L'arte
è creare bellezza. La Chiesa, fin dalle sue origini, ha ben
compreso il valore e l'importanza dell'arte, l'ha utilizzata in modo
sapiente, si è servita dei suoi multiformi linguaggi per comunicare
il suo “annuncio di redenzione”. Ha estremizzato a tal punto la
rilevanza e il controllo dell'arte che si è appropriata anche del
concetto di bellezza, imponendone i canoni. La sua potenza gli ha
permesso di normare la bellezza. Per secoli gli edifici religiosi e le
loro pareti
sono stati il telo sul quale la Chiesa ha dipinto il suo
autoritratto. Attorno agli antichi edifici religiosi nascevano
quartieri ordinati che rispondevano alla bellezza dell'edificio
sacro. Da diversi decenni non è più così. Il rapporto tra arte e
spiritualità è ormai sganciato dal concetto di bellezza. Via via
nel tempo sono prevalse altre logiche sempre più legate al business
o alle speculazioni. Le chiese di oggi sono edifici tristi e
desolanti inseriti in quartieri spenti e depressi. Sarebbe
interessante capire chi li ha progettati e come sia
riuscito ad ottenere le commesse. Se un bene pubblico, come una
chiesa, non è bello rischia di essere un “pericolo” per la
comunità che lo utilizza. Il nostro territorio questo principio lo
ha sperimentato sulla sua pelle. Il momento attuale è segnato da
fenomeni negativi, sia sociali che economici, che stanno affievolendo
speranza e fiducia. Crescono i segni di rassegnazione e di
aggressività. Tutto questo sta rafforzando ancora di più figure che
da questo territorio hanno solo tratto grandi profitti personali,
abili fantini che negli anni sono saltati da un cavallo all'altro pur
di controllare la cosa pubblica affermando esclusivamente i propri
interessi. Non serve solo cacciarli dal "tempio", riuscirebbero a
rientrare dalle porte laterali. Peppino
Impastato diceva: "Se
si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma
contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di
orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore,
da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si
mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto
ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il
solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per
sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla
bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine
e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo
stupore”. Le
amministrative si avvicinano. Il conto alla rovescia è iniziato. A
Vittoria serve una classe dirigente in grado di ridare entusiasmo e
fiducia, una classe politica non solo in grado di governare ma che si
assuma anche una funzione pedagogica: cosa può incoraggiare a
ritrovare un percorso, ad alzare lo sguardo verso il futuro, a
sognare una vita degna della sua vocazione se non insegnare a riappropriarsi
della bellezza?
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