcolato dalla Confcommercio che ci dice come nella nostra provincia l'accesso ai consumi, negli ultimi due anni, sia calato a fronte di un aumento dell'inflazione, dagli alti tassi di prestito e dal livello di disoccupazione.

In un territorio dove da tempo nelle famiglie vi è una progressiva erosione del reddito, che si è distinto negli ultimi anni per il rallentamento della domanda e di conseguenza per una calo della ripresa e dell’occupazione; come è possibile che aumentino i depositi bancari? 

Una possibile risposta potrebbe essere quella che arriva dal “Quaderno dell'Antiriciclaggio” de L'Ufficio Informazioni Finanziarie della Banca d'Italia. Dai dati e dai cartogrammi relativi agli anni 2020 e 2021,  risulta evidente come ci sia stato un aumento del 21% di segnalazioni sospette sia da parte del sistema bancario/postale che da altri operatori quali: Istituti di moneta elettronica (IMEL), Istituti di pagamento (IP), prestatori di servizi di gioco e, in piccola parte, professionisti e assicurazioni. Infatti, come si può vedere a pag 16 del quaderno (si veda immagine e link allegati),  si è passati dalla 592 segnalazioni del 2020 alle 719 segnalazioni del 2021.



Infine, c'è un ultimo dato che deve fare ulteriormente riflettere. La provincia di Ragusa ha un indice di enterprise syndicate tra i più elevati d'Italia. Questo valore misura un aspetto particolare delle mafie, cioè indica la capacità che le stesse hanno nell'avviare traffici illeciti, tipo gestione della prostituzione, stupefacenti e gioco d'azzardo, per poi trasformare i proventi in attività economiche lecite o illecite (si veda il grafico tratto da https://www.treccani.it/enciclopedia/la-mafia-le-mafie-capitale-sociale-area-grigia-espansione-territoriale_%28L%27Italia-e-le-sue-Regioni%29/). Tutto questo rende le mafie invisibili e ne rafforza il loro ruolo nel territorio.

Ricapitolando: in una provincia dove gli indicatori di povertà crescono, dove si segnala un significativo aumento di operazioni di sospetto riciclaggio e dove le mafie hanno un forte ruolo economico rispetto al ruolo criminale classico; i depositi bancari crescono in modo rilevante. Non è un'evidente contraddizione? La cosa non desta nessuna attenzione da parte degli organi inquirenti?  Forse ignorano questi dati? 

La più grande cortesia che si può fare alle mafie è contrastarle come se fossero soltanto un problema di ordine pubblico. Per combatterle realmente bisogna contrastare il loro potere economico seguendo le tracce lasciate dai soldi.  Questa frase di Falcone non può essere uno slogan da declamare nei convegni o nelle assemblee, va praticata! Qui non servono soltanto più forze di polizia per il controllo del territorio, qui servono, soprattutto, ispettori della Banca d'Italia che controllino ciò che avviene nei vari luoghi della finanza locale; così come servono ispettori dell'Agenzia delle Entrate per capire cosa accade in alcune imprese. Solo in questo modo si posso configurare le complicità e le collusioni di quell'area grigia iblea di cui tanto si parla ma poco si conosce. Le economie mafiose trovano alimento e si espandono grazie a queste relazioni. Per le mafie, più che il controllo del territorio, è la presenza dell'area grigia che ne indica la loro fase di maturità e di consolidamento. Tutto il resto è solo melodramma.  In merito a queste ultime considerazioni sto raccogliendo dati che pubblicherò in un altro post. Intanto, buona lettura, buona riflessione e ... Buon Anno. 





giovedì 1 dicembre 2022

DOUDA DIANE, UNA SCOMPARSA, DIVERSE DOMANDE.

 

foto tratta da Google Immagini
 

Come può una persona sparire senza lasciare neanche una traccia? Viviamo nell'era del controllo totale, siamo circondati da telecamere, viviamo immersi nel wi-fi come i funghi sott'olio, ogni nostro movimento è scandagliato fino alle mosse più impercettibili. Malgrado tutto ciò Douda Diane, una persona, un lavoratore, un immigrato, è scomparso, non si trova, non si capisce dove possa essere finito. Dal 2 luglio scorso è sparito, come se fosse evaporato, o peggio, come se fosse stato ingoiato dalla terra. Nessuno sa nulla (o fa finta di non sapere?). Nessuno ha visto nulla (o fa finta di non aver visto?). Qualcuno ironizzando amaramente si è chiesto: ma siamo sicuri che Douda sia mai esistito? La risposta altrettanto amara, ma per nulla ironica, è che Douda è stato inghiottito dall'omertà di questa terra, da sempre definita babba, nei fatti impanata di una subcultura capace di generare anche economie malate e mafie. Di Douda rimane un video dove denuncia quello che noi non abbiamo più il coraggio di denunciare, cioè che qui in molti casi si lavora in condizioni non umane.

E' stato “inghiottito” perché vittima di un grave incidente sul lavoro? E' stato fatto “evaporare” perché con le sue denunce provava a difendere il diritto di lavorare e di vivere dignitosamente? Domande che prima o poi troveranno, forse, una risposta. Fino ad allora rimarranno accese soltanto la disperazione di un bambino di otto anni, suo figlio, l'angoscia di una donna, sua moglie, e l'ansia delle persone che lo voglio bene. Tutto il resto sarà un buio, reso denso e pesante da un'attesa tanto lacerante per quanto sarà lunga.  Se qualcuno pensa che il buio divori ciò che nasconde si sbaglia. Sono tante le persone che lo voglio bene e queste non si arrenderanno facilmente ai seminatori e coltivatori di oblio. La verità sulla “volatizzazione” di Douda prima o poi verrà fuori e con essa affioreranno le tante contraddizioni di questa terra.


domenica 6 novembre 2022

Buone notizie: Polizia e Guardia di Finanza avranno nuovi locali. Ma quando si utilizzeranno i beni confiscati alla mafia?

 

 Foto tratta dal Google Immagini

A Vittoria nascerà “un presidio di legalità”, una struttura dove alloggeranno in modo definitivo il Commissariato di Polizia, e la Stazione della Guardia di Finanza. La notizia di per se è buona, nulla da ridire, come si fa a criticare una cosa del genere? Però ci sono alcuni aspetti che impongono delle riflessioni e fanno nascere delle domande. Va subito precisato che il Ministero dell'Interno, per il 50% dei locali dove prima era allocato il Commissariato di PS di Vittoria, pagava da anni un affitto di 105 mila euro annui ad un parente della famiglia Luca di Gela, ovvero Rocco Luca, figlio di Salvatore, finito in carcere assieme allo zio e al padre nel luglio 2019 perché indagati con accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Ovviamente la notizia fece un certo scalpore tant'è che la Commissione straordinaria predispose gli atti amministrativi per favorire il trasferimento del commissariato in nuovi locali, ma questo non avvenne in modo rapido, anzi, forse pare che non avvenne (https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/07/16/news/vittoria_nuovi_locali_per_il_commissariato_di_polizia-231299939/).

Dal consiglio comunale del 3 novembre scorso si apprende della variante urbanistica - voluta dalla Prefettura - di un'area sita in Contrada Bosco Rosario di proprietà dell'Agenzia del Demanio dove insiste lo storico campo di calcio “Talafuni”. Grazie a quest'atto si potranno realizzare le caserme della GdF e del Commissariato di Polizia. L'iter dell'opera fu avviato dalla Commissione straordinaria e, la stessa opera, verrà realizzata con fondi del Ministero delle Infrastrutture in accordo con il Ministero dell'Interno. Ma il Ministero dell'Interno non è lo stesso dicastero che vigila sull'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC)? Sono andato a vedere nel sito dell'Agenzia e ho scoperto che ha Vittoria, ad oggi (6 novembre 2022) vi sono 45 immobili confiscati e destinati (https://openregio.anbsc.it/statistiche/visualizza/beni_destinati/immobili). Appartamenti, abitazioni indipendenti, terreni agricoli e terreni edificabili, tutti beni sottratti alla criminalità locale e inutilizzati (?). Intanto sarebbe interessante conoscere le condizioni di questi immobili e poi, qualcuno, dal 2019 a oggi, si è chiesto come vengono utilizzati questi 45 beni dallo Stato? Si è pensato se era possibile, già nel 2019, trasferire in uno di questi il commissariato? Si è appurato se la futura caserma poteva essere realizzata in uno di questi immobili evitando che la città perdesse un'altra struttura di aggregazione? Il contrasto alle economie mafiose non si fa chiedendo ripetutamente: “serve più controllo del territorio, servono più forze dell'ordine”. La criminalità organizzata non si inquieta se in città vi è qualche volante in più. Le mafie si preoccupano seriamente quando perdono i beni che hanno accumulato illegalmente. Se poi uno di questi fosse diventato una caserma, l'oltraggio sarebbe stato totale. Prima di “confiscare” (in senso buono) un vecchio luogo di socializzazione, non sarebbe stato utile verificare se uno dei 45 beni sottratti alla criminalità di questa città avesse avuto le caratteristiche per diventare “presidio di legalità”? Sarebbe stato un atto di rispetto e di riscatto verso il territorio che da anni viene oltraggiato da una criminalità mafiosa che lo ha reso tristemente famoso. Come mai non è stato fatto? Cosa lo ha impedito? E' stata una dimenticanza? Domande semplici e garbate a cui qualcuno dovrebbe trovare il tempo per rispondere.

domenica 9 ottobre 2022

DALL'OMICIDIO TUMINO A QUELLO DI GIOVANNI SPAMPINATO. IL LIBRO CHE RACCONTA UNA STORIA TUTTA RAGUSANA



Il 27 ottobre 1972 a Ragusa veniva ucciso Giovanni Spampinato, un giornalista che cercava la verità. Spampinato aveva capito cosa si muoveva da tempo sotto la tranquilla e indolente Ragusa. Alzò un lembo di quel tappeto che nascondeva verità imbarazzanti e iniziò a raccontarle. "Nella sua città era accaduto un torbido delitto maturato negli ambienti dell’estrema destra ragusana e Spampinato invece di registrarlo pigramente sulla scorta delle solite veline di polizia si era impegnato ad andare fino in fondo nella ricerca della verità". Questa sua ricerca minò le basi della falsa serenità ragusana. Spampinato diventò pericoloso. Andava eliminato secondo uno schema che non sollevasse altra polvere e che delegittimasse il suo lavoro: "era un provocatore", "uno che se l’è cercata". Lo schema passò senza tante difficoltà, come se avesse meritato quella fine, e poi tutto fu rapidamente dimenticato.

Salvatore Spampinato, fratello di Giovanni, ha completato il libro che racconta l'intera vicenda. Il 27 ottobre prossimo l'opera verrà presentata a Ragusa. Di seguito il post che fa da preambolo a libro, pubblicato dall'autore nella sua pagina Facebook. Ringrazio Salvatore Spampinato per avermi autorizzato a pubblicarlo nel mio blog. 

Non è una biografia, ma il racconto di tutta una vicenda che inizia con il misterioso omicidio dell'ingegnere Angelo Tumino, e cosa accade nei mesi successivi. Un’intera città impaziente di conoscere l’assassino, e invece era tenuta all’oscuro di tutto, a cominciare dalle indagini, tanto da convincersi che presto sarebbe stato messo tutto a tacere, perché l’indiziato principale era il figlio del presidente del tribunale. Soltanto il 26enne Giovanni Spampinato, giornalista corrispondente de L’Ora di Palermo, cercava di dare informazioni utili, ed era l’unico a fornire nuove e importanti rivelazioni nei suoi articoli. La sera del 27 ottobre 1972, otto mesi dopo il delitto Tumino, Giovanni Spampinato è stato ucciso proprio da Roberto Campria, il figlio del presidente del tribunale, che al momento era indiziato del delitto Tumino, e anche tutta la città lo sospettava. L’assassino si è costituito immediatamente dopo, dichiarandosi reo-confesso, e asserendo di avere ucciso Giovanni Spampinato perché era stato provocato. Studiando ultimamente in modo approfondito la documentazione disponibile, risulta che Tumino, poco prima di essere ucciso, fu visto in una zona di campagna in compagnia di un giovane, e stavano cercando una casa conosciuta come Villa Romeo. Furono interrogati tre contadini, i quali descrissero il misterioso giovane, ma nonostante ciò non venne fatto un identikit, e inoltre questa pista non fu presa minimamente in considerazione. E non si capisce perché l’hanno trascurata, visto che riguarda le ultime ore di vita dell’ingegnere. Dopo qualche mese, ad agosto, addirittura Roberto Campria si era presentato dal giudice istruttore per segnalare questa pista, dicendo di averla appresa dal giornalista Spampinato, sollecitando la ricerca di quell’accompagnatore, e nominando anche Villa Romeo. Difatti i contadini vennero nuovamente interrogati, e ripeterono le stesse cose di prima, confermando anche la descrizione del giovane, e per la seconda volta non venne fatto un identikit. Il giudice istruttore, inoltre, pur essendo a conoscenza dell’elemento “Villa Romeo”, non glielo chiese, e nuovamente rimase tutto lettera morta.

Giovanni Spampinato aveva ritenuto molto importante questa pista per gli elementi, tanto da informare l’opinione pubblica nei suoi due ultimi articoli.Ma, continuando a studiare approfonditamente i documenti, leggendo il rapporto della Polizia Scientifica, intervenuta per i rilievi sull’auto dove fu assassinato Giovanni Spampinato, vi si trova scritto che la seconda pistola, rinvenuta al suo interno, presumibilmente usata dall'assassino, è risultata priva di impronte digitali. E leggendo gli interrogatori delle 5 persone sopraggiunte poche istanti dopo l’uccisione di Giovanni, questi descrivono la presenza di almeno una persona sconosciuta, di un’auto che stava di traverso davanti a quella di Giovanni, e lo sportello di Giovanni completamente spalancato. mentre i soccorritori sono concentrati su come portare Giovanni al pronto soccorso, la persona e l’auto spariscono. Purtroppo questi elementi e la pista che si potrebbe seguire, vengono totalmente ignorati dal sostituto procuratore generale di Catania che conduce le indagini, e nonostante questi documenti siano stati sempre nel fascicolo delle indagini, non sono state presi in considerazione neanche dai 5 avvocati di Parte Civile che nei processi hanno rappresentato la famiglia di Giovanni Spampinato. I 5 avvocati furono ingaggiati dal Partito Comunista per aiutare la famiglia di Giovanni perché era economicamente modesta, decidendo anche la linea processuale da portare avanti. Purtroppo la linea processuale del Pci non portò frutti positivi, e Giovanni non ebbe neanche lontanamente la giustizia che meritava. Questi descritti sopra, sono soltanto alcune delle innumerevole cose che ho documentate nel libro, riportando alla luce molto altro che è stato ignorato e fa capire perché la figura e il lavoro di Giovanni Spampinato, per molti anni sono stati volutamente minimizzati, con l’intento di cancellarlo per sempre.

Tutti coloro che hanno avuto qualcosa da nascondere sin dal primo momento, a cominciare dal delitto Tumino, hanno denigrato sempre Giovanni, perché nessuno si interessasse a fondo della sua vicenda, e cosa c’è dietro, mettendo in giro un mucchio di falsità al fine di farlo apparire uno sprovveduto, e la sua uccisione è stata frutto di un litigio tra giovani. Giovanni Spampinato è stato vittima di quei poteri che non hanno fatto il loro dovere. Giustizia, politica e informazione locale. E le persone oneste e ignare, in buona fede continuano a riportare queste falsità, divenendo inconsapevoli complici. Ho inserito anche la morte del giovane restauratore Salvatore Guarino, amico dell’ingegnere Tumino, che morì folgorato il 6 gennaio 1973 sul campanile della chiesa di San Giorgio di Ibla, perchè molti ancora oggi credono che sia stato ucciso, e la cosa si lega al delitto Tumino.

Il libro, anche se voluminoso, scorre bene, e l’ho scritto in modo semplice spiegando ogni passaggio, perché dopo 50 anni si deve comprendere bene questa intricata vicenda, che per anni ha tenuto un’intera città col fiato sospeso, aspettando che da un momento all’altro venisse fuori la verità.

Il libro pur raccontando cose reali, sembra un romanzo, e anche un giallo, con continui colpi di scena, fino ai giorni nostri. È uno strumento che spiega molto di quel periodo, compresa la situazione politica e le continue minacce alla democrazia.

Per i molteplici contenuti, giustizia, politica, informazione, omertà, ecc, mi piacerebbe che venisse letto anche nelle scuole, perché dà spunto a molti temi di discussione, e anche perché Giovanni Spampinato era un giovane.

sabato 1 ottobre 2022

Crisi economiche e caro bollette, una manna per le mafie

 

Foto tratta da Google Immagini


Dopo la lunga pausa estiva ritorno a scrivere in questo mio diario telematico e lo faccio ripartendo da uno degli argomenti che da sempre mi interessa e mi preoccupa di più.

Il 30 settembre, la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) ha presentato e pubblicato nel proprio sito la relazione semestrale che illustra le attività svolte e i risultati conseguiti nella lotta al contrasto contro le mafie. A pagina 99 c'è un piccolo capitolo che riguarda la nostra provincia. Per la prima volta, grazie ad alcune operazioni delle forze dell'ordine, emergono analisi un po' più chiare che mettono in luce quanto più volte ho detto pubblicamente e poi scritto in questo mio blog. Le mafie catanesi insieme alle 'ndrine calabresi controllano il traffico e lo spaccio delle droghe soprattutto nell'aria orientale della provincia. L'operazione della Guardia di Finanza dell'1 dicembre 2021, denominata “la Vallette”, dimostra come le 'ndrine di Lamezia Terme e le “famiglie” catanesi avevano (e continuano ad avere?) il ruolo di controllori dei gruppi criminali che operano nell'area orientale del ragusano, attraverso la fornitura stabile della droga da spacciare nel territorio. Infatti nella relazione si legge: “La base operativa dell’organizzazione era ad Ispica (RG) e l’approvvigionamento della droga avveniva secondo un duplice canale albanese e calabrese. Lo stupefacente una volta giunto in Sicilia attraverso i predetti canali veniva immesso sul mercato locale tra le province di Siracusa e Ragusa e smistato anche in Lombardia e a Malta … Di rilievo è anche l’operazione “Bad Uncle” del 2 dicembre 2021 che ha disvelato un’articolata rete di spaccio di cocaina, marijuana, hashish e crack tra Modica, Ispica e Pozzallo documentando migliaia di cessioni di stupefacenti anche a minori”. Finalmente, nella relazione emerge anche come i proventi dello spaccio possano entrare facilmente nell'economia legale. Infatti, sempre a pagina 99 si legge: “Gli interessi delle organizzazioni criminali ragusane (controllate dai catanesi e dai calabresi n.d.r.) appaiono peraltro prevalentemente orientati all’infiltrazione nelle attività economiche “pulite” dove vengono investite le somme di denaro nel tempo illegalmente accumulate”. 

Le crisi economiche che si sono abbattute con forza sul nostro sistema d'imprese sta facilitando gli interessi economici delle mafie. La crisi finanziaria del 2009/2010 ha ridotto fortemente l'accesso al credito per le imprese; la crisi pandemica,  con i suoi lockdown ciclici, ha costretto alla chiusura diverse categorie economiche; infine, la crisi determinata dalla guerra sta causando un aumento esponenziale dei costi energetici. Le ultime due hanno colpito duramente i comparti più interessanti che si stanno sviluppando proprio nella zona orientale dell'area ragusana: quello del turismo e della ristorazione. Dopo l’emergenza sanitaria e il conflitto in Ucraina, gli imprenditori di questi settori stanno facendo i conti con il caro bollette, la mancanza di liquidità, debiti e difficoltà nell’accesso al credito. Il rischio che chi non riesce a ripianare un debito accetti “l'aiuto” di soggetti legati alle organizzazioni criminali, pronti a offrire somme allettanti,   può essere più che concreto. Senza voler giustificare nessuno, bisogna mettersi nei panni di chi ha un’attività di questo tipo e si ritrova schiacciato da bollette stratosferiche, poche prenotazioni, esposizione bancarie e debiti coi fornitori. L'ho scritto tante volte, lo ribadisco ora con più forza: le mafie che controllano queste aree della nostra terra (cosche catanesi dei Mazzei e dei Cappello, insieme alle 'ndrine calabresi) hanno una chiara strategia industriale: impadronirsi del territorio grazie alle crisi. La criminalità organizzata è molto preparata sul fronte del riciclaggio e del diritto societario. Si avvale dell'abilità di certi professionisti capaci nel creare strutture economiche difficili da decifrare e da scomporre. Tutto questo può avvenire, o sta già avvenendo, soprattutto in una zona che - secondo una certa “letteratura antimafia” - appare tranquilla perché immune da manifestazioni di violenza. Ma le mafie amano la quiete, la coltivano con cura, perché dietro quest'apparente serenità i fiumi di denaro del narcotraffico scorrono senza intoppi ... e con una rapidità impressionante diventano ... economia legale!

Per chi fosse interessato allego il link della relazione DIA

https://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/wp-content/uploads/2022/09/Relazione_Sem_II_2021-1.pdf

sabato 25 giugno 2022

Aeroporto di Comiso, ritorno al passato?

 

Immagine tratta dal sito della Orbit Boy

Quali progetti si stanno portando avanti per rendere veramente attivo l'aeroporto di Comiso? Si sta forse puntando ad un forte rilancio del trasporto civile, con più voli da e per diverse località italiane ed europee, in modo da rendere il territorio ibleo più autonomo da Catania? Oppure, si sta pensando di avviare il trasporto aereo-cargo utilizzando come base logistica l'autoporto di Vittoria? No! Nulla di tutto ciò. Pare, invece, che il futuro dell'aeroporto di Comiso possa essere legato ad un suo ritorno al passato, cioè come eventuale base di lancio, questa volta non di missili con testate nucleari ma, di missili che lanciano microsatelliti nello spazio da utilizzare poi per scopi militari. Provo a spiegare meglio. Pochi giorni fa a Catania si è tenuto un convegno dove il prof. Antonio Mazzeo, insegnate e storico militante pacifista siciliano, con la precisione e il garbo che lo contraddistingue, ha illustrato questa nuova possibilità di riutilizzo dell'aeroporto di Comiso. Il suo intervento, raccolto in un filmato, è stato fatto girare nei social (io l'ho condiviso nel mio profilo Facebook. Ascoltate dal minuto 11:53). 

https://www.facebook.com/100006721298825/videos/3118616775048567/

Le parole del prof. Mazzeo mi hanno spinto a fare alcune ricerche, in particolare sono stato incuriosito dal “progetto ARAMIS” (Advanced Radio Access for Military Solution che in italiano diventa Accesso Radio Avanzato per soluzioni Militari). E' un progetto inserito nel PNRM (Piano Nazionale Ricerche Militari) finanziato dal Ministero della Difesa e consiste in un nuovo sistema di telecomunicazioni per le forze armate basato su microsatelliti. La prima fase di realizzazione di questo sistema innovativo, costata cinquecentotrentasette mila euro (per essere precisi € 537.146,95), è stata affidata il 26 novembre del 2018 - con "procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando" - ad una azienda italiana: la Italspazio srl. Il tutto si evince dal "Resoconto della gestione finanziaria  dei contratti al termine della loro esecuzione", redatto dal Ministero della Difesa, relativo all'anno 2020 e di seguito allegato.


La Italspazio ha sede a San Giovanni La Punta, vicino Catania, ma ha anche una sede a Roma e una Kiev (si veda link sotto allegato)



Il progetto ARAMIS consta di tre fasi. La prima è stata superata positivamente. La seconda è stata già finanziata per un milione e trecentomila euro (€ 1.300.000,00) come si evince dalla Relazione preliminare del Ministero della Difesa del 14/05/2020 con numero di protocollo 133/078. L'operatore economico individuato dal ministero  è sempre la Italspazio srl. Il tutto si può leggere nel link di seguito allegato.

https://www.difesa.it/Amministrazionetrasparente/segredifesa/teledife/Documents/Determinazione_a_Contrarre_78.pdf

Il progetto "ARAMIS" è stato presentato pochi giorni fa, esattamente il il 31 maggio scorso, a Bruxelles, al “First European Defence Innovation Day 2022”, dalla Federazione AIAD (Aziende Italiane per l'Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza) legata a Confindustria (si vedano i link sotto allegati) 

https://www.reportdifesa.it/segredifesa-al-first-european-defence-innovation-day-2022/

https://aiad.it/homepage/aiad-chi-siamo/

E' ovvio che questi microsatelliti per andare in orbita devono partire da una base che si trova a terra. La Italspazio ha da tempo un accordo con un impresa inglese, la Orbit Boy (anche questa operante nel settore aerospaziale) per lo sviluppo congiunto di un sistema di lancio aereo di microsatelliti dal territorio italiano. In parole povere si tratta di agganciare un missile, che contiene un microsatellite, nella carlinga di un normale aereo da trasporto per poi spararlo quando lo stesso aereo è in volo. Le due società il 10 agosto del 2021 hanno presentato il concetto di Orbit Boy Air-Launch System (il sistema di lancio del razzo che contiene il microsatellite ndr) "e la visione per l'accesso autonomo allo spazio del territorio italiano alle autorità locali di Comiso, ricevendo dalle stesse feedback positivi e ottenendo supporto nello sviluppo della roadmap del progetto"La presentazione del sistema, con foto ricordo, si può leggere e osservare aprendo il link sotto allegato.

https://orbitboy.rocks/tpost/k134y86v81-orbit-boy-and-italspazio-will-develop-sp

Non sto dicendo che “il progetto "ARAMIS” coincide con “il concetto di Orbit Boy Air-Launch System”, me ne guarderei bene. Leggendo però l'articolo pubblicato il 17 marzo scorso nel sito spaceconomy360.it emergono alcune riflessioni e sorgono alcune domande.

https://www.spaceconomy360.it/politiche-spazio/cooperazione-spaziale-lucraina-si-prepara-a-intensificare-i-progetti-con-litalia/

La Orbit Boy è stata fondata dall'ex capo dell'agenzia spaziale ucraina, Volodymyr Uzov. L'impresa “… guarda al mercato dei lanciatori per microsatelliti insieme a Yuzhmash (industria di stato ucraina che fabbrica anche sistemi missilistici militari https://en.wikipedia.org/wiki/Yuzhmash) e ad altre aziende ucraine”. Tra “le altre aziende ucraine” c'è anche la Italspazio srl? La domanda nasce dal fatto  che la stessa Italspazio (che ha progettato ARAMIS il sistema di telecomunicazioni militari basato proprio su microsatelliti) ha sede anche a Kiev. Continuando a leggere l'articolo il sig. Uzov dichiara: “Abbiamo stabilito una collaborazione con partner italiani a Torino e desideriamo utilizzare la base militare abbandonata di Comiso, in Sicilia. Lanceremo da lì”. Chi sono questi partner italiani di cui parla il sig. Uzov? E poi perché dichiarare: "... desideriamo utilizzare la base militare abbandonata di Comiso"? Quale motivo li spinge a desiderare proprio Comiso? E poi, i dirigenti della Orbit Boy insieme a quelli della Italspazio, essendo interessati per i loro lanci a questa infrastruttura, saranno venuti a Comiso per visionare la base! Si saranno resi conto che non è  abbandonata! Avranno visto che c'è un aeroporto civile - non attivissimo -  in funzione! Il sig. Uzov ha forse voluto evidenziare il fatto che essendo una struttura discretamente utilizzata (abbandonata), la stessa può avere un ruolo discreto come base dove movimentare e far decollare aerei da trasporto che portano in pancia questo missile? Riflessioni e domande che alimentano qualche dubbio e dovrebbero suscitare anche l'attenzione della classe dirigente e politica di questo territorio. Una cosa comunque pare certa: la Orbit Boy e la Italspazio intendono lanciare microsatelliti con degli aerei facendoli decollare dall'aeroporto di Comiso. Non si capisce se questi microsatelliti saranno utilizzati per scopi militari o no, ma questo, come cantava Lucio Battisti, lo scopriremo solo vivendo.

https://www.forumastronautico.it/t/orbit-boy-e-italspazio-lanceranno-da-comiso/39084


domenica 5 giugno 2022

Giustizia irredimibile



Rosario Greco, il pregiudicato che meno di tre anni fa travolse e uccise brutalmente con il suo suv Alessio e Simone, è tornato a casa.  La decisione di mettere agli arresti domiciliari questa persona è della cassazione (lo scrivo minuscolo appositamente). Già nel marzo scorso la "corte suprema" aveva annullato il processo d'appello e quindi la condanna a nove anni, NOVE ANNI, di Greco. Si ripartirà da zero, il processo con tutte le sue liturgie dovrà essere rifatto. Nel frattempo, mentre tutto si riorganizza, per Greco si sono aperte le porte del carcere. Ammiro la compostezza dei genitori di Simone e Alessio. La loro rabbia legittima è stata ed è, anche di fronte a questa assurdità procedurale, garbatamente contenuta. Una indignazione senza sbavature nei confronti di un apparato burocratico della giustizia che nasconde dietro la forma le sue gravi mancanze, perché pare che l'annullamento della sentenza sia dovuto ad un fatto tecnico: "un difetto di motivazione nel rigetto della perizia psichiatrica per Greco". Vi potrà sembrare assurdo, ma la forma, i tecnicismi, valgono più dell'evidenza:  due giovanissime vite tranciate da un suv che correva a forte velocità dentro il centro storico della nostra città. Aveva ragione Manzoni quando parlava di azzeccagarbugli.

Pochi mesi dopo la tragica morte di Alessio e Simone qualcuno (forse) definì Vittoria "irredimibile", come se tutto il male del mondo fosse racchiuso dentro il perimetro di questo territorio. Fermo restando che Vittoria è una città molto complessa e ricca di tante, troppe, anomalie, questo fatto conferma ancora una volta che è lo stato e il suo apparato giudicante ad essere "irredimibile",  perché come spesso dicono gli anziani: "u pisci feti ra testa".

domenica 8 maggio 2022

Peppino Impastato

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La sera tra l'8 e il 9 maggio del 1978 il corpo di Peppino Impastato fu prima martoriato dalle legnate e poi straziato dal tritolo. Le sue parole oltre a dileggiare e ridicolizzare il potere mafioso crearono - e creano ancora oggi - coscienza e più in particolare consapevolezza su quanto lo stesso potere mafioso fosse dannoso - ed è ancora oggi dannoso - economicamente e socialmente. Nel 1966, Peppino fondò un giornale, "L'IDEA SOCIALISTA",  che come prima uscita titolava in prima pagina: "La mafia è una montagna di merda". Un articolo che al suo interno non si limitava a citare, con coraggio, i nomi dei mafiosi e dei politici corrotti; ma soprattutto descriveva, con chiarezza, il sistema criminale di cosa nostra, basato sul rispetto dei mafiosi.

Umberto Santino, poco tempo dopo l'uccisione di Peppino (1979) scrisse una poesia:

La Matri di Peppino.

Chistu unn’è me figghiu. Chisti un su li so manu chista unn’è la so facci. Sti quattro pizzudda di carni un li fici iu. Me figghiu era la vuci chi gridava ‘nta chiazza eru lu rasolu ammulatu di lo so paroli era la rabbia era l’amuri chi vulia nasciri chi vulia crisciri. Chistu era me figghiu quannu era vivu, quannu luttava cu tutti: mafiusi, fascisti, omini di panza ca un vannu mancu un suordu patri senza figghi lupi senza pietà. Parru cu iddu vivu un sacciu parrari cu li morti. L’aspettu iornu e notti, ora si grapi la porta trasi, m’abbrazza, lu chiamu, è nna so stanza chi studia, ora nesci, ora torna, la facci niura come la notti, ma si ridi è lu suli chi spunta pi la prima vota, lu suli picciriddu. Chistu unn’è me figghiu. Stu tabbuttu chinu di pizzudda di carni unn’è di Pippinu. Cca dintra ci sunnu tutti li figghi chi un puottiru nasciri di n’autra Sicilia.

Versi che ci raccontano la disperazione di mamma Felicia ma nello stesso tempo ci dicono quanto fosse dirompente la forza politica e organizzativa di Peppino contro il potere mafioso del suo territorio.

E' di questa forza che abbiamo bisogno, perché loro, comunque, non hanno ancora vinto.

sabato 30 aprile 2022

PIO LA TORRE, UCCISO PER TUTTA UNA VITA.

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40 anni fa la mafia uccideva Pio La Torre, un dirigente prima sindacale e poi politico che aveva compreso sin da ragazzo come la criminalità organizzata non fosse esclusivamente un problema di ordine pubblico, ma era, prima ancora, un'organizzazione economica che godeva di forti complicità istituzionali. In una delle sue ultime interviste dichiarava sorridendo e con  semplicità: "... bisogna spostare l'asse dell'azione preventiva e repressiva da quello che è stato l'andamento tradizionale: inseguire i "poveracci" ... e invece concentrare la nostra attenzione sull'illecito arricchimento, perché la mafia ha come fine l'illecito arricchimento. E' li che dobbiamo mettere i riflettori ...". 

La battaglia contro l'istallazione dei missili Cruise a Comiso fu la forza risultate  di tutta la sua azione politica. Pacifismo, lotta alle econome mafiose e lotta per uno sviluppo del territorio in modo equo e sostenibile. In nome di questi tre principi portò a Comiso oltre 100 mila persone di varia estrazione politica, culturale e religiosa. Era riuscito, insieme al PCI siciliano, a costruire un blocco capace di mettere a nudo verità scomode. Era diventato definitivamente pericoloso, andava eliminato con urgenza. La mattina del 30 Aprile del 1982, poco prima delle 10, lui e Rosario Di Salvo (un dirigente politico prima ancora che autista di La Torre) verranno ammazzati dalle raffiche di un fucile mitragliatore Thompson, arma in dotazione all'esercito degli Stati Uniti. Si disse subito che fu la mafia ad uccidere la Torre e Di Salvo. Un giovane giudice istruttore, il dott. Giovanni Falcone, diede un'interpretazione diversa di quell'omicidio che provava ad aprire una lettura difforme e nuova: "Omicidi come quello di Pio La Torre sono fondamentalmente di natura mafiosa, ma al contempo sono delitti che trascendono le finalità tipiche di un'organizzazione criminale, anche se del calibro di cosa nostra. Qui si parla di una situazione in cui si è realizzata una singolare convergenza di interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica, fatti che non possono non presupporre un retroterra di segreti e di inquietanti collegamenti".

Dopo 40 anni lo storico Enzo Ciconte, in un  articolo pubblicato pochi giorni fa sul blog di Attilio Bolzoni "Domani Blog Mafie" (allegato di seguito), ci racconta di un documenti che mette in luce e fa emergere una parte di questo "retroterra di segreti e di inquietanti collegamenti" di cui parlava Falcone.  Vi invito a leggerlo. Buona lettura.


Il documento segreto dei servizi sull’omicidio La Torre: silenzi e omissioni di Stato.

di Enzo Ciconte


Le indagini per  l’omicidio di Pio La Torre, deputato e segretario regionale del Partito comunista italiano (Pci) della Sicilia, ucciso assieme a Rosario Di Salvo, lo si capì subito, si rivelarono difficili e complicate a cominciare dalla stranezza delle armi di provenienza militare.

Sulla sua uccisione si è scritto molto. Eppure, dopo tanti anni succede di trovare delle carte inedite che aprono un nuovo scenario. Ho scoperto tra i fondi dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma un documento di 31 pagine con un titolo inequivocabile: Mafia: omicidio Pio La Torre. A distanza di due settimane dall’assassinio, il 17 maggio, l’allora direttore del Sisde (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica), Emanuele De Francesco, lo inviò al presidente del Consiglio Spadolini e al ministro dell’Interno Rognoni.  

Quando, qualche mese dopo, De Francesco riceve da Chinnici, giudice istruttore del Tribunale di Palermo, la richiesta di fornire notizie sull’omicidio La Torre, risponde che «il Sisde non è in possesso di elementi per l’identificazione degli autori dell’omicidio dell’on. Pio La Torre o per l’individuazione del possibile movente». Anche un altro ufficiale del Sisde, Bruno Contrada, all’epoca coordinatore dei centri Sisde della Sicilia, interrogato durante il processo La Torre, dichiara di «non essersene mai occupato». Ricavo le due notizie dal libro di Paolo Mondani e Armando Sorrentino Chi ha ucciso Pio La Torre?, edito da Castelvecchi nel 2012. Quella di De Francesco è una dichiarazione non veritiera, come non veritiera è quella di Contrada. Alla magistratura si poteva mentire perché, secondo questi due poliziotti di razza, funzionari apicali del Sisde, i magistrati dovevano essere tenuti fuori dalle informazioni in loro possesso quasi fossero un corpo estraneo.

IL DOCUMENTO SEGRETO

Il documento che De Francesco invia a Spadolini è identico a quello trasmesso a lui solo pochi giorni prima da Contrada. Dunque ci sono due testi: quello del 17 maggio che è quello ufficiale, e l’altro del 13 maggio che è indirizzato al direttore del Sisde. Lo scritto di Contrada, però, ha il frontespizio oscurato. Ancora oggi, a distanza di 40 anni, ufficialmente permane il segreto, o mistero che dir si voglia, su chi sia questa fonte che oggi sappiamo essere quella del Sisde di Palermo perché lo ha rivelato Contrada. Perché tenerla ancora segreta?

Ma l’elemento che rende particolare, anzi unico, il documento firmato da De Francesco è il fatto che, annotati a margine ci sono commenti a dir poco singolari che in ogni caso sono molto utili perché svelano un pensiero: ridimensionare l’impegno e l’importanza di La Torre. Chi è l’autore di queste annotazioni a matita? Non si sa. Si possono avanzare delle ipotesi. Potrebbe essere lo stesso direttore che, dopo aver mandato ufficialmente il testo di Contrada, mette nero su bianco il suo pensiero, oppure qualcuno di grado molto elevato perché ha la possibilità di visionare e di annotare un testo di quel tipo.

Le cose più interessanti sono le annotazioni a margine, proprio perché esse ci consentono di far emergere la singolarità del documento. Nella parte descrittiva dei moventi dell’omicidio è detto che una delle cause è la “promozione di una estesa e incisiva campagna politica contro la installazione della base missilistica a Comiso”. Poco dopo questo giudizio troviamo la seguente valutazione: “Egli era divenuto il simbolo della lotta antimafia, non solo nell’ambito del suo partito ma anche in tutti gli altri ambienti cittadini”. A matita, un commento lapidario: Sarà!

È un’affermazione sorprendente perché fa a pugni, tra l’altro, con quanto è detto subito dopo circa l’impegno antimafia del dirigente comunista. «È opinione diffusa in questa città che l’on. La Torre avesse quasi personalizzato il problema della mafia, ne avesse fatta una ragione di vita». Vero, La Torre ne aveva fatto una ragione di vita, ma non aveva “personalizzato” il suo impegno quasi fosse una sua ossessione o questione personale. Tanto è vero che «molti, anche in ambienti qualificati» ritenevano che la stessa campagna contro la base di Comiso fosse «utilizzata per l’obiettivo primario della lotta alla mafia». In modo corretto il documento del Sisde precisa che «negli ultimi due mesi l’attività dell’on. La Torre tendente a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della mafia in Sicilia ed a far sì che divenisse una questione nazionale si era vieppiù intensificata e pubblicizzata». 

E allora davvero è incomprensibile quel Sarà! che stride con tutto il resto dello scritto e stride ancor più con l’eco e la risonanza nazionale che l’omicidio ha provocato in tutti gli ambienti. Basti seguire la reazione della stampa di quei giorni per averne una conferma. A Emanuele Macaluso, qualche giorno prima La Torre aveva detto: »Adesso tocca a noi», non immaginando quanto avesse drammaticamente colto nel segno, né tanto meno che potesse essere lui la vittima. Per capire quello che è successo bisognava guardare sia al rapporto mafia-politica sia a quelle che accadeva fuori della Sicilia. È un omicidio italiano non solo siciliano.

LA MATITA DEL DISCREDITO

I giornali mettono in relazione l’uccisione di La Torre e l’arrivo di dalla Chiesa a Palermo come prefetto della città. Di dalla Chiesa si occupa anche il documento firmato da De Francesco. «Non è infine da sottovalutare anche l’opinione piuttosto diffusa in città che nella designazione» del generale dalla Chiesa a Prefetto di Palermo, notizia che aveva allarmato mafiosi e ambienti contigui alla mafia, «avesse avuto una parte determinante anche l’on. Pio La Torre». Commento con la solita matita: «Bah! Tesi poco credibile».

Che senso ha una simile postilla? Era noto, e pubblicizzato sulla stampa, che il 3 marzo Ugo Pecchioli, Pio La Torre e Rita Costa, la vedova del giudice Costa assassinato dalla mafia, erano andati da Spadolini per presentargli proposte sulla lotta alla mafia che avevano elaborato dopo che una delegazione di parlamentari comunisti s’era recata in Sicilia incontrando varie personalità e magistrati. Nel fondo Pecchioli custodito presso la Fondazione Gramsci di Roma, c’è un’ampia documentazione delle proposte avanzate. Pochi giorni dopo il Governo nomina dalla Chiesa prefetto di Palermo. Era evidente che c’era una relazione, o diretta o indiretta, con quell’incontro.

Che La Torre e dalla Chiesa si conoscessero sin da quando La Torre era dirigente sindacale a Bisacquino, che si stimassero e non nascondessero la loro amicizia, e si frequentassero era cosa nota e risaputa. Tra l’altro, il Sismi ha pedinato la Torre per tre decenni, pedinamento che terminò una settimana prima che fosse ucciso. Pura coincidenza? Oppure il pedinamento fu di proposito abbandonato per non essere testimoni di quello che, si sapeva, sarebbe accaduto?

Ancora un giudizio interessante nel documento di De Francesco secondo cui «l’omicidio sia stato perpetrato alla vigilia dell’arrivo a Palermo del nuovo Prefetto» e che l’azione criminale «sia stata fatta eseguire, da chi l’ha demandata, con voluta eclatanza intimidativa». Con la solita matita, un commento non facilmente decodificabile: «Conoscendo l’uomo come lo conosce la Mafia non è molto verosimile».

Due ultime annotazioni è utile segnalare. La prima riguarda un forte disprezzo verso i politici. All’idea di istituire una commissione parlamentare di vigilanza contro il crimine organizzato c’è la solita matita che precisa «lascerei i politici fuori!». La  commissione avrebbe dovuto vigilare quando «operazioni finanziarie o procedure d’appalti appaiono legate alla mafia»; il commento a matita non si fa attendere: «soprattutto per questi motivi escluderei i politici». Infine, quando si accenna alla possibile modifica dell’art. 416 del codice penale, inserendo il bis con il reato di associazione mafiosa, la postilla a matita è: «(Associazione per delinquere). Si, ma quale? (forse per la parte che riguarda la permanente colleganza tra gli associati?)». Evidentemente sfuggiva la portata dell’innovazione dirompente della legge.

SOLO E SEMPRE LA MAFIA

Il documento Contrada-De Francesco, (a giusta ragione si potrebbe definirlo così), ha un limite di fondo: suggerisce che gli autori del crimine siano solo mafiosi violenti assetati di sangue. In nessun conto sono tenute le denunce di Pio La Torre sul ruolo del banchiere Michele Sindona e dei suoi molteplici legami mafiosi e finanziari con politici in Sicilia e a livello nazionale, l’individuazione del pericolo di una struttura parallela della Nato, illegale, che all’epoca non aveva un nome e che poi avremmo imparato a chiamare Gladio, la sottolineatura della nuova strategia della mafia e del ruolo di Vito Ciancimino nella Dc diventato più potente dopo l’uccisione di Michele Reina. Solo coppole e niente altro sembra suggerire quello scritto del Sisde.

Nelle carte della Fondazione Gramsci c’è il documento finale del IX congresso regionale del Pci siciliano, l’ultimo a cui partecipò La Torre che nella sua relazione sostenne che «gli omicidi politici compiuti dal terrorismo mafioso in Sicilia nel ‘79 e nell’‘80 non possono essere esaminati come singoli episodi» perché, invece sono “sequenze allucinanti” collegate tra di loro: gli omicidi di Giuliano, Terranova, Mattarella, Basile, Reina, Costa.

Nel documento del Sisde c’è scritto invece che questi omicidi «trovano origine e conclusione in ambienti e fatti di mafia», per cui non c’è spazio per un interrogativo che pure aveva posto La Torre per gli altri omicidi e che ora tornava ancora più stringente dopo la sua morte: siamo sicuri che solo e soltanto di mafia si tratti? E siamo sicuri che non ci sia una «matrice politica», quella già individuata da La Torre in un’intervista al “Mondo” del 26 ottobre 1979 già solo per i delitti di Reina, Giuliano e Terranova e che diventava più attuale proprio dopo gli omicidi che precedevano il suo?

Coppole certo, non si discute, ma qualcosa di più e di molto più grande doveva pur esserci per capire il senso dell’omicidio La Torre.

sabato 16 aprile 2022

LA DIA IGNORA LE ECONOMIE MAFIOSE?


Dopo un po' di tempo ritorno a scrivere su questo mio diario telematico. Ciò che mi ha spinto a mettere nero su bianco è l'ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia e in particolare il rapporto sulla criminalità organizzata in provincia di Ragusa (https://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/wp-content/uploads/2022/03/Relazione_Sem_I_2021.pdf). 

Leggendo le tre pagine (117-119) che riguardano il territorio ibleo ho avuto la sensazione come se le mafie fossero presenti e organizzate soltanto ad Acate, Comiso, Vittoria - dove la "stidda è ben radicata"- e Scicli,  dove permane l'influenza del clan Mormina classificato come una propaggine del gruppo mafioso catanese dei Mazzei. Tutto il resto della provincia, leggendo sempre le tre pagine, pare poco contagiata o sostanzialmente immune alle logiche e agli interessi economici della criminalità organizzata. E' come se le mafie, che hanno attraversato le Alpi e gli oceani, infettando le economie di interi continenti, avessero avuto paura a scalare i costoni dell'Altipiano Ibleo. Negli altri centri c'è solo spaccio e consumo di droghe? Solo e soltanto nella quotidianità che si riproduce nella società ipparina e sciclitana si propagano gli affari e le tresche della criminilità? Oppure c'è qualcosa anche nelle altre realtà però non si riesce a far emergere? Onestamente devo dire che se è questo il livello di conoscenza che un'istituzione investigativa come la DIA ha del nostro territorio c'è da preoccuparsi. Tutto è ricondotto all'aspetto criminale più basso, quello cioè che fa riferimento agli atti delinquenziali canonici (furti, risse, spaccio, gestione della prostituzione). Tutti reati esercitati in modo organizzato, capaci di concentrare l'attenzione delle forze dell'ordine su questi territori, ma sono sempre atti che presentano una valenza criminale scadente. Nella relazione si parla ancora di "stidda" quando verosimilmente la stessa oramai è stata da tempo assorbita e i suoi (ex) esponenti, probabilmente, sono diventati il bracciantato di mafie più organizzate e strutturate che puntano ad egemonizzare, o egemonizzano già, le economie del territorio. Invece, per quanto riguarda il riciclaggio delle masse di denaro prodotte illegalmente non vi è nessuna traccia. E' come se questo reato non esistesse. Eppure nei quaderni dell'Ufficio d'Informazione Finanziaria  (UIF) redatti della Banca d'Italia, la nostra provincia da questo punto di vista risulta essere molto attiva.  Forse queste pubblicazioni non vengono considerate? Anche i dati sulle tossicodipendenze in provincia sono significativi e posso fornire spunti interessanti. In un convegno tenutosi a Vittoria poche settimane fa, organizzato dalla CGIL, Libera e dall'ASP di Ragusa è emerso un dato tanto preoccupante socialmente quanto inquietante economicamente. In  provincia di Ragusa, su una popolazione di 320 mila abitanti, 40 mila persone fanno uso di droghe; cioè il 13% della popolazione (https://www.ragusaoggi.it/droghe-e-dipendenze-il-caso-ragusa-su-320-mila-residenti-in-provincia-sono-2914-i-tossicodipendenti-monitorati-dal-sert/).  Ognuno di questi 40 mila spende in media €10,00 al giorno per "sballarsi". Facendo un semplice calcolo, in un mese le mafie iblee incassano (40.000 x €10,00 x 30)  €1.200.000,00. In un anno €144.000.000,00 (centoquarantaquattromilioni di euro). Questa massa di denaro, che si produce solo nella nostra provincia, dove finisce? O meglio: dove viene reinvestita? Rimane tutto in zona o in parte va fuori? Gli istituti finanziari, i professionisti e le imprese che operano in questa terra, hanno un ruolo nel digerire, o meglio, riciclare queste somme? Ad onore del vero la relazione della DIA proverebbe a dare una piccola risposta. Infatti, verso la fine, nell'ultimo capoverso del rapporto, si parla di infiltrazioni delle mafie nelle economie "pulite". Però si fa, come sempre, riferimento solo al Mercato ortofrutticolo di Vittoria. Ma il mercato è una struttura che da decenni è sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti. Soltanto una mafia balorda può essere interessata solo ed esclusivamente a questa struttura economica. Facendo una piccola ricerca sul sito https://www.reportaziende.it/ricerca-geografica-comuni-italiani, tirando fuori e poi sommando i fatturati relativi all'anno 2020 delle aziende più importanti che operano rispettivamente nei comuni di Acate, Comiso, Scicli e Vittoria (territori che secondo la DIA sono ad alta densità mafiosa), il risultato che si ottiene non supera i 510 milioni dii euro di volume d'affari. Viceversa, la somma relativa ai fatturati delle aziende più significative che operano nelle città "immuni" è di 1.875 milioni euro (quasi due miliardi di euro). Chi deve riciclare soldi sporchi, lo fa in un territorio economicamente poco brillante e soprattutto in una struttura che è sotto la ciclica attenzione delle forze di polizia? Oppure, non è più logico pensare che chi deve riciclare cerca di impiegare questi capitali in aree finanziariamente più dinamiche e, in primo luogo, poco controllate dagli inquirenti?

Se alla DIA è attribuita la funzione di prefigurare, attraverso l'analisi, l'evoluzione dei fenomeni criminali in modo da orientare gli investigatori verso un efficace contrasto alle criminalità organizzate, leggendo le sue relazioni si percepisce tutt'altro. Questi rapporti sono oramai anacronistici. Non tengano conto delle evoluzioni che la criminalità organizzata ha avuto nel tempo e descrivono, con un copia e incolla ripetuto nel tempo, sempre e solo le solite realtà. E' come se le mafie fossero qualcosa di cristallizzato e di immobile, quando invece sono l'esatto opposto. Queste relazioni ci dicono che lo Stato è capace di avversare la criminalità spicciola, quella che disturba, che crea problemi di ordine pubblico. Viceversa, per le economie mafiose che stanno avvelenando e impoverendo la nostra terra o non si hanno i mezzi oppure (questo sarebbe grave) non si ha la voglia di contrastarle.