Rileggo
il passo scritto da Sciascia “...
Vittoria è come un paese di frontiera: ne ha l'animazione, la
mescolanza, l'ambiguità, la contraddizione. Era l'argine contro cui
si spegnevano, non senza qualche impennata, le ondate mafiose. Forse
più di una breccia in questi anni si è aperta: ma l'impressione
della frontiera rimane ancora oggi. Ho il pregiudizio che non
soltanto sappiamo di star valicando il confine tra la sicilia
sedicente "sperta" ... e la Sicilia che da quella "sperta"
è definita "babba".
Una
frase mi resta impressa, soprattutto perché è declinata al passato:
“Era
l'argine in cui si spegnevano, non senza qualche inpennata, le ondate
mafiose”. Eravamo
una ostacolo, ma abbiamo rimosso i blocchi, gli anticorpi si sono
indeboliti e siamo stati infettati definitivamente dalla cultura
mafiosa. Difatti, la
città via via negli anni, è scesa sempre più in basso senza mai
toccare il fondo. Il masso, la zavorra che ci sta trascinando giù è
una criminalità organizzata autoctona, capace di relazionarsi con
altre criminalità. La stessa si evoluta ed è mutata con la stessa
velocità con cui si è evoluta ed
è mutata la nostra società.
Negli
anni ’80 e ’90, i clan erano macro-organizzazioni che
assemblavano a se ogni forma di criminalità e non tolleravano,
stroncando violentemente sul nascere, ogni tentativo di disobbedienza
o di attentato alla loro supremazia. Oggi, la nuova criminalità
organizzata ha cambiato atteggiamento, ha avviato una sorta di
flessibilità, di precarietà del crimine. Non
sente più come in passato la necessità di costituirsi in una
macrostruttura evidente, non tiene a libro paga i propri affiliati.
Troppa visibilità. Troppi costi. Meglio
vivere nell'ombra e controllare senza rischiare.
Può
succedere che lo spaccio delle droghe (attività principale di tutte
le mafie) venga affidato, come una sorta di franchising, agli
extracomunitari. Si rischia poco, il guadagno è abbondante e
sicuro, ma soprattutto l'opinione pubblica individua come
responsabili principali di questa piaga sociale gli “immigrati”
che da tempo sono percepiti come una questione
di ordine pubblico
(specie in una società come la nostra indebolita economicamente e
culturalmente dalla crisi).
La
mafia ha però sempre il solito problema, dove
e come reinvestire i soldi. Può
accadere
che
i proventi delle attività illecite vengano investiti
in attività imprenditoriali di servizio all'economia legale.
E così che volto criminale e violento della Cosa Nuova si attenua
e affiora invece l'aspetto “gentile e imprenditoriale”? La
criminalità organizzata sa che negli affari si guadagna e si perde,
ma la stessa non vuole perdere mai. Le imprese criminali cercano la
certezza del monopolio. Le regole sono per i deboli, bisogna
controllare l'economia. Per mettere in moto queste dinamiche bisogna
abbandonare i vecchi metodi. Ad esempio, l'idea di pizzo, da violenta
e odiosa imposizione, dovrebbe trasformarsi in conveniente
prestazione professionale. In questo caso la possibile vittima del
racket verrebbe trasformata in cliente a cui fornire un ottimo
servizio, ma soprattutto per attirare tanti clienti, per avere il
monopolio, le prestazioni devono essere molto vantaggiose
economicamente. L'economia criminale da tempo ha compreso che i costi
di
alcuni processi lavorativi delle imprese che operano nella legalità
sono diventati poco sostenibili. Se si riesce ad offrire la
possibilità di ridurre questi costi, si possono creare realmente le
condizioni di monopolio. E'
forse così che l'economia criminale prova a penetrare l'economia
legale? Come
è possibile che una prestazione se svolta dall'impresa legale ha un
costo, se invece viene conferita a “terzi” lo stesso si riduce?
Il
servizio viene svolto nel rispetto delle norme ambientali,
lavorative, previdenziali e fiscali?
Da questa breve analisi emerge in modo evidente come queste forme di
“esternalizzazione” vadano incontro alle esigenze dell'impresa
sana. Infatti, la stessa non si porrebbe il problema di chi offre il
servizio e di come si possano ridurre le spese, alla stessa interessa
che il servizio sia fatto bene e soprattutto costi poco. Se tutto
questo avviene si creano le condizioni perfette: la mafia si fa
impresa, il pizzo diventa servizio, l'impresa sana abbatte i costi.
E'
così che si generano cont(r)atti bilaterali perfetti?
E'
così che i rapporti economici tra legale e illegale si consolidano?
E' possibile che questi rapporti da economici diventino personali? E'
così che si diluiscono i confini tra legale e illegale?
Al
centro di queste vortice di punti interrogativi ci sta la Vittoria
“buona”, la così detta “società civile” che parla tanto di
legalità ma dimentica spesso come la legalità è
corresponsabilità. Questa parte della città pare che nasconda a
se stessa come le nuove forme di criminalità economica possano
essere in grado di creare economia e influenzarla sia nel
territorio, sia fuori dal territorio e quindi di formare una
ricchezza che non genera sviluppo e progresso. La domanda
che tutti dovremmo porci è: forse questa ricchezza crea punti di
contatto tra i vari strati sociali della città?
In
una terra di “frontiera” capire i meccanismi
d'affermazione dell'impresa criminale significa comprendere come
funzionano le dinamiche economiche e sociali del territorio.
Schierarsi contro questa economia diventa la prima azione vera per
affermare la legalità autentica. Conoscerne l'evoluzione, avviando
forme di contrasto, non è solo un impegno morale ma è una necessità
che ci permette di cominciare a ricostruire “l'argine” che
restituisca dignità a Vittoria.