Catania,
5 gennaio 1984, via dello Stadio, sono le 21 circa, Pippo Fava,
giornalista, saggista,
scrittore,
drammaturgo
e
sceneggiatore, apre la portiera della sua Renaut 5 si siede, fa per
mettere in moto l'auto ma viene raggiunto da cinque colpi di pistola,
quasi tutti alla nuca. Così la mafia - perché fu la mafia - amputò la
voce più critica ma più sinceramente appassionata di Catania. Ogni
anno rivedo la sua ultima intervista, quella che gli fece Enzo Biagi
e che nei fatti lo condannò a morte, sono circa 7 minuti (si può cercare su youtube). Fava con una serenità e una semplicità
unica descrive la trasformazione della mafia in sistema economico.
Per onorare la sua memoria ho voluto (molto immeritatamente)
parafrasare alcune sue analisi. Per farlo mi sono permesso di fare delle "indagini di massima", molto generiche.
In provincia di Ragusa ci
sono all'incirca 5000 tossicodipendenti che presumibilmente consumano
da 15 a 20 euro di droga al giorno. Significa che la criminalità
economica di questa terra incassa da 75 mila a 100 mila euro al
giorno. In un anno sono più di 30 milioni di euro. Quale impresa in
questa provincia riesce ad avere un reddito così elevato? Se i
numeri sono questi non è per nulla campata in aria la tesi che la
droga sia la prima economia di questa zona (e non solo).
Un’organizzazione che riesce a maneggiare oltre 30 milioni di euro
ha la possibilità di inserirsi in qualsiasi settore dell'economia
senza avere problemi di liquidità e può resistere a qualsiasi
crisi. Quindi pare evidente che questi soldi, in qualche modo,
vengono reinvestiti, ripuliti e riciclati. Dovrebbe essere
altrettanto evidente quindi che le banche - e tutto ciò che ruota
attorno al mondo finanziario ragusano - hanno una funzione.
32 anni fa Pippo Fava nella sua ultima apparizione pubblica spiegò a tanti telespattaori che era
dentro
la banche che bisognava guardare “... lì
c’erano decine di migliaia di miliardi insanguinati che venivano
immessi dentro le banche e ne fuoriuscivano per andare verso opere
pubbliche. Ritengo che molte chiese siano state costruite con appalti
avuti da denari mafiosi insanguinati”.
Qualche settimana dopo il corpo di Fava era chiuso in un bara posta al
centro della navata della chiesa di Santa Maria della Guardia di Ognina. Il suo funerale non fu molto partecipato.
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