Era
solo questione di tempo. Prima o poi doveva accadere. Un magistrato esce dal suo ufficio per la pausa caffè o per la pausa pranzo, oppure perché la sua giornata di lavoro si è semplicemente
conclusa. Passeggia nella tranquilla e “babba” Ragusa, una
macchina l'affianca e qualcuno gli ricorda - con il garbo che
caratterizza esclusivamente questo tipo di avvertimento - che deve
stare al suo posto e non rompere, come direbbe Montalbano, i
“cabbasisi”. Molti erano convinti che in questa terra intimidire
un magistrato fosse una scommessa da non fare, un limite da cui
tenersi lontani. Si è sottovalutando il ruolo della nuova
criminalità economica. La mafia di queste zone è stata sempre
raccontata più come un problema di ordine pubblico confinato in
un'area geografica ben precisa: Vittoria. Qui, da sempre opera
una malavita organizzata fatta da figure un po rozze, poco colte e molto violente, capaci di ammazzarsi tra loro per depredare il
territorio con il racket, lo spaccio o le rapine. Gente che veniva e viene periodicamente arrestate. Le loro facce riempiono le pagine dei
giornali quando si effettuano operazioni di polizia dai nomi
ridondanti. In pochi però hanno capito che questi personaggi da fiction
nel tempo hanno assunto un ruolo che è quasi di di secondo piano, fanno da copertura. Così mentre
nell'immaginario collettivo la mafia iblea restava e resta un
volgare fenomeno criminale, chiuso topograficamente nell'ipparino,
l'impresa mafiosa - costituita da diverse attività di servizio all'agricoltura, all'edilizia, all'industria - si sviluppava in silenzio e senza grandi clamori in
tutta la provincia (Vittoria compresa). Un successo che
nessuno ha contrastato. L'economia criminale ha iniziato a controllare il
mercato imprenditoriale locale travolto dalla crisi e
contemporaneamente ha costruito il successo delle proprie attività
economiche che venivano finanziate grazie ai capitali illeciti che
provenivano e provengono dalla droga. Mentre la crisi impoveriva il territorio e il tasso di disoccupazione aumentava, l'impresa criminale
era l'unica che generava e genera ricchezza, creando così
attorno ad essa un largo consenso che attraversa tutti gli strati sociali. Il dossier redatto dalla
Coldiretti apre uno squarcio importante. Quindi, le domande da porsi sono: Cos'è realmente l'economia criminale? Chi ha curato e gestito con profitto queste
attività economiche e i loro patrimoni? Non certo dei volgari e
violenti criminali. Per raggiungere certi risultati economici ci voglio
professionalità specifiche. Forse la dott.ssa Botti ha messo gli
occhi su queste cose? E' stato toccato il nervo che per anni era ben
coperto e mimetizzato? Se è così non bisogna mollare. La strada intrapresa pare quella giusta. Una cosa mi
sembra chiara: va rivista tutta quella narrazione e quella letteratura
antimafia che fino ad ora ha letto e spiegato questo territorio (denunce di Borrometi escluse). C'è un'ampia zona grigia (fatta di professionisti e di finanza?) che
vuole rimanere nell'ombra. Sappiano che il buio non divora ciò che
nasconde. Vada avanti dott.ssa Botti, accenda la luce. Non è sola, in tanti sono con lei.
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