In provincia di Ragusa c’è la mafia, ma non si vede. Questo territorio va narrato per il suo modo di essere seducente, per la sua immagine turistica, per il suo mare, per il suo cibo, per la sua storia. Tutto questo però deve essere come una nebbia, capace di offuscare i misteri e le anomalie di questa terra. Qui non si spara più, o meglio, rispetto al passato si spara poco, molto poco, e si spara solo in alcune zone. Quando si spara, i colpevoli, dopo pochissime ore, vengono individuati e arrestati e le loro facce finiscono sui quotidiani locali. Guardando quei volti si capisce subito qual è lo spessore criminale dei soggetti, si intuisce pure qual è il livello di miseria e di emarginazione in cui sono cresciuti. Questo tipo di arresti a molti fa dire che lo Stato è attento, è vigile, controlla il territorio. Ma non è proprio così. Le mafie hanno avuto sempre due facce: una è quella dei personaggi cupi, miseri, sconfitti dalla vita, che non hanno nulla da perdere; l’altra è quella delle facce d’angelo, dall’abbigliamento ricercato, che magari gestiscono attività imprenditoriali floride che si sono affermate in poco tempo, creando un radicamento nel territorio attraverso assunzioni di lavoratori e azzerando la concorrenza. Diversi si chiedono come siano diventati così “produttivi”, così facoltosi, ma è una curiosità leggera che svanisce subito. Nei fatti prevale sempre non la paura ma l’ammirazione e il rispetto per la capacità e la rapidità che questi “imprenditori” hanno avuto nel sapersi imporre economicamente e socialmente. Questi personaggi eterei ma concreti, impalpabili ma consistenti, possono diventare anche classe politica-amministrativa.
E’ forse questo il nuovo modello di sviluppo che si sta affermando in Sicilia e in particolare nella nostra provincia?
Poche settimane fa il presidente della Commissione regionale Antimafia, on. Antonello Cracolici, in visita a Ragusa ha dichiarato che questa provincia è al centro degli interessi criminali interconnessi tra mafia, ndragheta, criminalità del nord Africa e con l’isola di Malta. “I settori di maggiore preoccupazione riguardano il traffico di stupefacenti, le attività connesse al riciclaggio, …e la gestione della manodopera e del lavoro clandestino…”. La mia ipotesi quindi non è poi così fantasiosa. E allora qui non servono solo più forze dell’ordine, qui servono più ispettori bancari che verifichino con attenzione ciò che avviene dentro il sistema finanziario, qui servono più ispettori dell’Agenzia delle Entrate che controllino ciò che accade all’interno di certe imprese. E’ facile arrestare il piccolo spacciatore, così come è semplice verificare fiscalmente una piccola attività artigianale o commerciale. Molto più complicato (per tanti motivi) verificare ciò che accade all’interno di certe imprese o peggio all’interno di un istituto bancario. Mi ritornano in mente le parole del presidente della Corte di Appello di Palermo, dott. Giovanni Pizzillo, il quale convocò il consigliere Chinnici per dirgli: “Ma cosa credete di fare all’Ufficio di Istruzione? La devi smettere di fare indagini nelle banche, così rovini tutta l’economia siciliana”. E gli suggerì di caricare il giudice che faceva le verifiche bancarie, Giovanni Falcone, di “processetti” in modo che “così farà come ogni giudice istruttore: non farà più niente”. Ma Chinnici e Falcone non ascoltarono il consiglio e andarono…per la loro strada.
Chiudo questo mio post con una
notizia che è in attesa di verifica. Si dice che la Corte d’Appello di Catania abbia
annullato il sequestro di quattro aziende di Vittoria che erano confiscate e in
amministrazione giudiziaria. Mi auguro che ciò non sia vero, e comunque se tutto questo troverà conferma sarà interessante
leggere nella sentenza i motivi di questo dissequestro.