Riparto
da dove avevo lasciato. Serve costruire un'antimafia sociale. Per
arrivare alla sua costruzione - cosa molto difficile - bisogna fare un
piccolo passo indietro. In questi ultimi anni in provincia di Ragusa
la coscienza antimafia che si era in parte diffusa subito dopo le
stragi del '92 (Falcone, Borsellino e le loro scorte), in parte grazie
allo smantellamento dei clan che imperversavano nel territorio, si
è, piano piano, consumata. L'azione repressiva delle forze
dell'ordine, soprattutto dopo le stragi, fu una reazione alla
violenza mafiosa di quegli anni, e si intrecciò con l'impegno della
così detta “società civile” la quale reagì più per vanità
culturale e/o ambizione politica che per impegno vero e proprio. La
dimostrazione che questa partecipazione fu in buona parte farlocca è
data dal fatto che in poco tempo, con l'affermarsi del berlusconismo
(inteso più come fenomeno di costume), gran parte di quella “società civile” si riconoscerà via via in un nuovo modello, più simile a quello mafioso. Infatti, l'illegalità da disvalore si
trasformerà in risorsa. L'impunità da denigrazione diventerà
il segno della propria condizione sociale ed economica. Ad opporsi a
questa nuova circostanza, ancora attiva e ben radicata, rimarranno pochi dirigenti politici (di Sinistra) e qualche associazione. Ognuno proverà a contrastare come può, guardando all'azione della magistratura, alle
inchieste giornalistiche e alla capacità di contrasto delle
forze dell'ordine. Contestualmente (cosa che ripeto da tempo) la
criminalità organizzata locale inizierà la sua evoluzione. Cambieranno le figure, lentamente verrà abbandonato l'atteggiamento violento e vessatorio di un tempo e si dedicherà quasi esclusivamente alla gestione della droga. L'evoluzione sarà graduale ma inevitabile. Grazie ad una massa di denaro
significativa, l'atteggiamento da boss cafone e violento non sarà più
tollerato, chi vuole continuare su questa scia verrà eliminato.
Bisogna diventare "imprenditori" perché le attività, da quelle
illegali a quelle legali, non possono decollare senza la
collaborazione dei professionisti, dell'imprenditoria e delle
istituzioni. E' da questo momento che la criminalità diventa economica è inizia a costruire un rapporto più intenso fatto di interessi e
convenienze con buona parte di quella “società civile”, fatta da professionisti e (im)prenditori che negli anni '90
provano, molto timidamente, a contrastare l'atteggiamento violento
dei clan. Adesso, una buona parte di questa "società" è attratta dalle masse di denaro che produce la gestione della droga. Da questo cambio
di condotta
nascono alleanze e affari che determinano la nascita di quella che
in letteratura viene definita "nuova borghesia mafiosa”. Questo
rapporto trova un cemento nelle crisi che si succedono, dagli anni '90
in poi. Crisi che indeboliscono il tessuto economico principale di questa zona fatto di piccole imprese agricole. Il colpo letale lo sferra la depressione finanziaria del 2008. Piccoli imprenditori
agricoli, attività ad essi collegati e lavoratori dipendenti sono travolti da un susseguirsi di
difficoltà economiche e vengono spinti verso la povertà e/o
l'esclusione sociale. I dati dell'ultimo censimento ISTAT
sull'agricoltura siciliana sono molto chiari. Nel decennio 2000/2010
le imprese agricole in provincia di Ragusa si sono dimezzate. Si
è passati dalle 24 mila aziende censite nel 2000 a meno di 13
mila aziende nel 2010. La cosa interessante è come la superficie agricola utilizzata (SAU),
cioè la superficie destinata alla produzione agricola, è rimasta
quasi intatta (si veda tabella estratta dal 6° Censimento Generale
dell'Agricoltura in Sicilia).
Il dato diventa ancora più interessante se accostato al diagramma che descrive l'evoluzione delle dimensioni aziendali in Sicilia (si veda tabella sotto estratta dalla pubblicazione ISTAT Atlante dell'agricoltura in Sicilia pag. 17).
Nel decennio 2000/2010 si è ridotto notevolmente il numero delle aziende di piccole dimensioni, mentre sono cresciute quelle di medie grandi dimensioni. Se la SAU è rimasta quasi intatta significa che la terra delle piccole aziende è finita nella mani delle aziende medio grandi.
Dal
Rapporto Agromafie 2016, redatto dalla Coldiretti in collaborazione
con L'Eurispes si ottiene la quadratura del cerchio e cioè che l'Indice di Organizzazione Criminale (IOC) della filiera agricola ragusana è il più alto d'Italia. Per essere chiaro: la Mafia controlla l'intero settore. Se poi vogliamo definire alcune sfumature di questa quadratura si può aggiungere che oltre al rapporto Agromafie vi sono alcune inchieste giornalistiche che ci dicono come la zona ragusana, per le sue caratteristiche climatiche e pedologiche, si stia trasformando in una delle zone di produzione di marijuana - controllate dalla mafia - più importanti d'Italia. Stiamo diventando una sorta piccola Jamaica. Ritornando al rapporto Coldiretti si evince chiaramente che la criminalità economica nel ragusano oltre a controllare
qualsiasi produzione, gestisce anche i servizi all'agricoltura, sia
quelli diretti: lavorazione dei prodotti, imballaggi, trasporti,
rifiuti di prodotti dalla filiera che sono tanti e diversi; sia
quelli indiretti: edilizia, immobiliare e finanza.
Sulla finanza e in particolare sulla mobilità del denaro si apre una nuova finestra. In questo nuovo capitolo ci viene in aiuto la Banca d'Italia con le sue pubblicazioni. Nell'ultimo quaderno dell'antiriciclaggio dall'Unita di Informazione Finanziaria per L'italia (UIF) pubblicato nel settembre di quest'anno vengono analizzate le operazioni sospette del primo semestre 2016. A pag 11 (vedi figura) viene pubblicato il cartogramma.
Come si può notare la nostra provincia, a livello nazionale, occupa una posizione di tutto rispetto. 50/60 operazioni sospette per ogni 100 mila abitanti. Sono tante! Le
sorprese però non finisco qui. Anche il peso dell'operatività del
contante nella nostra provincia è tra i più alti d'Italia. Infatti, nel cartogramma pubblicato a pag. 38 (vedi figura) la nostra provincia ricade nell'area medio alta.
Quindi a Ragusa gira un bel po' di denaro contante? Questi soldi per non passare da certe operazioni bancarie saranno forse poco puliti?
Ma la
sorpresa delle sorprese è quella che ci viene illustrata nel terzo
cartogramma pubblicato a pag 45 (vedi fig. sotto), quello che da indicazioni sui bonifici verso i paesi a fiscalità
privilegiata e non cooperativi. Anche qui occupiamo una posizione di
tutto rispetto. Dai nostri sportelli bancari escono somme verso paradisi fiscali specializzati nel riciclaggio?
Se è così sarebbe interessante sapere: quali professionisti promuovono queste operazioni? Perché queste operazioni sono promosse da professionisti! Quali banche si mettono a disposizione per fare questi movimenti? Perché questi movimenti sono fatti dalle banche!
Contro
questi dati che ci parlano di flussi di denaro manovrati con
una certa dinamicità, si contrappongono i dati della Caritas diocesana
che ci raccontano come la povertà nella nostra terra aumenta e si
struttura insieme al tasso di disoccupazione, soprattutto quella giovanile che supera ormai il 40%. Nella relazione annuale della Caritas si legge: "ci troviamo di
fronte alla necessità di gestire, oggi più di prima, richieste di
tipo materiale ed esigenze di tipo economico". Un altro studio effettuato pochi mesi fa dalla TWING, una start up che si occupa di raccolta ed elaborazione dati, ci da informazioni ancora più significative. Da questa pubblicazione viene fuori che il territorio ragusano è il più povero della Sicilia (si veda fig. allegata).
Abbiamo il reddito pro capite più basso della Regione e una movimentazione complessiva di capitali tra le più significative del Paese. La provincia babba, l'isola nell'isola è terra di stranissime stranezze.
La criminalità economica di questa provincia, nell'attuale fase definita "globalizzazione", forse non è un'intrusa ma una protagonista. Ha utilizzato le occasioni (le crisi sono occasioni eccezionali) per marginalizzare le persone dai processi economici e arricchirsi alle loro spalle?
In questa lunga analisi, spero interessante, ho provato ad accendere i riflettori sulle forze che hanno generato la metamorfosi della criminalità organizzata di questa zona a criminalità economica. Serve progettare e costruire un contrasto serio perché serio è il problema. Sicuramente non serve l'antimafia delle chiacchiere che si nutre di autocompiacimento. Per progettare e praticare un'antimafia "sociale" bisogna legarla per forza alle dinamiche economiche di questa terra e alle sue crisi che sono state e sono strumenti letali di emarginazione. Bisogna partire dalla costruzione di un blocco sociale fatto di giovani, di disoccupati, di piccoli imprenditori travolti dalla crisi, che vanno sottratti e contrapposti alle reti clientelari della criminalità economica e alla base di consenso della "nuova borghesia mafiosa". Vanno sottratti a chi li ha prima impoveriti e ora ne vuole sfruttare i loro bisogni. Tanto possono fare le associazioni presenti nel territorio in termini di analisi e di impegno, ma sono poco radicate e ancora meno organizzate. L'antiracket ha preso piede da qualche anno ma ha difficoltà ad estendersi e ad attecchire, non perché le imprese hanno paura dell'intimidazione, ma perché la criminalità economica è diventata un soggetto che ha potere, soprattutto economico, con cui è conveniente fare affari. Serve capacita di aggregare e creare opinione. La Chiesa insieme alle forze sociali potrebbero assumere questo ruolo. Il vescovo di questa diocesi, mons. Carmelo Cuttitta, è stato un allievo del Beato Padre Pino Puglisi, ne ha conosciuto "l'immediatezza, la capacità di coinvolgimento, la pedagogia della partecipazione e del rendersi non solo partecipi ma anche responsabili degli altri". Conosce bene la pastorale del Beato Puglisi che fu considerata una fastidiosa interferenza. Qui serve cacciare i mercanti dal tempio e per farlo servono anche strumenti ecclesiali e pastorali idonei a formare coscienze che rifiutino con forza certe logiche che stanno dilagando. Bisogna porre un argine. Questa diocesi ha una guida che possiede capacità e mezzi per avviare la costruzione di quest'argine. Naturalmente, non tutto può e deve cadere sulle spalle della diocesi. In provincia di Ragusa ci sono forze sociali storiche (Sindacato) che hanno ancora un ruolo nel mondo del lavoro e dell'impresa. Forze che conoscono il territorio e da qualche tempo hanno compreso che serve riorganizzare le classi sociali per emarginare l'economia illegale. La nuova mafia, in modo subdolo, sta guidando i nuovi processi di sviluppo. Bisogna fermarla non solo con la magistratura e le forze dell'ordine ma anche promuovendo e sostenendo l'economia legale. Cioè il connubio tra sviluppo e solidarietà, sviluppo e progresso, sviluppo e rispetto dell'ambiente, sviluppo e rispetto del lavoro. Fino ad oggi, senza contrastato alcuno, c'è solo sviluppo per pochi e degrado per tanti.
Queste mie considerazioni non possono e non devono essere interpretate come provocazioni. No. Sono solo desiderio di riscatto, o meglio: voglia di non rassegnarsi al decadimento. Se la nuova antimafia non diventa un tutt'uno con la lotta per la democrazia e con un modello di sviluppo che soddisfi i bisogni di tutti e non aggravi squilibri territoriali e divari sociali, la sconfitta è certa, fatta salva l'anima di chi è e sarà comunque controcorrente.
P.s :Penso che queste mie parole provocheranno delle reazioni, anche perché da qualche tempo si sta affermando, soprattutto in alcune istituzioni, un nuovo concetto:
parlare di mafia, o della criminalità economica, non è cosa buona, si fa cattiva pubblicità al territorio e alla sua economia. E' come
quando uno ha un tumore, tutti lo sanno ma non si deve dire. I mali non si sono mai dissolti negandone l'esistenza.
Spero solo che porre il problema non mi faccia diventare il problema.