Per
capire cos’è oggi Vittoria bisogna andare nelle sue periferie
e osservare come sono cambiate negli anni. “Chiusa inferno”,
il quartiere dove sono cresciuto, è un’ordinata sequenza di
portoni e saracinesche, case realizzate negli anni ‘70 e ‘80 da
piccoli serricoltori. Nei garage la sera, oppure il sabato e la
domenica, la famiglia si riuniva attorno “a maidda” per
scartare e impostare nelle cassette di legno l’ortofrutta
raccolta nelle serre. Quel prodotto la mattina seguente doveva
essere portato al mercato per essere venduto. In alcuni casi
quei piccoli magazzini venivano opportunamente
ristrutturati e diventavano piccole attività commerciali o
artigianali.
Oggi
Chiusa inferno è un "quartiere post serricolo" (c’è una
similitudine impressionante con i quartieri post industriali del
Nord). La struttura familiare, rigidamente patriarcale, si è
“flessibilizzata e precarizzata” : Il padre, da piccolo
proprietario produttore, è diventato mezzadro o
bracciante. La moglie, da casalinga è diventata
operaia impacchettatrice a chiamata in un magazzino di
lavorazione d’ortofrutta. I figli col diploma, in alcuni
casi con la laurea, fanno, quando va bene, i commessi
a 400 euro al mese in un supermercato o in un centro
commerciale altrimenti si arrangiano con lavoretti in
nero oppure emigrano. Prima il reddito di un’attività
reggeva l’intera famiglia. Oggi la moglie è costretta
a faticare per integrare il reddito del marito (altro che
emancipazione femminile) e il salario dei figli è insufficiente
a garantire la loro autonomia economica. Le tante piccole
attività commerciali che rendevano vivo il quartiere
sono scomparse, in parte surrogate da alcuni centri
scommesse oppure da qualche “compro oro”. La voglia
di fare è stata soppiantata dalla tristezza di chi si rovina
scommettendo o di chi prova a resistere vendendo gli affetti più
intimi.
In
uno dei lati della piazzetta vicino la casa dove ho abitato
per quasi 30 anni resiste ancora una piccola bottega
di generi alimentari. Quando posso ci vado per trovare
la vecchia titolare. L’attività ormai è gestita dai
nipoti, ma lei sta sempre li, seduta su una vecchia sedia di
“zammarra”. Appena mi vede è festa grande, apre subito la grande
boccia di vetro che tiene sul bancone davanti a se (quella
boccia avrà almeno 70 anni) piena di caramelline Golia
alla liquirizia, ne prende un po’ e mi viene lentamente
incontro per abbracciami: “te, chisti portili e picciriddi”.
L’ultima volta che sono andato a trovarla era triste: “Giò,
i miei nipoti hanno deciso di chiudere a putia”: non rende più.
Quando cesseremo l’attività gli spacciatori saranno gli unici
padroni della pizzetta” e mi indicava un gruppo di ragazzi
seduti sugli scooter a “presidio” della zona.
La
droga e la sua distribuzione, ecco la nuova frontiera. Le
crisi hanno solo demolito un modello economico sano,
anche hanno avviato una competizione a ribasso tra
lavoratori (sia locali che extracomunitari) , alimentando
intolleranze e razzismo. Ma quello che queste crisi non hanno
abbattuto, anzi hanno consolidato, è la capacità delle mafie
e della loro economia criminali. Le droghe sono diventate
un bene anticiclico, non conoscono crisi di mercato, sono
diventate il nuovo “oro verde”. Disoccupati di ogni ordine, grado
ed etnia (a Vittoria la disoccupazione si attesta intorno al 30%
mentre quella giovanile supera il 50%) e l’evasione
scolastica (a Vittoria il livello di
dispersione è nettamente superiore rispetto alla media
provinciale) sono i mezzi per farle circolare. Chi
gestisce le droghe detiene un potere economico che
non si può raggiungere con altri prodotti. Le droghe hanno bisogno
di manodopera continua che confezioni, tagli e
spacci minutamente il prodotto, e qui di manodopera
disperata e disponibile ce n'è tanta. Questo potere sta
cambiando il volto di questa terra, sta costruendo un nuovo “modello
di sviluppo”, un nuovo "modello di integrazione"
e (forse) anche un nuovo "modello di consenso".
Questa metamorfosi sta accadendo sotto i nostri occhi, sta
avvenendo nelle periferia che fu laboriosa, in modo continuo e
senza nessun contrasto sociale.
Fine
prima parte
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