Più
volte in questo mio piccolo spazio telematico ho provato (non
so se bene o male) a descrivere come la criminalità mafiosa di questo pezzo di Sicilia
sia
diventata impresa.
Quello
che
ho
scritto in
questi anni
non è frutto esclusivo
di mie analisi, ma
in buonissima parte
viene fuori da
ciò
che mi è stato
raccontato
da
diversi operatori
economici che hanno
visto come le mafie locali sono diventate economie criminali.
Basta
saper ascoltare
il territorio, mettersi
in frequenza con esso,
e
lui ti sa raccontare cosa succede.
Leggendo
le
ultime
tre
Relazioni
semestrali (2017
e 2018)
della
Direzione
Investigativa Antimafia - in
particolare il breve capitolo che riguarda
la provincia
di Ragusa –
pare
che
tutto sia rimasto come trent’anni fa.
Sarà
una mia impressione ma pare che per
la DIA vi
sia una sorta di pace armata
tra le bande criminali della stidda e quelle della mafia. Inoltre,
emerge
una
visone del racket
ferma
a
come lo abbiamo conosciuto negli
anni ‘80,
cioè
l’estorsione
intimidatoria e violenta ai
danni delle attività
professionali
ed
economica
del
territorio.
Mi
dispiace dirlo ma è un'ipotesi investigativa datata, oramai fuori dal
tempo.
Invece,
sempre
nelle relazioni,
emerge
in modo molto blando,
nelle note a piè di pagina, il
fatto che le
mafie siano
diventate imprese
ben capitalizzate grazie
soprattutto
ai proventi della droga.
Forse,
per capire meglio certe evoluzioni, oltre a sentire il territoro, bisognerebbe mettere insieme alcuni
fatti di cronaca. Per esempio: le ultime operazioni
fatte dalla Guardia di Finanza ci raccontano di
ingenti
sequestri di imprese
e di
beni mobili e immobili effettuati negli
ultimi mesi.
15
Giugno 2018, 45 milioni sequestrati ad un “cartello mafioso” (https://palermo.repubblica.it/cronaca/2018/06/15/news/catania_sequestro_da_45_milioni_per_un_cartello_mafioso_di_imprese_-199052921/), il
28/01/2019 un sequestro di beni di 35 milioni di euro (https://meridionews.it/articolo/78001/mafia-confisca-da-25-milioni-a-rosario-dagosta-il-re-delle-macchinette-truccate-legato-ai-clan/), il 23 maggio
scorso, 25 milioni euro sequestrati ad “un esponente di cosa
nostra” (https://meridionews.it/articolo/78001/mafia-confisca-da-25-milioni-a-rosario-dagosta-il-re-delle-macchinette-truccate-legato-ai-clan/).
In
meno di un anno 105
milioni di euro (una
somma in grado di sanare il bilancio del nostro comune) sono stati
requisiti
a tre soggetti. Tre
persone che
non hanno una spiccata formazione economico-imprenditoriale ma
gestivano attività e capitali di una certa dimensione. La domanda
che pongo
è: ma erano
loro a gestire
imprese e capitali così cospicui oppure erano guidati da
professionisti? La
risposta me la sono data da solo: in
una società caratterizzata
da tempo da un’enorme
incertezza
economica, “certa
imprenditoria” - carica di capitali da reinvestire -
senza la collaborazioni del mondo delle professioni e
del sistema bancario
non riuscirebbe
tecnicamente a
stare in piedi. Grazie
a questa forme di collaborazione le
mafie iblee sono diventate un potente agente di contaminazione sia
delle
economie
locali
e sia
delle dinamiche
sociali e politiche del
nostro territorio. Davanti a questa nuova condizione (in continua evoluzione) gli organi inquirenti pensano ancora a contrastare un racket che, così
come lo abbiamo conosciuto, non
esiste più e per questo pare che critichino pure le
associazioni antiracket accusandole di essere poco incisive. Ma io mi chiedo: si può ignorare il fatto che le mafie di questa terra sono entrate nei salotti di certa “società civile”, diventata borghesia mafiosa, che si è messa a disposizione a titolo molto oneroso, costruendo modelli di impresa buoni per far veicolare capitali, altrimenti inutilizzabili, tramite operazioni attuabili mediante conoscenze che i “padrini imprenditori” non posseggono?
Si può rimanere ancorati al contrasto della criminalità e sorvolare sul fatto che le mafie sono diventate sempre più forti nei quartieri periferici (aree oramai culturalmente e strutturalmente desertificate) dove la criminalità organizzata oramai è l’unica agenzie educativa? Ma lo Stato c'è o ci fa?
Si può rimanere ancorati al contrasto della criminalità e sorvolare sul fatto che le mafie sono diventate sempre più forti nei quartieri periferici (aree oramai culturalmente e strutturalmente desertificate) dove la criminalità organizzata oramai è l’unica agenzie educativa? Ma lo Stato c'è o ci fa?
Le
mafie iblee
hanno cambiato pelle, non
sono più “fotografabili”, individuabili come negli anni 80/90. Capisco
la difficoltà degli organi inquirenti: sono stati bravi a
contrastare e
debellare
quella
criminalità cafona,
spocchiosa e
violenta che ha dominato nel passato. Ma devono rassegnarsi, quel modello criminale non esiste più. Oggi
le
mafie sono diventate
altro, si sono affinate, si sono mischiate, si sono interconnesse,
sono diventate “protagoniste di processi di modernizzazione”, si
sono istituzionalizzate, sono diventate un soggetto di potere con cui è conveniente convivere. Per
smascherarle
servirebbe una nuova consapevolezza, servirebbe
capire cosa succede in molti studi professionali di questa terra, servirebbe
capire cosa succede nelle banche ragusane.
Per
fare questo non serve più Polizia, più Carabinieri o
l’Esercito. NO! Servono più ispettori dell’Agenzie delle Entrate e della Banca d’Italia per avviare finalmente certe verifiche. Ma
in nome della riduzione della spesa la prima è stata ridimensionata e la seconda è stata chiusa.
Ecco, in nome della "spendig review" i miasmi creati dal compromesso tra mafie e colletti bianchi hanno perso ogni fetore,sono diventati ossigeno, scalzando la fragranza della realtà.
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