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domenica 24 novembre 2024

Quale futuro economico per l'area iblea?

In meno di un mese, con uno strumento di programmazione da un lato e con l'annuncio della chiusura Eni Versalis dall'altro, si prova ad avviare la smobilitazione economica di un territorio. Che il sistema produttivo di questa provincia debba essere avviato verso una maggiore sostenibilità ambientale non vi è alcun dubbio, ma riconvertire non è né sinonimo di annullare e neanche di deindustrializzare. 
Lo strumento di programmazione di cui parlo è il Piano Territoriale Regionale (PTR). Un documento che prova a definire le strategie e gli obiettivi per lo sviluppo del territorio siciliano. Nelle 51 pagine della relazione di “Prima proposta di elaborazione per la definizione dello Schema di Piano” vengono definite le competenze del PTR della Regione Siciliana:
- Governare  processi di trasformazione fisica del territorio regionale in modo sostenibile. 
- Coordinare le politiche di gestione delle risorse urbane e territoriali mediante la co-pianificazione.
- Promuovere uno sviluppo sociale ed economico competitivo, equo/solidale, ecosostenibile e garante dell’identità siciliana e dei suoi possibili ruoli nello scenario Euro-Mediterraneo. 
I tre concetti letti così sono condivisibili. E' quando si entra nel merito che emergono le aberrazioni, soprattutto per quanto riguarda l’area geografica di nostra pertinenza. Leggendo la relazione ma soprattutto guardando la cartografia allegata nella stessa, si percepisce come un'avversione verso i sistemi produttivi attuali e in particolare verso la serricoltura, ritenuta degradante e quindi da sostituire. In particolare, l'intera fascia trasformata viene ri-definita "banana energetica" e dovrebbe diventare un area che produce energia con l'agri-voltaico e biocarburanti. Ma non finisce qui!  La nostra costa - dopo aver subito  per quasi 50 anni la morsa della contaminazione dei petrolchimici del siracusano e del gelese ora, che in parte se ne è liberata - deve subire, secondo il PTR, la colonizzazione dagli impianti eolici off-shore. L'immagine tratta da pag. 20 dalla pubblicazione, con la relativa leggenda, chiarisce con implacabile evidenza quale futuro è stato programmato per la fascia trasformata. 



Gli advisors, i managers, gli analisti che scrivono queste cose hanno la presunzione di pianificare ciò che non conoscono. Non sanno che la serricoltura della fascia trasformata sta diventando, anche grazie agli investimenti, una pratica agricola sempre più sostenibile, sempre meno inquinante, sempre meno idro-energivora, capace di elevare costantemente la qualità dei prodotti coltivati imponendo nel mercato ortofrutta di alta gamma. L’area dove insiste il 27% della superficie serricola nazionale viene etichettata, con una certa sfacciataggine, come zona degradata, da convertire in una grande area di accumulo energetico. E' forse un tentativo per svalorizzare i terreni che le multinazionali del fotovoltaico dovranno acquistare per installare, grazie ai contributi pubblici, i loro impianti?
Non dico che non esistono problemi, proprio in questo mio spazio ho denunciato e denuncio le anomalie ambientali determinate dalla pessima gestione ambientale delle aziende di molti serricoltori, ma da li ha scrivere che si deve arrivare a "prevedere azioni di incentivazione della produzione energetica attraverso la modalità degli impianti agri-voltaici. In tal modo sarà possibile introdurre forme perequative che subordinino la possibilità di realizzare questi impianti alla cessione di porzioni delle aree attualmente occupate dalle serre per la ricostruzione di corridoi ecologici e per il recupero delle aree costiere degradate. mi pare un po' eccessivo. Nessuno di questi eleganti  managers  si è chiesto e ha scritto: ma cosa ha fatto la Regione Siciliana negli ultimi 50 anni per evitare il degrado delle aree costiere del Sud Est? Eppure la risposta è sotto gli occhi di tutti: NULLA! Anzi, grazie al suo immobilismo le mafie hanno avuto la possibilità di costruire e monopolizzare i "servizi" per la "gestione" dei rifiuti prodotti nelle attività serricole. L'inchiesta "plastic free" ne è la dimostrazione più evidente.

Il 24 ottobre scorso ENI Versalis annuncia la chiusura dell'impianto di Ragusa. Anche qui una squadra di managers imbellettati ci ha spiegato, con il garbo che li contraddistingue, che dopo quasi 70 anni di sfruttamento del territorio, dove è stato estratto di tutto (petrolio, gas, bitume), non è più economicamente conveniente produrre polietilene (granelli di plastica). Quindi il territorio ibleo si deve preparare ad una deindustrializzazione che viene nascosta da un lato con l'annuncio di un "piano di trasformazione e rilancio del business della chimica", dall'altro, come per la serricoltura, con motivazioni di natura ambientale, in questo caso l'obbiettivo è tagliare emissioni di CO2. Dietro questi proclami ci sono corposi finanziamenti pubblici  che non creeranno lavoro ma serviranno solo a rafforzare gli affari delle multinazionali del "green power".    Anche in questo caso pesa l'assenza e il ruolo della Regione Siciliana che non avendo una visione strategica  del ruolo dell'industria - come dell'agricoltura - rimane ferma, impalata, ed assiste in modo vergognosamente passivo (direi complice) allo smantellamento economico della nostra terra. 

Agricoltura, Artigianato, Turismo, Commercio, Servizi, Piccole industrie manifatturiere di trasformazione, queste sono state e dovrebbero continuare ad essere le direttrici per lo sviluppo e il progresso economico, ambientale e sociale del Sud Est siciliano. Invece managers e dirigenti pubblici guidati dal facile profitto e da un forte deficit percettivo che genera una visone distorta del territorio stanno progettando la fine di economie che andrebbero rivisitate e rilanciate. A questo si somma l'inerzia della classe politica regionale. Il risultato che rischia di determinarsi è  l'apertura di grandi spazi alle economie mafiose. Colpire la serricoltura definendola degradata, rimanere immobili di fronte la deindustrializzazione, cioè ignorare ciò che ha creato e crea lavoro vero sia in modo diretto e sia tramite gli indotti, significa dare un ruolo ancora più significativo alla rapacità dell'imprenditoria criminale. Ho scritto più volte in questo mio spazio telematico quale capacità hanno le mafie di questa terra, quanta massa di denaro riescono a produrre con la gestione delle droghe e dei rifiuti, di quali complicità professionali e finanziarie godono e come tutto questo le abbia fatte diventare un punto di riferimento economico e sociale. Il rischio che tutto questo possa diventare l'unica "filiera economica" del territorio è reale.  Gli ultimi arresti ci dicono pure come anche l'attività del pizzo stia provando a ripartire. Per quanto tempo ancora dobbiamo continuare a rimanere muti? Non possiamo più rimanere immobili. Cosa dobbiamo ancora  vedere per attivarci?


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domenica 10 novembre 2024

Vittoria città incompresa.


E' da dieci anni che esiste questo mio piccolo spazio telematico. Una sorta di taccuino dove ho appuntato e raccontato il mio territorio, i suoi vizi, le sue anomalie, le sue "perversioni". In tanti, in questo arco di tempo, mi hanno detto che ho scritto solo dei problemi di questa terra e poco dei sui pregi, ma io ho sempre pensato che se uno ama la sua terra deve raccontare tutto, anche quello che non va. Solo raccontando le cose che non funzionano in un territorio, in un luogo, si dimostra di volergli veramente bene. E comunque, scrivere di Vittoria è stata ed è questione difficile "ppi nu vitturisi” (per un vittoriese). Su Vittoria, in molti anni, è stato detto tutto e il contrario di tutto.  Scendere nei soliti, spudorati, luoghi comuni è stata ed è la cosa più facile che si verifica parlando di questa città. Io mi considero un suo figlio fortunato, privilegiato, e ho quindi un certo pudore nel salire in cattedra a spiegare come e perché Vittoria è continuamente ferita, infangata, mortificata. Questa cosa la lascio fare ai cosiddetti "vittoriesi bene" che sono sempre pronti a spiegarci tutto (senza far capire nulla), e sono bravi a marchiare come cattivo, volgare, tamarro, viddanu, l’attegiamento dei "vitturisi". Io delle ferite di questa città non ne faccio una bandiera che serve ad autopromuovermi né mi nascondo dietro la bellezza di ciò che resta del suo liberty, o della forza economica della serre o della sapidità dei suoi vini per dare agli altri l'immagine che più gradiscono di Vittoria. Penso invece che questa città prima di essere giudicata (sempre male) va conosciuta (realmente). Per comprenderla e amarla devi attraversare i vicoli del suo centro storico o frequentare i quartieri periferici in cui si fondono e si contaminano le vari classi sociali: l'immigrato, il commerciante, l'artigiano, il disoccupato, l'impiegato, e capisci invece che Vittoria è un luogo senza confini, un'area aperta che ha sete di riscatto, di giustizia, ma è oppressa e impaurita da una criminalità violenta, becera e stracciona che si impone su tutti. La città mai come ora sente l'esigenza di  uscire da questa condizione, ma ha bisogno di essere aiutata. Penso che costruire una connessione costante tra associazioni, imprese, sindacato, parrocchie e istituzioni sia l'indicazione più giusta. E' li che bisogna lavorare, attraversando la città lungo quella linea sottile fatta di devianze e disagio, di crimine e legalità (parola abusata), per costruire alternative e dimostrare che invece di imporsi con l'arroganza o peggio con la violenza ci si può emancipare con iniziative che si prendono cura della città e del suo territorio, rendendolo attraente.  Non penso che manchi la volontà per fare ciò; serve, forse, alimentare la disponibilità a fare ciò. Bisogna trovarla, va fatto, per togliere quell'alone di "irredimibilità" che aleggia da tempo e rischia di svuotare Vittoria rendendola sempre meno interessante e sempre più plebea.