L’estate
era cominciata col botto: Vittoria commissariata per infiltrazione
mafiosa. Il frastuono era atteso, infatti non ha destato molte
sorprese, ma sempre botto è stato. Dopo il fragore sono
seguite le polemiche di rito, le recitazioni delle doglianze e
naturalmente le immancabili accuse. I papaveri del giustizialismo
militante hanno scoperto, di colpo e in modo lacrimevole, il
garantismo d’avanspettacolo. Dopo pochi giorni, sbollita la rabbia,
tutto è tornato nella norma e i problemi di sempre sono li che
attendono una eventuale soluzione. Come la mettiamo con i rifiuti
per strada, la carenza d’acqua, la manutenzione stradale,
l’inadeguatezza delle rete fognaria, l’assenza quasi totale di
servizi pubblici? A porre queste domande sono i tanti cittadini con i
piedi per terra e non gli irriducibili nemici della contentezza.
Analizzando sommariamente alcuni dati si evince chiaramente come
Vittoria offre un ritratto non proprio esaltante. Gli abitanti
puntano a diminuire. Le nascite sono poco più dei decessi. Fare
figli è diventato un peso difficile da sostenere e poi i figli si
fanno se hai un lavoro che ti possa assicurare un reddito dignitoso,
ma qui la disoccupazione supera il 35% e quella giovanile va
abbondantemente oltre il 50%. Queste percentuali con ogni probabilità
rispondono solo in parte alla realtà, poiché bisognerebbe
considerare che tanti non si presentano nel mercato del lavoro,
perché sanno che è una porta chiusa e si rifugiano nel lavoro nero
(nuovo ammortizzatore sociale) o nelle pieghe delle attività
illegali. Chi può permettere ai figli di frequentare l’università
li manda al Nord. Il motivo? Non tanto il valore dell’università
siciliane quanto la rassegnata convinzione che questa terra è
destinata al sottosviluppo irreversibile. Ma Vittoria è davvero
senza speranza? A guardare il centro storico non sembrerebbe. Ci
sono due città: quella borghese, che resiste alla crisi, affolla il
centro storico, ricco di locali glamour dove cenare, gustare un buon
calice di vino, incontrare amici, fare selfie da condividere
sui social. E poi c’è un’altra città che non sa niente del
Liberty, che arranca economicamente, che vive nel degrado e per
questi motivi considera la prima città estranea e nemica. A Vittoria
manca il senso della comunità, del destino condiviso e pertanto le
due città non comunicano. La scuola dovrebbe fare da ponte tra le
nuove generazioni, ma evidentemente non ci riesce, anzi, neanche ci
prova. La chiesa locale? E’ impegnata su tutto tranne su ciò
che dovrebbe fare realmente. Ci riesce la mafia con le sue economie.
In poco tempo ha saputo coniugare affarismo degli strati
professionali con la cultura dell’illegalità sottoproletaria e
plebea. Se non si scava dentro questa spaccatura, Vittoria sarà una
città che si inventerà una strategia di sopravvivenza giorno per
giorno. Non c’è da sorprendersi se le strutture sportive, gli
arredi di una piazzetta vengono spolpati, se il degrado e l’incuria
sono il paesaggio continuamente riproposto, se la movida notturna si
consuma tra degrado e rifiuti. Questo è il quadro che si presenta di
fronte ai commissari. Questo è quello che bisogna obbligatoriamente
sanare. Le forse politiche è sociali se voglio riscoprire il loro
ruolo hanno di fronte tanto lavoro da svolere per rilanciare la città
dando sostegno e indicazioni ai commissari. Il problema rimane sempre
uno (al di la dei proclami stucchevoli sulla legalità): sottrarsi in
ogni modo alle sirene del clientelismo becero che ammorba questa
terra.
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domenica 26 agosto 2018
venerdì 3 agosto 2018
Alle parole di don Beniamino preferisco quelle di Don Giuseppe Diana
Don Peppino Diana
Ho
letto e riletto la lettera di Padre Beniamino (condivisa anche da don Mario Cascone), prete che stimo e
rispetto molto. Non mi ha convinto. Sicuramente faccio una valutazione errata, mi è sembrata
una sorta di giustificazione. Penso - da cattolico sempre più
perplesso - che questa città profondamente laboriosa, le cui istituzioni sono state commissariate, abbia bisogno di una scossa diversa. Forse sbaglio, ma da don Beniamino mi sarei aspettato una lettera simile a quella di don Giuseppe Diana (prete ucciso dalla camorra). Un documento - fatte le dovute differenze storiche e geografiche - di forte denuncia e articolato.
Allego di seguito la lettera del prete campano in modo che i tanti che non la
conoscono ne possano apprezzare la catechesi.
“Per amore del mio popolo non tacerò”
Siamo preoccupati
Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.
Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.
Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che é la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.
Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.
Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.
Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che é la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.
La Camorra
La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana.
I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.
La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana.
I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.
Precise responsabilità politiche
È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche é caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi.
La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio.
Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.
È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche é caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi.
La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio.
Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.
Impegno dei cristiani
Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno.
Dio ci chiama ad essere profeti.
– Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
– Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
– Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
– Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 – Isaia, 5).
Coscienti che “il nostro aiuto é nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che é la fonte della nostra Speranza.
Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno.
Dio ci chiama ad essere profeti.
– Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
– Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
– Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
– Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 – Isaia, 5).
Coscienti che “il nostro aiuto é nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che é la fonte della nostra Speranza.
NON UNA CONCLUSIONE: MA UN INIZIO
Appello
Le nostre “Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe”.
Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa.
Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26).
Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso, … dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”.
Le nostre “Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe”.
Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa.
Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26).
Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso, … dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”.
Forania di Casal di Principe (Parrocchie: San Nicola di Bari, S.S. Salvatore, Spirito Santo – Casal di Principe; Santa Croce e M.S.S. Annunziata – San Cipriano d’Aversa; Santa Croce – Casapesenna; M.S.S. Assunta – Villa Literno; M.S.S. Assunta – Villa di Briano; Santuario di M.S.S. di Briano)
mercoledì 1 agosto 2018
Commissari insediati. E ORA?
“La
mafia era, ed è, altra cosa: un «sistema» che in Sicilia contiene
e muove gli interessi
economici
e
di potere
di
una classe che approssimativamente possiamo dire
borghese;
e non sorge e si sviluppa nel «vuoto» dello Stato (cioè quando lo
Stato, con le sue leggi
e
le sue funzioni,
è debole,
manca) ma «dentro» lo Stato. La mafia insomma altro non è che una
borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto
sfrutta.”
Leonardo
Sciascia
“La
lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che
abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà
che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza,
della contiguità e quindi della complicità.”
Paolo
Borsellino
Alla
notizia dell’insediamento dei commissari mi sono venute in mente
queste due frasi (quella di Sciascia non la ricordavo a memoria e
sono andato a cercarla). Sono
la sintesi perfetta di ciò che
abbiamo visto e di ciò
che serve a questa città per uscire dallo schifo in cui si è
cacciata.
Se
vogliamo realmente riabilitarci e ricomporci abbiamo l’obbligo di
capire e individuare cos’è la mafia in
questa terra, cosa
sono le sue economie
criminali, qual'è il suo blocco sociale e le sue
propaggini politiche.
Mai come ora abbiamo la responsabilità
di isolare, e non emulare
o adulare, gli
“insospettabili
personaggi” che
gestiscono e riciclano la mole di denaro prodotta
con le attività
illecite. Mai come adesso abbiamo
il dovere
di smascherarli,
per impedire che possano rifare del male a questa città e alle tante
“persone oneste” che, per paura o
per rassegnazione (tante
anche per convenienza), si
sono abituate a questo stato di cose. Tutto il resto: impostazioni
difensive, accuse,
garantismo di maniera,
polemiche, ripicche, tifo,
invidie, astio, livore ...
sono questioni
personali. Parlo
di fattori poco
influenti che rischiano di essere esaltati. SI alimenteranno così (volontariamente
o involontariamente?) polveroni che
potranno
(dovranno?)
impedire
il contrasto a quel grumo di interessi e di
potere che ha
fortemente
condizionato
i
processi
sociali, economici e politici di questa città, fino
a
farla deragliare in
un immenso
letamaio. E’ quel coagulo che bisogna combattere, è li che va concentrata l’attenzione e il contrasto. Borrometi (insieme pochissimi altri) ha provato a mettere il
naso in queste cose e per questo è diventato subito scomodo.
I
nostri occhi hanno visto, le
nostre orecchie hanno sentito,
ma le nostre lingue hanno taciuto.
E’
venuto il momento di sciogliere questo muscolo
atrofizzato che
teniamo in bocca. Questa comoda paralisi ha messo in letargo le menti e
la dignità
di questa città.
Continuare a stare zitti o peggio cadere nelle diatribe personali sarà il solito
deodorante utile a nascondere il lezzo della
servile complicità.
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