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giovedì 30 ottobre 2025

Ucciso perché aveva trovato la verità



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Il 27 ottobre di 53 anni fa, Roberto Campria - figlio del presidente del tribunale di Ragusa - uccideva Giovanni Spampinato, giovane cronista de L'Ora. Giovanni aveva capito da tempo cosa si muovesse sotto l'indolente tranquillità di una Ragusa refrattaria, città capace di  nascondere bene, dietro un falso perbenismo, le sue tante opacità. Con i sui articoli era riuscito a spaccare la crosta di densa ipocrisia che avvolgeva la sua città, capace di nascondere verità imbarazzanti che ora potevano emergere. La chiave del suo assassinio non sta solo nel delitto dell'ing. Tumino, ma in tutto quello che aveva scritto prima di quell'omicidio e cioè nei legami tra la destra eversiva, il traffico illecito di materiale archeologico e le mafie del territorio. Andava eliminato secondo uno schema ben preciso per poi poter avviare un'efficiente campagna di delegittimazione del suo lavoro e della sua persona: "era un provocatore...se l'è cercata".  Ma  Giovanni, pochi mesi prima che venisse ammazzato, aveva scritto un memoriale che poi aveva consegnato alla federazione ragusana del PCI. Un documento che delinea con cura cosa era (e forse ancora oggi è) la provincia babba e in particolare il suo capoluogo. Un documento che anticipa di molto le recenti scoperte fatte da una altro giornalista ragusano, Carmelo Schininà, che va letto e riletto con molta attenzione.

Buona lettura.

Ragusa, 5 Aprile 1972

Una serie di considerazioni su alcuni recenti fatti avvenuti nelle province di Ragusa e Siracusa, fatti che ben si inquadrano in una ripresa, se mai c'è stata interruzione, della strategia della tensione e della provocazione iniziata con la lunghissima serie di attentati che costellò l'intero 1969, e che culminò con la strage di Piazza Fontana, mi fa ritenere che nella Sicilia sud-orientale elementi neofascisti stanno preparando le condizioni per una grossa provocazione contro la classe operaia e la sinistra in genere. Gli elementi, fra i quali fanno spicco alcuni criminali come Delle Chiaie e Quintavalle, si muovono in modo tale da scaricare sistematicamente le responsabilità delle loro azioni terroristiche sui militanti della cosiddetta sinistra extraparlamentare, nel chiaro intento di coinvolgere almeno a livello psicologico l'intera sinistra di classe e di far degenerare la campagna elettorale. In questo senso va vista la bottiglia incendiaria posta dagli stessi fascisti vicino alla sede ragusana della CISNAL, che ne ha semplicemente annerito la porta. In questo senso va vista la sapiente distribuzione delle bombe di Siracusa, per le quali solo degli ingenui o persone in mala fede potevano non dare la responsabilità ai fascisti. In questa strategia, un ruolo ben preciso svolge la Polizia, che obbedendo, oltre che alla sua naturale vocazione nostalgica, a precise direttive del Ministero degli Interni, dirige sistematicamente le sue indagini a sinistra, ignorando perfino l'evidenza dei fatti e, quando non può fare questo (come nel caso di Comiso) minimizza e dice che non è successo niente. L'interesse della polizia e del governo è evidentemente quello di strumentalizzare ogni disordine e ogni attentato per avvalorare la tesi che occorre rafforzare la D.C., garantire contro gli opposti estremismi. Ma sarebbe estremamente pericoloso che il P.C.I. cadesse in questo abile gioco, e non denunciasse la reale matrice degli attentati e il disegno politico che vi sta dietro. Per questo ho deciso di rivolgermi direttamente agli organismi del partito per esporre ciò di cui sono venuto a conoscenza negli ultimi mesi, svolgendo inchieste e indagini per "L'Ora". Ritengo infatti mio dovere di militante portare questi fatti e le ipotesi legittime che su essi si possono fare, e mi sono fatto, anche se a qualcuno potranno sembrare azzardate e farneticanti. Vorrei che non si ripetessero errori che sono stati fatti in passato (mi riferisco in particolare alle rivelazioni dell'avv. Ambrosini). I fatti brevemente possono essere così riassunti. A gennaio è stata segnalata a Ragusa la presenza di Stefano Delle Chiaie, uno dei principali esponenti del neofascismo terroristico degli ultimi 15 anni, implicato fino al collo negli attentati del dicembre '69, imputato latitante al processo Valpreda per falsa testimonianza (ha fornito l'alibi al fascista Merlino, infiltrato nel circolo anarchico "22 marzo"). Il Delle Chiaie è il principale teorico della strategia della provocazione e della infiltrazione nei gruppetti di sinistra. Tra le altre sue imprese, numerosi attentati dinamitardi (viene chiamato oltre che "Caccola", "il bombardiere"), alcuni dei quali in sedi fasciste. La Squadra Politica di Ragusa ha dichiarato di non conoscerlo, di non sapere se è anarchico o fascista, di non avere mai avuto sue foto. Il Delle Chiaie è stato visto a Ragusa in compagnia di Cilia, oltre che di Vittorio Quintavalle, già appartenente alla X Mas di Valerio Borghese (responsabile di 800 omicidi di partigiani, donne e bambini). Il Quintavalle, che è stato a Ragusa per diverse settimane a partire da Natale (e c'era stato già prima in occasione di altre campagne elettorali) è ripartito precipitosamente per Roma nonostante avesse affittato un appartamento a Ragusa, in seguito alla pubblicazione di notizie che lo riguardavano su "L'Ora". Il Quintavalle è stato subito interrogato dai Carabinieri in merito al delitto Tumino, e la sua abitazione è stata perquisita. Il figlio Giulio di 16 anni, anch'egli ospite per alcuni giorni a Ragusa, tentò una maldestra infiltrazione fra gli anarchici. Ma subito individuato, desistette dal tentativo. La preoccupazione del Q. si nota anche in una lettera inviata a "Paese Sera", che aveva ripreso la notizia, dal figlio Giulio, che sosteneva di non avere politicamente niente a che vedere col padre fascista. La lettera è stata scritta da qualcuno che sapeva il fatto suo, e non da Giulio. In merito al delitto Tumino, si impongono alcune considerazioni, prima fra tutte quella che da oltre 5 settimane dal crimine le indagini condotte dai Carabinieri per conto del Procuratore della Repubblica, sono insabbiate, il Tumino era coinvolto in traffici non chiari di oggetti d'arte. Negli stessi traffici sembra sia coinvolto anche l'on. Cilia. Ancora oggi pesano gravi sospetti su Roberto Campria, figlio del giudice. Le indagini sono state condotte in una strana maniera. La stampa, dopo la prima settimana, ha taciuto. Su Salvatore Cilia è necessario dire qualcosa di più di quello che già si sa. Il "pidocchioso" è in relazione con Valerio Borghese almeno dal 1954, quando Borghese firmò una dedica al libro di Cilia Non si parte ("A te, valoroso combattente, ieri con le armi oggi con la penna ..."). A cavallo fra gli anni 50 e gli anni 60, Cilia era vicinissimo ad organizzazioni estremistiche di destra come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale; già da allora (il periodo in cui, fuori dal MSI, Cilia creò l'OAS, Organizzazione Autonoma Studentesca) Cilia doveva avere rapporti camerateschi con Delle Chiaie e Rauti. Cilia è strettamente legato ai neofascisti siracusani (ha tra l'altro salvato dalla bancarotta il settimanale fascista "L'Aretuseo"). A Siracusa c'era un consistente gruppo di Ordine Nuovo, che passò in blocco nel MSI nel novembre del 69, insieme con Pino Rauti. Fra questi, Giuseppe Spataro è stato nello stesso '69 cooptato nel Comitato Centrale del MSI. Alcuni di ON di Siracusa hanno partecipato nel 68 al viaggio in Grecia organizzato da Mario. Il 13 e 14 marzo a Siracusa sono esplose due bombe ad alto potenziale, una all'Ufficio di Collocamento e un'altra alla CGIL. Quest'ultima solo per un caso non ha provocato una strage. la Polizia immediatamente diresse le indagini sul gruppo di Lotta Continua, nonostante l'opinione pubblica fosse concorde nel denunciare la matrice fascista. Pochi giorni prima avevo dato notizia su "L'Ora" di un vasto giro di esplosivi fascisti nella provincia di Ragusa, esplosivi che con ogni probabilità sarebbero stati usati a Siracusa, dove più forti sono le lotte sindacali. Le due bombe erano state precedute da una serie di "botti" inspiegabili, il cui scopo era di preparare l'opinione pubblica ad addossare la responsabilità agli edili disoccupati, che in quei giorni avevano anche occupato il Comune (ma la lotta degli edili era stata vittoriosa). Negli stessi giorni, nella zona industriale gli operai davano vita ad una serie di grandi lotte contro i licenziamenti e contro la politica dei monopoli chimici. Il direttore dei ..., il fascista D'Arò, aveva chiamato la polizia per caricare gli operai della Grandis. La tecnica dello scaricamento delle responsabilità rivela, a mio avviso, la presenza della mano sapiente di Delle Chiaie, e la connivenza della polizia. E che la polizia si stia muovendo per incastrare gli ultrasinistri, al fine di creare confusione e discredito per la sinistra in vista delle elezioni è confermato da altri fatti, che possono sembrare secondari, ma che assumono un senso e un peso se inquadrati nel contesto generale. La Squadra Politica ha messo anche a Ragusa in giro la voce che fra gli anarchici ci sono provocatori dinamitardi. Venerdì 31 marzo a Siracusa, ad un dibattito sulla strage di stato organizzato dagli extraparlamentari del Soccorso Rosso, a cui mi sono recato perché mi erano state promesse rivelazioni clamorose, che poi non ci sono state, ho visto un individuo che mi sembrava di conoscere, nonostante l'elegantissimo vestito bleu, l'aria distinta e seria. L'ho osservato da lontano per qualche minutom e infine si è allontanato. Più tardi, quando stavo andando via per tornare a Ragusa, ho visto lo stesso individuo, stavolta con un vestito più dimesso che ben conoscevo, correre verso il cellulare della polizia che stava partendo da una traversa a qualche centinaio di metri dal locale in cui s'era tenuto l dibattito: era il signor Nicotra, agente della Squadra Politica di Ragusa. La polizia tra l'altro era a conoscenza del mio spostamento a Siracusa, essendovi inequivocabilmente accorto, per un inconveniente tecnico, che mentre parlavo con SR il mio telefono era controllato. Questo fatto a mio avviso dimostra che la polizia si muove nella direzione giusta per costruire gli attentati su misura agli extraparlamentari, potrebbe significare, ma questo mi sembra azzardato, che si sta costruendo non so quale provocazione sulla mia persona, dato che negli ultimi tempi sono venuto a conoscenza di fatti gravi, e forse si sospetta che sappia molto di più di quanto non dica. Per concludere, ritengo legittimo sospettare che, da qui alla campagna elettorale, i fascisti stanno preparando qualcosa di grosso, a Ragusa o a Siracusa, forse un attentato criminale di vaste proporzioni. Mi permetto di suggerire: 1°) La massima vigilanza nelle sezioni; 2°) La denuncia in tutte le sedi, riunioni di partito, comizi ecc. della trama nera; 3°) La massima attenzione per questo tipo di notizie. 

Giovanni Spampinato





domenica 19 ottobre 2025

Ragusa, provincia "babba" maligna?


Foto tratta da Google Immagini

In queste ore la provincia di Ragusa - da sempre definita con un vecchio adagio terra "babba", cioè zona dove le mafie non attecchivano bene - è salita agli onori della cronaca regionale e nazionale per due importati operazioni contro la criminalità organizzata: l'arresto del latitante vittoriese Gianfranco Stracquadaini a Comiso e poi per una importante operazione antidroga che vedeva la città di Ispica come una rilevante base logistica per commercio di sostanze stupefacenti. Dall'estremo Est all'estremo Ovest degli Iblei emerge un filo unico di interessi e pratiche criminali. Eppure negli anni si era affermata un'opinione, che nel tempo si era via via consolidata, fino a diventare una sorta di verità: la criminalità organizzata era radicata solo ed esclusivamente nell'area ipparina e in particolare a Vittoria. Una stupida persuasione (ancora oggi dura a morire) figlia di antiche e banali convinzioni e di becero e ottuso campanilismo.  Ma mentre modicani, pozzallesi, ispicesi, ragusani si vantavano di essere "babbi", le mafie, con i loro affari,  conquistavano i loro territori fino a manifestarsi con le loro azioni violente. Voglio ricordare alcuni fatti recenti e tra questi i più significativi:
- Nel maggio del 2012 a Marina di Ragusa, nel centralissimo viale Andrea Doria un incendio di origine dolosa mandava in fumo il locale "baciamo le mani".  
- Nel 2014 va in fumo un locale di Sampieri, il "pata pata" e il "terzo tempo" a Pozzallo
- Nel 2015 a Marina di Ragusa, sempre nel centralissimo viale Andrea Doria, un incendio doloso mandava  fumo un altro locale "baja".
- Nel maggio del 2022 Un incendio doloso veniva appiccato in un cantiere edile all'interno del cimitero di Pozzallo.
- Nel marzo del 2024 a Ispica veniva incendiata l'auto di due attivisti di Legambiente che denunciavano irregolarità ambientali. 
- Nell'agosto del 2024 a Marina di Modica andava in fumo l'ennesimo locale, il "Lido Sud". 
- Nel settembre scorso a Ragusa veniva dato alle fiamme il nuovo McDonald's di Via Giorgio La Pira.
Per non parlare che sempre in queste zone, negli ultimi anni, gli arresti di spacciatori e i sequestri di sostanze stupefacenti sono cresciuti esponenzialmente. Alcuni, con stupore (tipico della babbitudine ragusana), ma piano piano, si sono finalmente resi conto che le mafie sono come la loro stupidità, non hanno confini. Se sono state capaci di infettare il Nord Italia, L'Europa, le Americhe, l'Australia, figurarsi se non ammorbavano tutta la nostra piccola provincia. 

Nell'operazione di Ispica è emerso un dato che non può e non deve essere sottovalutato. Lo ha evidenziato il maggiore dei carabinieri Francesco Zangla durante la conferenza stampa. Oltre alla spregiudicatezza dei personaggi  e il possesso di armi ed esplosivo, già di per se indicativo di un certo livello criminale, vi è nel denaro sequestrato (43 mila euro) la significativa presenza non di monete di piccolo taglio, cioè 20 e 50 euro, ma di banconote da 500 euro. Questo sta ad indicare che il giro era veramente grosso e che il denaro "guadagnato" non veniva più contato ma pesato per poi essere utilizzato per altri scopi.  
Tutto questo fa pensare che le mafie sono sempre un passo avanti. Tanti (i babbi) sono convinti che se non sparano non ci sono. Altri invece pensano che quando non sparano non si vedono  e quando si riesce a percepirle sono già da qualche altra parte. Le cerchi nelle campagne e invece sono nei cantieri edili o nelle imprese commerciali. Le cerchi nei cantieri edili o nelle imprese commerciali e invece gestiscono rifiuti e commerciano droghe. Le cerchi nella gestione dei rifiuti e delle droghe e fanno già investimenti finanziari. Per contrastarle bisogna cambiare mentalità. La babbitudine non è solo  un fatto consolatorio,  è un sintomo pericoloso, è un indice di malignità. Se non si contrasta rischia di sfociare nella peggiore delle complicità. 

sabato 11 ottobre 2025

Sicilia, arcipelago di strutture militari.


Foto base di Sigonella tratta da Google Immagini

La Sicilia non è un'isola. E' un arcipelago di strutture militari. Non c'è provincia della nostra terra che non veda la presenza di un complesso bellico pronto ad essere utilizzato per qualsiasi tipo di "crisi". Molte di queste strutture sono note, la base di Sigonella su tutte. Sto parlando di una vasta area con due piste aeree lunghe più di 2.400  metri denominata dai vertici statunitensi "The Hub of the Med", cioè il centro del Mediterraneo. Un enorme carcinoma maligno posto nel mezzo della Piana di Catania  da cui si propagano una serie di metastasi a cominciare dal vicino porto di Augusta, che è diventato una base per l'attracco di navi militari e di sommergibili a propulsione nucleare. All'interno di questa struttura la Marina Militare italiana ha, da poco, aperto  l'unico polo di formazione avanzata per ufficiali destinati al comando di una nave da guerra. A seguire abbiamo: 
Il MUOS di Niscemi, è un sistema di comunicazioni satellitari militari ad alta frequenza tra i più grandi d’Europa, gestito dagli Usa. Mentre le altre stazioni di terra si trovano in posti deserti – nelle Hawaii, in Australia e in Virginia – a Niscemi è stata costruita a ridosso di in una riserva naturale di querce da sughero, un Sito di Interesse Comunitario, a pochi chilometri dal centro abitato. 
L'aeroporto di Trapani Birgi, è la base per aerei radar, gli Awacs e i caccia della Nato. Poche settimane fa il ministro della difesa  (o della guerra?),  C(r)osetto, ha annunciato che proprio in questa base aerea nascerà la scuola per top gun sui caccia F.35, "i lavori inizieranno nella primavera del 2026 e si concluderanno entro il 2028". 
Poi vi sono i grandi occhi elettronici che controllano il Mediterraneo e cioè il centro radar di Marsala e quello di Noto-Mezzogregorio, due strutture che si occupano di sorvegliare lo spazio aereo italiano e di buona parte di quello della regione Sud-europea della Nato. Questi due centri assicurano pure l’interscambio informativo con le unità navali Usa e Nato in navigazione nel Mediterraneo. 
Ovviamente non possono mancare i poligoni per le esercitazioni di guerra dove ciclicamente militari italiani e delle forze Nato si esercitano al combattimento. Questi sono situati a Punta Bianca (Agrigento), Piazza Armerina e Corleone. 
Ma non finisce mica qui. E no! Abbiamo anche un grande hangar scavato dentro una montagna a Pantelleria. Parlo di un'avio rimessa ben mimetizzata lunga oltre 300 metri larga circa 25 metri e alta circa 20 metri che dovrebbe contenere aerei ed elicotteri da combattimento. A Lampedusa invece vi è un importante centro radar  che contribuisce alla sorveglianza dello spazio aereo di competenza, attraverso il corretto funzionamento e il mantenimento in efficienza del sistema d'arma e degli apparati radio per le comunicazioni terra/bordo/terra nel Mediterraneo centrale e meridionale. Altro importante centro radar è la stazione dell US Navay della Marza, sita nel comune di Ispica, questo monitora il passaggio di navi e sottomarini.  A tutto questo va aggiunto l’uso dei porti di Catania, Messina e Palermo per le soste e i rifornimenti delle unità navali delle marine dei paesi Nato; gli atterraggi, le soste e i decolli dei velivoli d’intelligence e delle società contractor del Pentagono dagli scali “civili” di Catania-Fontanarossa, Palermo-Punta Raisi e Pantelleria e, forse, anche Comiso.  
A questo elenco (sicuramente incompleto) vanno sommate le nuove "occasioni di sviluppo" che si stanno affermando nel nostro arcipelago militare.  Presso i cantieri navali di Palermo, negli ultimi mesi sono stati effettuati i lavori di adeguamento nella portaerei Cavour - nave ammiraglia della nostra Marina militare - relativi all’imbarco dei nuovi aerei da combattimento F35.  Sempre presso i cantieri navali di Palermo è stata effettuata, recentemente, la manutenzione di un altra nave da guerra, l'unità anfibia multiuso Trieste. Sempre nei cantieri navali di Palermo è stata realizzata una maxi nave anfibia da combattimento commissionata dal ministero della difesa del Qatar. 
Non si capisce bene cosa diventerà l'area industriale di Termini Imerese, ma voci di corridoio parlano di insediamenti industriali legati alla produzione di armi, così come non è escluso che l'aeroporto di Comiso possa tornare ad avere un ruolo militare.

La ciliegina sulla torta di questo significativo apparato bellico, forse l'ha messa la Regione Sicilia. Infatti con una delibera del 3 ottobre scorso pare abbia riprogrammato i fondi Fers (Fondo europeo sviluppo regionale) stanziando circa 200 milioni di euro "verso una mobilità dual use" cioè civile e militare. La Sicilia ha bisogno di servizi sanitari, scuole sicure, reti idriche per uso agricolo e domestico, infrastrutture adeguate, ma per la regione tutto questo è poco importante, tant'è che sposta le risorse su opere di "natura duale" fregandosene dei bisogni reali dei sui cittadini. E' in questo modo che si alimenta il divario economico-sociale e si da la possibilità di favorire gli interessi di certe economie mafiose (https://www.euroinfosicilia.it/pr-fesr-sicilia-21-27-esame-mid-term-review/).

Con un campionario di strutture  militari operative, logistiche e di formazione di questa portata, la Sicilia è già in prima linea sia per le guerre attuali e sia per i conflitti futuri, in spregio all'art. 11 della Costituzione. 

mercoledì 8 ottobre 2025

Mafia albanese e capitali illeciti, ma su tutto domina sempre e solo lei: la zona grigia.

Acquaforte di Pippo Fava "Pomeriggio al circolo" tratto da Google Immagini


Peppe Bascietto, con una serie di post su Facebook, ha descritto, con precisione chirurgica, il nuovo sistema criminale che opera nel territorio ibleo. Ci ha raccontato la mutazione lenta ma continua che è iniziata con l'ingresso di organizzazioni esterne: 'ndrangheta e mafia albanese. Queste organizzazioni hanno prescritto, per non dire imposto, nuovi comportamenti. La massa enorme di denaro prodotto dalla gestione e dal commercio delle droghe - cocaina su tutte - è diventata in poco tempo lo strumento per costruire una serie di reti economiche che con determinazione si sono infiltrate "nei mercati, nei locali, nei flussi di lavoro e nei permessi di soggiorno". Nel silenzio più totale e con molta risolutezza, in questa parte della Sicilia, si è imposta un'autorità finanziaria, silenziosa, molto ben strutturata e capace di scandire i tempi delle tante economie del Sud Est. In passato in molti miei post pubblicati su questo mio piccolo spazio telematico ho ipotizzato questi legami, ma non avevo gli strumenti per poter definire queste mie teorie. Peppe Bascietto, con una accuratezza millimetrica, ha fornito nomi, cognomi e soprannomi dei personaggi, i loro interessi e gli eventuali legami con altre consorterie mafiose. Nulla a che vedere con le relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia. In tutte quelle che ho consultato, compresa l'ultima, l'analisi dei fenomeni criminali in provincia di Ragusa si ferma alla presenza di due distinte organizzazioni mafiose: cosa nostra, influenzata dalle compagini catanesi e nissene e la stidda, strettamente legata alla matrice gelese. Un cliché che si ripete di semestre in semestre da anni. L'unico dato aggiornato sono le operazioni di polizia avute nel periodo a cui fa riferimento la relazione. Gli organi inquirenti sono forse leggermente in ritardo nella lettura del territorio? Eppure da anni esistono atti presso la Commissione nazionale antimafia dove si parla da tempo del ruolo della criminalità albanese. Questa mafia, anni fa, fungeva da "organizzazione di servizio" per le mafie italiane, in quanto si occupava della fornitura, del trasporto (via mare e terra) e dello stoccaggio delle droghe, soprattutto per conto della 'ndrangheta. Poi, sempre da questi atti, emerge come le strutture criminali albanesi si siano evolute e da "organizzazioni di servizio" sono diventate referenti dei più qualificati cartelli di narcotrafficanti sudamericani. Nel resoconto stenografico della seduta della Commissione antimafia di martedì 8 aprile 1997 a pag. 9 si legge: Secondo alcune informazioni, non verificate ma probabilmente attendibili, la presenza di alcuni esponenti dei cartelli colombiani aveva addirittura portato alla sperimentazione della coltivazione della pianta della coca negli altopiani albanesi.
Questo è il nuovo livello criminale. Accanto ad esso, da sempre, c'è un secondo livello che non emerge mai: quello economico! Dove finisce la massa di denaro prodotta dallo spaccio delle droghe? Chi la gestisce? Non possono essere sicuramente i personaggi descritti da Bascietto ad occuparsi di questo, non hanno né le caratteristiche né la capacità. Far convergere certi interessi imprenditoriali con quelli della criminalità non è una cosa semplice. Servono complicità e professionalità di un certo tipo che si svolgono su più strati. 
Un esempio che spieghi in pochi punti questa mia tesi potrebbe essere questo: 
1. Le mafie di questa zona accumulano capitali illeciti con la gestione della droga (anche dei rifiuti).
2. Professionisti capaci e spregiudicati di questo territorio trovano le condizioni attraverso un sistema finanziario compiacente per ripulire questi fondi.
3. I capitali entrano nell’economia legale sotto forma di investimenti, spesso in settori strategici (edilizia, turismo, logistica, serricoltura,…).
4. Il sistema bancario guadagna, gli imprenditori crescono, le mafie si rafforzano economicamente e socialmente e lo Stato finge di non vedere.
Se è così, e io penso che sia così, qui non servono solo più forze dell’ordine o più videosorveglianza. Qui servono più ispettori bancari che verifichino con attenzione ciò che avviene dentro il nostro sistema finanziario. Qui servono più ispettori dell’Agenzia delle Entrate che controllino ciò che accade all’interno di certe imprese. Qui servono intelligenze investigative che sappiano capire come questa criminalità si sta evolvendo. 

Peppe Bascietto ha creato uno squarcio, ci ha dato i nomi, i cognomi e le caratteristiche di questo nuovo sistema criminale/economico che sta infettando tutta la provincia iblea. Ma dietro questi nomi vi è un'entità immateriale, astratta e impenetrabile fatta di imprenditori, notai, avvocati, tecnici, commercialisti, esperti di finanza e quindi di riciclaggio. Un'area grigia che decide come e dove investire la massa enorme di denaro generata del narcotraffico. L'hanno chiamata "mafia trasparente", quella difficile da vedere - o che nessuno vuole vedere - che non ha nomi e soprannomi. E' quella che crea collusioni con la società civile e con le istituzioni. E' la mafia che comanda realmente perché governa e investe i soldi prodotti illegalmente e intreccia rapporti di potere. Questa mafia, avvolta e protetta da una spessa coltre di perbenismo - per questo definita "borghesia mafiosa" - mal sopporta le azioni criminali, vuole silenzio e sfuma per la vergogna di fronte alle violenze della criminalità perché sa che quelle azioni trovano sostegno nel suo grigiore, ma chi compie quelle azioni sa che senza quel grigiore non avrebbe sussistenza. Le istituzioni, per il bene del territorio, si attrezzino per svelare questa mafia. Occorre conoscerne i volti per inserirli, finalmente, anche questi, nelle foto segnaletiche. 

sabato 13 settembre 2025

Venti di guerra al largo delle coste iblee. Ma questa terra cosa rischia di diventare?


L'estate 2025 non passerà alla storia soltanto per essere stata la più calda di sempre ma anche perché è stata parecchio movimentata da un punto di vista militare. A largo delle nostre coste l'agitazione (fortunatamente senza scontri) tra navi militari russe e della Nato, con il corollario di aerei ed elicotteri che pattugliavano le aree interessate, è stata intensa e continua. Basta visitare il sito italmiradar.com e leggere i post che riguardano le tensioni nel Mediterraneo per trovare conferma di ciò che scrivo.  Ma perché vi è stata e vi è tutta questa allerta? La guerra in Ucraina e le vicende mediorientali ci raccontano quella parte dello scontro che riguarda il controllo della superfice delle acque del Mare Nostrum. Accanto a questo vi è un altro conflitto ben più grave e pericoloso: è quello sul controllo dei fondali del Mediterraneo! La Sicilia, per la sua posizione centrale tra Europa, Asia e Africa, è diventata il punto di incontro, il nodo cruciale, per la rete internet mondiale

Sui nostri fondali, al largo della costa ragusana, poggiano i cavi di fibra ottica che trasportano le informazioni tra l'Estremo Oriente e le Americhe, tra L'Africa e il Nord Europa.  A Marina di Ragusa e a Pozzallo vi sono le stazioni di approdo di questi cavi che servono a rafforzare il sistema di connessione a livello internazionale. Le immagini che allego, tratte dal sito submarinecablemap.com, evidenziano la condizione di ciò che sto raccontando.

E' chiaro pertanto come la Sicilia, e in particolare la zona iblea, sia diventata un'area strategica, definita da esimi giornalisti, manager di primo piano e militari alti in grado: "hub informatico",  "cerniera digitale", "cuore della rete mondiale di internet".  Tutto questo ovviamente ci espone ad una nuova serie di problemi, soprattutto ora che vi sono diverse tensioni. Pensare di provare a tranciare questi cavi significa non solo voler alterare l'economa globale ma peggiorare una serie di equilibri geopolitici già, da tempo, abbastanza precari. Ecco spiegato perché la sola presenza, a largo delle nostre coste, del rimorchiatore russo Jakob Grebelsky - probabile nave di appoggio del  sottomarino russo Novorossky - ha attivato un intenso sistema di allerta che è stato seguito e raccontato per l'intera estate dal sito www.itamilradar.com.

La Sicilia,  il nostro territorio, grazie (si fa per dire) a questo nuova condizione strategica, si appresta a diventare  una grande base militare, una gigantesca caserma,  una zona di economia di guerra, dove verranno formati i guerrieri del XXI secolo. Non è un caso se poche ore fa, il presidente della commissione Difesa della Camera dei deputati, il modicano Nino Minardo, ha annunciato con una certa enfasi che presso l'aeroporto di Trapani-Birgi, nascerà il nuovo polo di addestramento globale dei caccia F-35 e sarà la struttura gemella di quella già operativa nella Luke Air Force base in Arizona, negli Stati Uniti.  Il deputato ha voluto inoltre fare rilevare come tutto questo "...è un’opportunità concreta per la Sicilia. Significa centinaia di posti di lavoro tra personale civile e militare, nuove possibilità per le imprese locali e la presenza di grandi realtà industriali come Leonardo e Lockheed Martin. Credo fortemente che la nostra Isola possa diventare un punto di riferimento nel Mediterraneo, coniugando industria della difesa, portualità e infrastrutture. È un’occasione storica di crescita e di sviluppo che dobbiamo saper cogliere."

Allora il futuro di questa terra non sarà il turismo, lo sviluppo del settore agroalimentare e quindi il rilancio della sua microimpresa ma sarà solo quello di diventare un'importante piattaforma tecnologico-militare? E quindi 'l'aeroporto di Comiso o il porto di Pozzallo, per "saper cogliere" queste occasioni storiche cosa potrebbero o dovranno diventare?  Le parole dell'on Minardo, nella loro banalità politica fanno paura e vanno a braccetto con quanto scritto nel Piano territoriale regionale (PTR). In questo documento (si veda l'immagine allegata) la fascia costiera che va da Siracusa a Licata viene definita "banana energetica", cioè dovrebbe diventare un area che produce energia con l'agri-voltaico, biocarburanti e impianti eolici off-shore. Tutta  questa energia  serve forse a sostenere l'energivora Intelligenza Artificiale (AI) che dovrà viaggiare nella rete sottomarina?  Se è così (ed è probabile che sia così) tutto questo deve essere difeso, da ogni possibile attacco, con sistemi militari avanzati. Nell'area del Sud Est siciliano sono operative: la base di Sigonella, il sistema MUOS e poi vi sono diverse infrastrutture militari, apparentemente secondarie, sparse nel territorio. Alla luce di un possibile precipitare degli eventi, tanto in Ucraina quanto in Medio Oriente, potrebbero servire ulteriori strutture militari? E' forse questa  "l'occasione storica di crescita"  di cui parla l'on Minardo? E' così che si prova ad avviare la filiera della guerra? 



Nell'attesa che qualcuno risponda a questi quesiti penso che intanto serva una mobilitazione civile e democratica, prima che sia troppo tardi. Prima che tutto possa diventare definitivo.  

domenica 24 agosto 2025

Salvo Vitale, un uomo di coraggio.




Salvo Vitale non c'è più. Il 19 agosto, a 82 anni, pochi giorni dopo il suo compleanno, ci ha lasciato. Salvo era un amico fraterno di Peppino Impastato, era uno di quei compagni che si era dedicato  a quell’attivismo politico sano, creativo, geniale e totalizzante nato a cavallo tra gli anni '60 e '70. Si era laureato in Filosofia e aveva iniziato la sua carriera come corrispondente per L’Ora, ma poi decise di fare l'insegnante. Insieme a Impastato si dedicarono completamente alla lotta contro la mafia di Cinisi e di Badalamenti, denunciandone ogni attività illecita, deridendo i mafiosi e i loro complici politici. Infatti, una delle sue tante qualità era quella di burlare la mafia, di non prenderla troppo sul serio come fanno certi personaggi egocentrici che si atteggiano ad esperti di criminalità organizzate. Lui, insieme a Peppino, con il programma "Onda pazza", erano diventati dei potenti ed estrosi menestrelli. Si può dire che insieme hanno inventato l'antimafia sociale, quella che dà realmente fastidio e sta dalla parte degli oppressi. Dopo l’assassinio di Peppino, continuò la sua battaglia con una geniale incoscienza, riuscendo a mantenere viva la memoria di Peppino e soprattutto a far emergere la verità sul suo omicidio perché carabinieri e magistratura sostenevano (o depistavano) che Impastato fosse un terrorista incapace a maneggiate il tritolo o peggio, un folle suicida. Ha continuato in mille modi a dare fastidio e a deridere le mafie senza mai cadere nella rete dell'antimafia in doppio petto, anzi la criticava con tagliente ironia. “Mettere in mezzo a tutto una grande, comune risata”, era una delle sue massime. Con il suo blog , "Il Compagno - giornale di controinformazione stile Radio Aut", ha regalato tante analisi, e molti spunti  sul contrasto alle mafie, alle loro evoluzioni e ai loro interessi economici. Per tutta una vita ha cercato di animare il focolaio di agitazione che nasce dove ci sono uomini che subiscono ingiustizie”. Le parole a cui teneva  di più erano "resistere" e "oltre", un binomio che può sembrare un ossimoro ma che invece è stato ed è il motore che spinge verso  la concreta fattibilità che un altro mondo è possibile.
Salvo Vitale ci lascia due grandi insegnamenti: non piegarsi mai al silenzio, anche quando sembra inutile o fa paura, e poi che la memoria non è solo ricordo ma lotta.
Abbiamo perso un compagno, ma restano vive le sue parole che continueranno a suggerire ai giovani (ma anche ai meno giovani) di non arrendersi, perché le mafie si combattono e si abbattono con la cultura, con l’ironia e con il coraggio.

Per chi vuole conoscere gli scritti di Salvo Vitale https://www.ilcompagno.it/




mercoledì 13 agosto 2025

Sistemi idrici siciliani, per la Corte dei conti ci sono 25 anni di inefficienze.

Foto presa da Google Immagini

Ricordate la coppia Totò Cuffaro Felice Crosta? Il primo presidente della regione, finito in carcere per favoreggiamento aggravato alla mafia e violazione del segreto istruttorio, il secondo super dirigente regionale che guadagnava 1.500  euro al giorno. Entrambi furono i  firmatari del Piano di tutela delle acque della Regione siciliana, un documento elaborato tra il 2003 e il 2007 e poi approvato il 24 dicembre 2008. Uno strumento di pianificazione dove in più di 200 pagine veniva delineata l'autosufficienza del sistema idrico dell'isola, in grado di garantire il fabbisogno di tutti i comparti produttivi e civili anche in assenza di piogge prolungate. In 20 anni questo documento è diventato, via via, carta straccia. Il 7 agosto sorso la Corte dei conti ha certificato lo storico stato di inefficienza e di carenza strutturale sia dei grandi invasi sia delle reti idriche siciliane dove le perdite d'acqua, in alcuni casi, arrivano al 70%. Infatti nella relazione dei magistrati contabili si legge: “sussistono agli atti istruttori palesi e macroscopiche carenze documentali nella individuazione delle connessioni finanziarie e funzionali tra le diverse gestioni emergenziali che hanno interessato gli interventi per la realizzazione, il completamento e la manutenzione delle dighe, delle reti di grande adduzione delle risorse idriche, e delle reti comunali con decorrenza dall’anno 2001”. Il 2001 è proprio l'anno in cui inizia lo scempio privatistico dei sistemi idrici siciliani. Infatti la Regione con un decreto favorisce la privatizzazione della gestione idrica in base a “criteri di efficienza, efficacia e di economicità”. In una relazione l'allora commissario regionale per le acque, l'ex generale dei carabinieri Roberto Jucci, provò a cambiare quella norma proponendo l'istituzione di una authority che avrebbe dovuto gestire, unitariamente, le dighe, le condotte, e gli impianti comunali. Dopo quella relazione l'ex generale fu spedito a casa e la carica di commissario venne assunta da Totò “vasa vasa” che nominò suo vice il dott. Felice Crosta. Nel 2004, sempre durante il governo Cuffaro, nasce Siciliacque spa, società per il 75% privata e per il restante 25% di proprietà della regione. Oggi questa struttura gestisce 90 milioni di metri cubi d'acqua e copre il fabbisogno (si fa per dire) delle province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Trapani, e in parte di Palermo, Messina e Ragusa. In tutte queste zone si sta affrontando da tempo una grave crisi idrica che viene attribuita quasi esclusivamente alla scarsa piovosità e alle alte temperature. Ma nel Piano di tutela delle acque non si scrisse che i sistemi idrici siciliani erano in grado di garantire il fabbisogno di tutti i comparti produttivi e civili anche in assenza di piogge prolungate? Cosa è cambiato da allora? La recente relazione della Corte dei conti ci fornisce un dato significativo che delinea lo spessore delle gravi insufficienze strutturali sia nella realizzazione e sia nella manutenzione delle opere idriche dell’isola: su 1.438 interventi urgenti e di immediata attuazione richiesti in tutta Italia al Commissario nazionale per l’emergenza idrica, 773 arrivano dalla Sicilia, cioè più del 50% degli interventi richiesti. Tutto questo, secondo i magistrati, “costituisce una prima evidenza della gravità del deficit strutturale nella realizzazione e/o manutenzione delle opere idriche nella Regione siciliana”. E i criteri di efficienza, efficacia ed economicità che per la Regione dovevano arrivare con la privatizzazione dove sono finiti? Si parla di un Piano di messa in sicurezza del sistema idrico siciliano, il costo si aggira a circa 1,3 miliardi. Il 60% di questo Piano pare sia già finanziato e prevede la costruzione e il rifacimento delle grandi strutture irrigue per circa 600 milioni di euro, la messa in sicurezza delle dighe per 440 milioni di euro, il riutilizzo delle acque reflue in agricoltura per 200 milioni di euro e altri 60 milioni di euro per la rimozione del fango degli invasi. Un profluvio di soldi pubblici che fa sfregare le mani a tanti e non esclude il rischio di infiltrazioni mafiose. Ecco perché la magistratura contabile, dopo 25 anni, vuole vederci chiaro e “chiede (a diverse strutture regionali ndr) di fornire lo stato di attuazione degli interventi programmati”.  Chi avrà il coraggio di raccontare come stanno i fatti di fronte ad un quarto di secolo di (volute?) debolezza gestionali? Intanto Totò Cuffaro, dopo le sofferenze patite in carcere,  si è ripreso, prepotentemente, la scena politica siciliana e le sue decisioni, anche quelle sulle politiche di gestione dell'acqua, saranno molto determinanti. Tutto questo mentre in Sicilia  aumenta la siccità, avanza la desertificazione e la sete brucia le gole dei siciliani. Tre emergenze che hanno già messo in moto la macchina del consenso.



In allegato la delibera della Corte de conti

file:///C:/Users/PC8/Desktop/delibera_213_2025_sicilia.pdf