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domenica 24 agosto 2025

Salvo Vitale, un uomo di coraggio.




Salvo Vitale non c'è più. Il 19 agosto, a 82 anni, pochi giorni dopo il suo compleanno, ci ha lasciato. Salvo era un amico fraterno di Peppino Impastato, era uno di quei compagni che si era dedicato  a quell’attivismo politico sano, creativo, geniale e totalizzante nato a cavallo tra gli anni '60 e '70. Si era laureato in Filosofia e aveva iniziato la sua carriera come corrispondente per L’Ora, ma poi decise di fare l'insegnante. Insieme a Impastato si dedicarono completamente alla lotta contro la mafia di Cinisi e di Badalamenti, denunciandone ogni attività illecita, deridendo i mafiosi e i loro complici politici. Infatti, una delle sue tante qualità era quella di burlare la mafia, di non prenderla troppo sul serio come fanno certi personaggi egocentrici che si atteggiano ad esperti di criminalità organizzate. Lui, insieme a Peppino, con il programma "Onda pazza", erano diventati dei potenti ed estrosi menestrelli. Si può dire che insieme hanno inventato l'antimafia sociale, quella che dà realmente fastidio e sta dalla parte degli oppressi. Dopo l’assassinio di Peppino, continuò la sua battaglia con una geniale incoscienza, riuscendo a mantenere viva la memoria di Peppino e soprattutto a far emergere la verità sul suo omicidio perché carabinieri e magistratura sostenevano (o depistavano) che Impastato fosse un terrorista incapace a maneggiate il tritolo o peggio, un folle suicida. Ha continuato in mille modi a dare fastidio e a deridere le mafie senza mai cadere nella rete dell'antimafia in doppio petto, anzi la criticava con tagliente ironia. “Mettere in mezzo a tutto una grande, comune risata”, era una delle sue massime. Con il suo blog , "Il Compagno - giornale di controinformazione stile Radio Aut", ha regalato tante analisi, e molti spunti  sul contrasto alle mafie, alle loro evoluzioni e ai loro interessi economici. Per tutta una vita ha cercato di animare il focolaio di agitazione che nasce dove ci sono uomini che subiscono ingiustizie”. Le parole a cui teneva  di più erano "resistere" e "oltre", un binomio che può sembrare un ossimoro ma che invece è stato ed è il motore che spinge verso  la concreta fattibilità che un altro mondo è possibile.
Salvo Vitale ci lascia due grandi insegnamenti: non piegarsi mai al silenzio, anche quando sembra inutile o fa paura, e poi che la memoria non è solo ricordo ma lotta.
Abbiamo perso un compagno, ma restano vive le sue parole che continueranno a suggerire ai giovani (ma anche ai meno giovani) di non arrendersi, perché le mafie si combattono e si abbattono con la cultura, con l’ironia e con il coraggio.

Per chi vuole conoscere gli scritti di Salvo Vitale https://www.ilcompagno.it/




mercoledì 13 agosto 2025

Sistemi idrici siciliani, per la Corte dei conti ci sono 25 anni di inefficienze.

Foto presa da Google Immagini

Ricordate la coppia Totò Cuffaro Felice Crosta? Il primo presidente della regione, finito in carcere per favoreggiamento aggravato alla mafia e violazione del segreto istruttorio, il secondo super dirigente regionale che guadagnava 1.500  euro al giorno. Entrambi furono i  firmatari del Piano di tutela delle acque della Regione siciliana, un documento elaborato tra il 2003 e il 2007 e poi approvato il 24 dicembre 2008. Uno strumento di pianificazione dove in più di 200 pagine veniva delineata l'autosufficienza del sistema idrico dell'isola, in grado di garantire il fabbisogno di tutti i comparti produttivi e civili anche in assenza di piogge prolungate. In 20 anni questo documento è diventato, via via, carta straccia. Il 7 agosto sorso la Corte dei conti ha certificato lo storico stato di inefficienza e di carenza strutturale sia dei grandi invasi sia delle reti idriche siciliane dove le perdite d'acqua, in alcuni casi, arrivano al 70%. Infatti nella relazione dei magistrati contabili si legge: “sussistono agli atti istruttori palesi e macroscopiche carenze documentali nella individuazione delle connessioni finanziarie e funzionali tra le diverse gestioni emergenziali che hanno interessato gli interventi per la realizzazione, il completamento e la manutenzione delle dighe, delle reti di grande adduzione delle risorse idriche, e delle reti comunali con decorrenza dall’anno 2001”. Il 2001 è proprio l'anno in cui inizia lo scempio privatistico dei sistemi idrici siciliani. Infatti la Regione con un decreto favorisce la privatizzazione della gestione idrica in base a “criteri di efficienza, efficacia e di economicità”. In una relazione l'allora commissario regionale per le acque, l'ex generale dei carabinieri Roberto Jucci, provò a cambiare quella norma proponendo l'istituzione di una authority che avrebbe dovuto gestire, unitariamente, le dighe, le condotte, e gli impianti comunali. Dopo quella relazione l'ex generale fu spedito a casa e la carica di commissario venne assunta da Totò “vasa vasa” che nominò suo vice il dott. Felice Crosta. Nel 2004, sempre durante il governo Cuffaro, nasce Siciliacque spa, società per il 75% privata e per il restante 25% di proprietà della regione. Oggi questa struttura gestisce 90 milioni di metri cubi d'acqua e copre il fabbisogno (si fa per dire) delle province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Trapani, e in parte di Palermo, Messina e Ragusa. In tutte queste zone si sta affrontando da tempo una grave crisi idrica che viene attribuita quasi esclusivamente alla scarsa piovosità e alle alte temperature. Ma nel Piano di tutela delle acque non si scrisse che i sistemi idrici siciliani erano in grado di garantire il fabbisogno di tutti i comparti produttivi e civili anche in assenza di piogge prolungate? Cosa è cambiato da allora? La recente relazione della Corte dei conti ci fornisce un dato significativo che delinea lo spessore delle gravi insufficienze strutturali sia nella realizzazione e sia nella manutenzione delle opere idriche dell’isola: su 1.438 interventi urgenti e di immediata attuazione richiesti in tutta Italia al Commissario nazionale per l’emergenza idrica, 773 arrivano dalla Sicilia, cioè più del 50% degli interventi richiesti. Tutto questo, secondo i magistrati, “costituisce una prima evidenza della gravità del deficit strutturale nella realizzazione e/o manutenzione delle opere idriche nella Regione siciliana”. E i criteri di efficienza, efficacia ed economicità che per la Regione dovevano arrivare con la privatizzazione dove sono finiti? Si parla di un Piano di messa in sicurezza del sistema idrico siciliano, il costo si aggira a circa 1,3 miliardi. Il 60% di questo Piano pare sia già finanziato e prevede la costruzione e il rifacimento delle grandi strutture irrigue per circa 600 milioni di euro, la messa in sicurezza delle dighe per 440 milioni di euro, il riutilizzo delle acque reflue in agricoltura per 200 milioni di euro e altri 60 milioni di euro per la rimozione del fango degli invasi. Un profluvio di soldi pubblici che fa sfregare le mani a tanti e non esclude il rischio di infiltrazioni mafiose. Ecco perché la magistratura contabile, dopo 25 anni, vuole vederci chiaro e “chiede (a diverse strutture regionali ndr) di fornire lo stato di attuazione degli interventi programmati”.  Chi avrà il coraggio di raccontare come stanno i fatti di fronte ad un quarto di secolo di (volute?) debolezza gestionali? Intanto Totò Cuffaro, dopo le sofferenze patite in carcere,  si è ripreso, prepotentemente, la scena politica siciliana e le sue decisioni, anche quelle sulle politiche di gestione dell'acqua, saranno molto determinanti. Tutto questo mentre in Sicilia  aumenta la siccità, avanza la desertificazione e la sete brucia le gole dei siciliani. Tre emergenze che hanno già messo in moto la macchina del consenso.



In allegato la delibera della Corte de conti

file:///C:/Users/PC8/Desktop/delibera_213_2025_sicilia.pdf

sabato 5 luglio 2025

Sicilia grande piattaforma militare!? L'aeroporto di Comiso cosa sarà?

Foto tratta da Google Immagini
 

La dichiarazione/notizia è passata come una meteora, la scia è stata molto luminosa ma si è subito diradata. Nei social se ne è parlato per alcune ore. In tanti hanno postato nelle proprie bacheche i link dei quotidiani e delle piattaforme all-news e li sono arrivate le “condivisioni”, sono piovuti i “mi piace” e i “commenti”.  Infine, come avviene per qualsiasi notizia, dopo poco tempo tutto si è dissolto come nella scena di un film. Ora, siccome certe dichiarazioni non possono essere metabolizzate in questo modo io la ribadisco e la rilancio con forza: La Sicilia diventerà il primo luogo extra Stati Uniti dove saranno formati i piloti dei caccia bombardieri F-35. Questa frase è stata declamata con una serafica serenità dal Ministro della difesa (o della guerra?), Guido Crosetto, il 2 luglio scorso nella base militare di Decimomannu, in Sardegna, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il ministro non si è limitato solo a dare questa notizia, ma l’ha presentata come un grande vantaggio per l’isola, “che porta ricchezza e aiuta a mettere insieme le capacità industriali…perché il futuro si costruisce facendo diventare la difesa un motore sociale, economico, di innovazione e tecnologico”.  Dopo poco tempo sono arrivate le dichiarazioni del presidente della commissione difesa della Camera, on. Nino Minardo, : “Dal punto di vista economico, l’iniziativa può avere ricadute significative sul territorio, generando occupazione qualificata e attrazione di investimenti. La presenza di una struttura di questo livello in Sicilia rafforza il sistema industriale della difesa e apre nuove prospettive per la formazione e la tecnologia. È fondamentale adesso che vi sia massima attenzione e collaborazione per seguire ogni sviluppo, garantendo il necessario supporto istituzionale”.
La Sicilia, da laboratorio politico,  si appresta a diventare anche una grande base militare? Una gigantesca caserma? Un luogo dove si formano i guerrieri del XXI secolo? Queste domande non nascono a caso ma scaturiscono da una serie di fatti che si sono susseguiti negli ultimi tempi. 

Nel 2023, presso i cantieri navali di Palermo, sono stati effettuati lavori di adeguamento relativi all’imbarco dei nuovi aerei F-35 sulla portaerei Cavour - nave ammiraglia della nostra Marina militare. Nel 2024, sempre presso i cantieri navali di Palermo, è stata effettuata la manutenzione di un’altra nave da guerra, l'unità anfibia multiuso Trieste. Sempre nel 2024 ad Augusta è stato istituito il polo unico di formazione avanzata per gli ufficiali della Marina Militare designati al comando navale. Dal gennaio di quest’anno, voci sempre più insistenti parlano di insediamenti in aree industriali siciliane (Termini Imerese?) di azienda specializzata nella progettazione e sviluppo di batterie a litio di nuova generazione sia per uso industriale che commerciale. L’uso industriale è legato all’industria delle armi? Faccio notare che le batterie a litio sono fondamentali nella gestione elettronica dei nuovi sistemi d’arma.  A marzo 2025 il vice presidente esecutivo della Commissione Europea, Raffaele Fitto,  a margine di un convegno che si è tenuto a Palermo, sul tema della spesa dei fondi Ue e della destinazione di queste somme per la difesa, ha dichiarato che vi è la possibilità di utilizzare le risorse della politica di coesione per spese militari. Infine, lo ribadisco, pochi giorni fa il ministro Guido Crosetto ci annuncia che in Sicilia saranno formati i top gun che piloteranno gli F-35. 

Riepilogando: nuove strutture di manutenzione, nuove basi militari di alta formazione, nuove industrie di produzione. In Sicilia, per fare tutto questo, oltre ai soldi, servono zone dedicate all'accettazione e al deposito temporaneo di merci e materiali utili a realizzare ciò. In particolare: strutture, mezzi e attrezzature dovranno arrivare o nei porti o negli aeroporti e poi serviranno delle basi logistiche. E' forse per questo motivo che l'aeroporto di Comiso dovrebbe diventare un'area cargo? E' possibile che alcune zone industriali (Catania o Termini Imerese?) possano diventare basi dove o ammassare il materiale o insediare industrie a servizio di questo ambizioso progetto? Parafrasando il titolo di un vecchia canzone, "strada facendo" vedremo cosa accadrà. Intanto, però, da qualche tempo il nostro cielo è solcato ciclicamente da aerei militari da trasporto e da grossi elicotteri da trasposto. Chissà perché?

sabato 7 giugno 2025

Le criptovalute sono il nuove fronte delle mafie. Anche in provincia di Ragusa?


Immagine tratta da Google Immagini

Le mafie stanno aggiornando il proprio capitale sociale. La nuova frontiere per riciclare il denaro prodotto illegalmente è la finanza digitale. Da tempo le criptovalute si sono imposte come strumenti di pagamento alternativi perché garantiscono transazioni veloci, anonime e difficilmente tracciabili. Questi nuovi sistemi, proprio per le caratteristiche che presentano, sono strumenti perfetti per riciclare il denaro prodotto illegalmente, per tanto stanno diventando un riferimento concreto per le economie mafiose. Questo non significa che bisogna attribuire ai mafiosi chissà quali competenze. Le loro conoscenze sono comunque sempre molto limitate. Però comprendono l'importanza di avere facilitatori e mediatori pronti a mettere a disposizione le proprie capacità e quindi certi servizi. Si è parlato più volte dei professionisti, di legali o consulenti finanziari capaci di riciclare le masse di denaro prodotte illegalmente con la gestione della droga e dei rifiuti. Adesso, tra questi, bisogna iscrivere anche gli informatici, gli hackers, persone in grado di operare nel dark web, un pezzo di internet non catalogato dai mortori di ricerca tradizionali (Google, Opera, Bing,...)  ma da motori particolari come i “Tor”, cioè browsers progettati per migliorare l’anonimato on line. Li si possono sviluppare attività illegali come il commercio di sostanze stupefacenti, il commercio d’armi, il gioco d’azzardo on line, la pedopornografia, ect. Le transazioni economiche di queste “economie”, cioè i pagamenti, avvengono con le criptovalute.  Gli hackers, per le loro "compentenze" sono in grado di offrire una gamma di servizi capaci  a "migliorare" la gestione delle “transazioni aziendali”. Alcune di queste prestazioni potrebbero essere: 

  • Le applicazioni decentralizzate (dApp), applicazioni simili alle app tradizionali, con la differenza fondamentale che al posto di appoggiarsi su server (sistema in cui tutti i processi informatici sono gestiti da un singolo computer) sfruttano le piattaforme blockchain, cioè una struttura digitale a cui possono accedere solo i membri della rete autorizzati.
  •  L’implementazione di smart contract, un sistema che permette di eliminare intermediari e di garantire l'esecuzione automatica delle clausole di pagamento quando le condizioni sono soddisfatte.
  • Il wallet, tecnicamente il portafoglio, uno strumento digitale che permette il salvataggio e la gestione di criptovalute.

Tutto questo non è facile da controllare, non è semplice da investigare e quindi è complicato da individuare. Non è un caso se nell’ultima relazione della DIA si legge che le criptovalute sono diventate lo strumento privilegiato per il riciclaggio dei proventi illeciti. E' in atto  quindi, come ho scritto all’inizio, un aggiornamento del cosiddetto capitale sociale delle mafie. Prima, quando si pensava alle relazioni esterne, si pensava ad avvocati, commercialisti, broker finanziari capaci a ripulire il denaro sporco. Oggi per riciclare il denaro servono anche persone che abbiano competenze informatiche.

Da queste considerazioni emerge una domanda: ma la situazione criptovalute in provincia di Ragusa qual è? Il nostro territorio da tempo è molto attento alle innovazioni digitali, pare che sia tra i più attivi del Mezzogiorno. In questa parte della Sicilia, in poco tempo, si è formata una rete consistente di servizi e di consulenza che assiste privati e aziende nell’adozione delle criptovalute e delle tecnologie blockchain. Questo non significa che dietro ci siano obbligatoriamente economie malate o le mafie, però è un dato indicativo che gli inquirenti potrebbero cominciare a tenere in considerazione.

Infine mi permetto di evidenziare che non va dimenticata una cosa: nella nostra provincia la ‘ndrangheta, da tempo, ha un ruolo di primo piano. Questo non deve fare trascurare un altro fatto: la stessa 'ndrangheta è l’organizzazione che, lì dove opera, sa utilizzare al meglio le piattaforme di trading clandestine e bancomat virtuali per convertire e spostare fondi...senza lasciare tracce.  


Per scrivere questo post ho consultato:

https://www.zerounoweb.it/techtarget/searchsecurity/dark-web-cose-e-come-evitarne-i-trabocchetti/

https://www.bitpanda.com/academy/it/lezioni/cose-una-dapp/

https://www.ilsole24ore.com/art/smart-contract-cosa-sono-e-come-funzionano-clausole-blockchain-ACsDo2P?refresh_ce=1

https://drive.google.com/file/d/1CSmwV2Z5e61sQWgN6muvRgXFc1y-sQA_/view

 https://www.ragusaoggi.it/criptovalute-quanto-sono-popolari-a-ragusa-chi-le-utilizza-di-piu/

https://www.ilvibonese.it/cronaca/541946-gratteri-la-ndrangheta-ora-si-fa-pagare-anche-in-bitcoin-ma-nel-darkweb-la-camorra-e-avanti/

 

domenica 25 maggio 2025

In provincia di Ragusa la mafia c'è...ma non si vede.

Foto tratta dal sito https://ginotaranto.it/

In provincia di Ragusa c’è la mafia, ma non si vede.  Questo territorio va narrato per il suo modo di essere seducente, per la sua immagine turistica, per il suo mare, per il suo cibo, per la sua storia.  Tutto questo però deve essere come una nebbia, capace di offuscare i misteri e le anomalie di questa terra. Qui non si spara più, o meglio, rispetto al passato si spara poco, molto poco, e si spara solo in alcune zone. Quando si spara, i colpevoli, dopo pochissime ore, vengono individuati e arrestati e le loro facce finiscono sui quotidiani locali. Guardando quei volti si capisce subito qual è lo spessore criminale dei soggetti, si intuisce pure qual è il livello di miseria e di emarginazione in cui sono cresciuti.  Questo tipo di arresti a molti fa dire che lo Stato è attento, è vigile, controlla il territorio. Ma non è proprio così. Le mafie hanno avuto sempre due facce: una è quella dei personaggi cupi, miseri, sconfitti dalla vita, che non hanno nulla da perdere; l’altra è quella delle facce d’angelo, dall’abbigliamento ricercato, che magari gestiscono attività imprenditoriali floride che si sono affermate in poco tempo, creando un radicamento nel territorio attraverso assunzioni di lavoratori e azzerando la concorrenza. Diversi si chiedono come siano diventati così “produttivi”, così facoltosi, ma è una curiosità leggera che svanisce subito. Nei fatti prevale sempre non la paura ma l’ammirazione e il rispetto per la capacità e la rapidità che questi “imprenditori” hanno avuto nel sapersi imporre economicamente e socialmente. Questi personaggi eterei ma concreti, impalpabili ma consistenti, possono diventare anche classe politica-amministrativa. 
Far convergere certi interessi imprenditoriali con quelli della criminalità economica non può essere un fatto casuale, forse è strutturale e, secondo me, si dipana su più livelli. In sintesi, gli interessi di certe imprese e quelli dell’economia criminale condividono una logica: lo sviluppo illimitato dei capitali e quindi si alimentano a vicenda.  Un esempio che spieghi in pochi punti questa mia tesi potrebbe essere questo: 
1. Le mafie di questa terra accumulano capitali illeciti con la gestione della droga e dei rifiuti.
2. Professionisti capaci e spregiudicati trovano le condizioni attraverso un sistema finanziario compiacente per ripulire questi fondi.
3. I capitali entrano nell’economia legale sotto forma di investimenti, spesso in settori strategici (edilizia, turismo, logistica, serricoltura,…).
4. Il sistema bancario guadagna, gli imprenditori crescono e lo Stato finge di non vedere.

E’ forse questo il nuovo modello di sviluppo che si sta affermando in Sicilia e in particolare nella nostra provincia? 

Poche settimane fa il presidente della Commissione regionale Antimafia, on. Antonello Cracolici, in visita a Ragusa ha dichiarato che questa provincia è al centro degli interessi criminali interconnessi tra mafia, ndragheta, criminalità del nord Africa e con l’isola di Malta. “I settori di maggiore preoccupazione riguardano il traffico di stupefacenti, le attività connesse al riciclaggio, …e la gestione della manodopera e del lavoro clandestino”. La mia ipotesi quindi non è poi così fantasiosa. E allora qui non servono solo più forze dell’ordine, qui servono più ispettori bancari che verifichino con attenzione ciò che avviene dentro il sistema finanziario, qui servono più ispettori dell’Agenzia delle Entrate che controllino ciò che accade all’interno di certe imprese. E’ facile arrestare il piccolo spacciatore, così come è semplice verificare fiscalmente una piccola attività artigianale o commerciale. Molto più complicato (per tanti motivi) verificare ciò che accade all’interno di certe imprese o peggio all’interno di un istituto bancario. Mi ritornano in mente le parole del presidente della Corte di Appello di Palermo, dott. Giovanni Pizzillo, il quale convocò il consigliere Chinnici per dirgli: “Ma cosa credete di fare all’Ufficio di Istruzione? La devi smettere di fare indagini nelle banche, così rovini tutta l’economia siciliana”. E gli suggerì di caricare il giudice che faceva le verifiche bancarie, Giovanni Falcone, di “processetti” in modo che “così farà come ogni giudice istruttore: non farà più niente”. Ma Chinnici e Falcone non ascoltarono il consiglio e andarono…per la loro strada.

Chiudo questo mio post con una notizia che è in attesa di verifica. Si dice che la Corte d’Appello di Catania abbia annullato il sequestro di quattro aziende di Vittoria che erano confiscate e in amministrazione giudiziaria. Mi auguro che ciò non sia vero, e comunque se tutto questo troverà conferma sarà interessante leggere nella sentenza i motivi di questo dissequestro.

venerdì 25 aprile 2025

25 APRILE: RICORDARE I PARTIGIANI DI VITTORIA.


Foto presa da Google Immagini

Il 25 Aprile ha segnato, segna e  segnerà sempre, in modo chiaro e inequivocabile, il confine tra la fine delle barbarie e l'inizio della civiltà. Questa data, ma più in generale la Resistenza, ci ha ridato la gioia e l'orgoglio di essere italiani. Tutto questo è stato determinato dai partigiani, persone che hanno combattuto volontariamente contro l'inciviltà e la ferocia del nazifascismo. Va detto che tanti furono i partigiani siciliani impegnati a combattere in tantissime aree del Nord Italia. Donne e uomini, anche della nostra città, fecero la Resistenza combattendo e sconfiggendochi voleva imporre il concetto disumano di "superiorità" con le persecuzioni, gli arresti, le torture, fino ad arrivare all'uso delle camere a gas e dei forni crematori.

Già lo scorso anno avevo ricordato il nome di una donna partigiana di Vittoria, Giuseppina Di Guardo, che combatté con le Squadre di Azione Patriottica (SAP) in Emilia Romagna.  Quest'anno - grazie ad una ricerca guidata dal prof. Claudio Dellavalle (già ordinario di storia contemporanea presso l'università di Torino) e dagli Istituti storici della Resistenza del Piemonte, in collaborazione con il Ministero della Difesa -  segnalo una banca dati informatica che raccoglie 108.421 nomi di partigiani, combattenti, patrioti e benemeriti che hanno svolto attività durante la lotta di Liberazione in Piemonte (regione dove la Resistenza fu più tenace e combattiva), di questi, 34, sono di origine vittoriese.

Ripeto: 34 persone di Vittoria, tra il 1943 e il 1945, hanno combattuto nel territorio piemontese contro i nazifascisti. In questo “motore di ricerca” si possono consultare le schede personali di questi nostri “compaesani”. Ogni scheda comprende, oltre ai dati anagrafici, il nome di battaglia e la qualifica (partigiano, patriota, benemerito), l'indicazione delle formazioni di appartenenza con i relativi periodi, la professione, la carriera militare precedente l'8 settembre 1943, l'eventuale appartenenza alle formazioni della Rsi, i gradi partigiani, le ferite ed eventuali dati su decesso, cattura e deportazione. Per chi volesse consultarli allego di seguito l’indirizzo. 

Da una prima verifica (vorrei sinceramente sbagliarmi) pare che a Vittoria, sia di Giuseppina Di Guardo quanto di queste 34 persone, non esista memoria alcuna.  Se il fascismo è stato (ed è) la barbarica volontà di potere di una élite corrotta e improduttiva, il cui fine è stato (ed è) quello  di schiacciare - anche con la violenza - il lavoro produttivo per sostenere la rendita finanziaria e il parassitismo burocratico dello Stato; le persone che lo hanno combattuto non possono essere dimenticate o peggio ignorate. Se dopo 80 anni il “mostro”, con "sobrietà", ha ripreso forma significa che il valore della Resistenza si è perso, non è più la virtù su cui si è fondata la Repubblica e la democrazia italiana. Recuperare la memoria, essere militanti della memoria, non è più doveroso, è obbligatorio...perché la memoria è l'unico vaccino della democrazia.

P.s. se il link allegato non si apre provare con quest'altro indirizzo http://intranet.istoreto.it/partigianato/default.asp, poi cliccare su "Accedi alla ricerca del PARTIGINATO PIEMONTESE" digitare il comune di nascita e la provincia e si apre l'elenco.

domenica 2 marzo 2025

Dati e analisi sulle economie mafiose in provincia di Ragusa.


Foto tratta dal sito 
https://ginotaranto.it/project/difesa-inutile/ che ringrazio


Ho sempre immaginato il rapporto tra economie mafiose ed economie "legali" come le aree d'intersezione tra più cerchi. Se in geometria è facile descrivere il perimetro e calcolare la superfice di queste figure anomale, invece, nei di rapporti opachi tra sistemi produttivi non è per nulla semplice delimitarne le dimensioni. Tante volte ho provato a descrivere queste zone, ma benché le mie teorie poggino su ipotesi che avrebbero una certa valenza, restano comunque sempre delle supposizioni. Di recente però sono stati pubblicati tre studi che danno indicazioni chiare su questo tipo di connessioni  economiche. Le stesse forniscono stime e mappe concettuali. Due  pubblicazioni sono dell'Unità d'Informazione Finanziaria della Banca d'Italia: la prima pubblicata nel maggio 2021, la seconda nel novembre 2024.  La terza pubblicazione, invece, è del dicembre 2024 ed è stata divulgata dal centro studi della CGIA di Mestre. In quest'ultimo studio viene pure stilata una graduatoria delle connessioni tra econome mafiose ed economie "legali" presenti nei contesti criminali di 105 province italiane. La provincia di Ragusa in questa speciale classifica occupa la 40° posizione. Infatti, su circa 30.000 imprese attive al 30 novembre 2024,  885 sarebbero quelle connesse alle mafie locali, cioè il 3% del totale. Ma questa valutazione non tiene in considerazione dell'indice di imprenditorialità mafiosa, cioè il rapporto tra la stima di imprese connesse con le economie criminali e il numero di abitanti della provincia. La provincia di Ragusa, con meno di 320.000 abitanti e 885 attività che gravitano attorno alle economia criminali, ha un indice di imprenditorialità mafiosa che è pari a 0.3%. La sorpresa viene fuori analizzando i dati delle province di Palermo e di Catania. Le due aree metropolitane, nella classifica redatta dalla CGIA, sono al 6° e 9° posto, ma al calcolo dell'indice di imprenditorialità mafiosa presentano un valore di infiltrazione che è di poco successivo e uguale a quello della nostra provincia (0.33% Palermo, 0.3% Catania). 

La provincia (presunta) "babba", l'isola nell'isola, ha le stesse caratteristiche di quelle aree metropolitane su cui le mafie hanno avuto, purtroppo, da sempre una presenza determinate!!?
 
Sarebbe interessante sapere come queste 885 attività ragusane, legate alle econome mafiose, siano distribuite nel territorio provinciale, cioè in quali comuni ricadono, e soprattutto capire quali siano i settori connessi e quale forma giuridica e dimensione hanno queste imprese. 

Individuare la distribuzione territoriale di queste "attività" non è per nulla facile, ma un aiuto può arrivare dalla classificazione dei settori economici maggiormente infiltrati. 

           


Il diagramma pubblicato a pag. 19 dello studio del novembre 2024 della Banca d'Italia indica le attività maggiormente soggette ad essere infiltrate. I primi, in ordine di importanza sono: il commercio a dettaglio (Rentail), la manifattura, le costruzioni, l'immobiliare (Real estate), l'alberghiero e la ristorazione (Accommodation and food services). In quale area della nostra provincia ricadono maggiormente queste attività? Basta percorrere la Strada Statale 115, partendo da Acate fino ad Ispica e poi ripercorre a ritroso la vecchia litoranea e si capisce subito dove possono essere ubicate. 
Sulla forma giuridica preferita dalle attività mafiose viene in aiuto la relazione di un esperto come il colonnello Giuseppe Furciniti della Guardia di Finanza il quale scrive: "La forma giuridica più diffusa è la società a responsabilità limitata, ritenuta il miglior compromesso tra l'agilità di costituzione e gestione e le esigenze di occultamento dell'identità criminale (grazie alla frammentazione del capitale tra più soggetti diversi). A quest'ultimo obiettivo, risponde anche l'utilizzo di prestanome e l'utilizzo di strutture di controllo societario a partecipazioni incrociate (“scatole cinesi”). La preferenza per la forma delle s.r.l. è spiegata soprattutto dalla facilità di costituzione (si richiede un capitale sociale di 10.000 €) e dal vantaggio dettato dalla limitazione delle responsabilità patrimoniali".
Le dimensioni delle imprese connesse alle mafie vengono definite nello studio della Banca d'Italia pubblicato nel novembre del 2024. Gli autori introducono un quadro concettuale per distinguere i diversi motivi di infiltrazione delle mafie nelle imprese legali che si basa su tre motivazioni principali: funzionale (imprese create per attività criminali), competitiva (imprese di medie dimensioni infiltrate per beneficiare di attività criminali) e pura (grandi imprese utilizzate per benefici economici e non economici, come connessioni politiche). Come si può notare, lo studio  prende in considerazione le medie grandi imprese e non le piccole e le microimprese.  Sarà che queste ultime non sono per nulla funzionali agli interessi economici delle mafie? Faccio notare che nella nostra provincia il 94% delle imprese attive sono piccole e microimprese, ovviamente  il restante 6% sono medie grandi imprese. Se lo studio della CGIA di Mestre stima per la nostra provincia 885 imprese infiltrate,  cioè il 3%  delle imprese attive. Se il 6% delle imprese attive in provincia sono di dimensioni medio grandi. Se la Banca d'Italia dice che le medie grandi imprese sono quelle economicamente più adeguate agli interessi delle mafie. 
Ma per caso  il 50% delle medie grandi imprese iblee sono connesse alle mafie???

Gli Obiettivi Strategici delle medie grandi aziende infiltrate dalle mafie sono da sempre  orientati a migliorare la capacità produttiva e i ricavi. Queste aziende devono diventare punti di riferimento sociale e politico nei loro territori e per fare questo si avvalgono di figure professionali di alto livello, sia in campo tributario e sia in campo giuridico. Tutto questo non lo fanno per creare sviluppo, ma, in primo luogo,  per riciclare il denaro che proviene dalle attività illecite. Per fare ciò serve  soprattutto la complicità del sistema bancario che, anche attraverso l'accesso al credito sostiene quegli "investimenti" in grado di "digerisce" le masse di denaro prodotte illegalmente. A sostegno di questa tesi vi sono sempre i dati forniti da Banca d'Italia i quali dicono che in Sicilia a giungo del 2024 il credito alle imprese si era ridotto del 1,3%  rispetto a dodici mesi prima. La flessione però ha riguardato le piccole e medie imprese (-6%!), mentre per le medie grandi imprese i prestiti sono cresciuti. Il dato della provincia di Ragusa è emblematico. A settembre del 2024 l'importo totale dei prestiti bancari per tutte le attività economiche ammonta a circa due miliardi di euro (esattamente 1.937.000.000 di euro), di questi oltre un un miliardo (esattamente 1.377.000.000) è stato affidato a medie grandi imprese, la differenza, circa 600 milioni (esattamente 560.000) è andata invece alle piccole e micro imprese. Quindi, con  molta probabilità, le 885 medie grandi imprese legate alle economie mafiose iblee hanno avuto la possibilità di accedere facilmente al credito? 

Questi dati mi riportano in mente le parole del dott. Salvatore Formica, gestore di un'impresa confiscata alla mafia, il quale nel luglio scorso mi raccontò delle difficoltà che aveva nell'ottenere dei finanziamenti perché gli istituti di credito non ritenevano e non ritengono più affidabili le imprese amministrate giudiziariamente. Le Banche non credono nello Stato gestore di imprese confiscate?

Lo Stato,  con le sue istituzioni ha mostrato tutta la sua forza contro la mafia rozza e violenta,  l'attenzione delle e forze dell'ordine è riuscita a disarticolare le strutture militari. Non è un caso se molti esponenti locali stanno in carcere. Ma della mafia che si mischia nell'economia che conta, che punta ad entrare negli apparati istituzionali, che propone accordi e non scontri non c'è manco l'ombra del contrasto.  Serve accendere i riflettori su ciò che sta accendendo in questa provincia che di "babbo" come dimostrano i dati,  non ha proprio nulla. Occorre una nuova antimafia che accanto alla memoria solleciti la magistratura e le forze dell'ordine a guardare con attenzione cosa sta succedendo nell'economia iblea.  Continuare a pensare che le mafie di questa terra siano solo delle bande di ignoranti, che abitano nei quartieri degradati è un errore clamoroso. Questa è gente schiacciata e sconfitta dalle loro miserie, che le forze dell'ordine braccano quotidianamente. Qui c'è un'altra mafia, mite, ricca, elegante, potente, e per questo molto più pericolosa che va bloccata...prima che sia troppo tardi.

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