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lunedì 26 ottobre 2015

GIOVANNI SPAMPINATO: VITTIMA DI MAFIA.




"Nella sua città era accaduto un torbido delitto maturato negli ambienti dell’estrema destra ragusana e Spampinato invece di registrarlo pigramente sulla scorta delle solite veline di polizia si era impegnato ad andare fino in fondo nella ricerca della verità"             
Vittorio Nisticò direttore de l'Ora

Cento passi tra chi lotta il malaffare e chi pratica il malaffare. E' una distanza standard da Ragusa a Cinisi, che unisce e collega tutta la Sicilia, come l'antica traversale sicula. Il motivo di questa unione è solo uno: "LA MAFIA NON ESISTE" e chi non è d'accordo viene ammazzato.  Anche nella tranquilla e sorniona Ragusa non esiste, anzi  per certi ragusani, la mafia, non è mai esistita. Guai a pensarlo, è un'offesa all'orgogliosa “babbitudine” che si è sedimentata nei secoli sugli Iblei. Eppure Ragusa ha una vittima di mafia che ogni anno - il 21 marzo - viene ricordata insieme a tante altre vittime della violenza mafiosa, nella giornata della Memoria e dell'Impegno organizzata dall'associazione Libera di don Ciotti. Giovanni Spampinato, giovane corrispondente dell'Ora di Palermo, ucciso la sera del 27 ottobre del 1972 con sei colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata da Roberto Campria, figlio del presidente del tribunale di Ragusa. Giovanni lo aveva “tormentato per otto mesi” con domande e articoli sull'omicidio dell'ing Angelo Tumino. Per gli inquirenti fu subito chiaro: un omicidio frutto di uno scatto d'ira da parte di un soggetto che soffriva di “una nevrosi ansiosa reattiva con tendenza depressiva”. Ma come è possibile che un giornalista ucciso dalla reazione collerica di un soggetto depresso possa diventare vittima di mafia? La causa va cercata nelle cose che riusciva a comunicare. La sua scrittura non era solo raffinata, elegante e ricercata. No, vi era tanta denuncia, descritta in modo chiaro, troppo chiaro per i "babbi" di Ragusa. Le inchieste di Spampinato sul neofascismo ibleo erano fastidiose rasoiate. Ragusa in quel periodo era frequentata da Vittorio Quintavalle, ex ufficilae della X Mas di Junio Valerio Borghese, da Stefano delle Chiaie, leader di Avanguardia Nazionale, all'epoca ricercato per la strage di piazza Fontana a Milano (assolto nel 1991). Nel carcere di Ragusa soggiornavano Vincenzo e Filippo Rimi, boss trapanesi di primo piano imparentati con Badalamenti. La famiglia Rimi era il tramite tra cosa nostra è il principe Junio Valerio Borghese il quale aveva chiesto appoggio e sostegno alla mafia per portare a termine la sua “impresa”: un colpo di stato (Golpe Borghese 7 dicembre 1970). Naturalmente dietro questi personaggi di primo piano c'era un sottobosco tutto ragusano fatto di militanti locali di estrema destra, criminalità organizzata e affari loschi che si sviluppavano in diverse direzioni. Una di queste era il commercio di oggetti d'antiquariato. Ed è forse in questo sottobosco che nel febbraio del 1972 matura l'omicidio dell'ing. Tumino, un ex consigliere comunale del Msi amico di Campria con l'hobby dell'antiquariato. Un sottobosco che Spampinato aveva già puntato con le sue inchieste, l'omicidio Tumino gli permetterà di addentrarlo. Giovanni individua nel figlio del presidente del tribunale di Ragusa, Roberto Campria, il ramo fragile. Inizierà a cercalo a sollecitarlo, a incalzarlo. Capisce che Campria è la punta fragile di un iceberg molto consistente, di un grumo poliedrico e multicentrico fatto di tanti interessi. Se crolla Campria il sistema frana, potrebbero venire fuori verità imbarazzanti e l'apparente serenità ragusana - “la babbitudine” - utile a mascherare certi traffici, verrebbe minata nella sua essenza. Il sistema capisce e puntella Campria. Il figlio del magistrato diventa l'argine che deve fermare la sete di verità di Spampinato. La sua depressione, la sua instabilità sono punti di forza. La sua tenuta psicologica deve franare. Infatti cederà e farà pressione sui grilletti di due pistole: una Smith e Wesson e un Erma Werke. Gli esperti dissero che ci voleva una certa abilità nello sparare con due mani e contemporaneamente anche se a distanza ravvicinata. Spampinato morirà prima di arrivare in ospedale. Campria si costituirà, verrà processato e condannato a quattordici anni di carcere. Ne sconterà meno della metà. Il delitto Tumino si dissolverà nei meandri dei tribunali, non si troverà né un movente né un colpevole. Le scomode verità rimarranno al buio, le apparenze si affermeranno, "la babbitudine" continuerà a trionfare. Ma il buio non distrugge ciò che nasconde, prima o poi una luce svelerà il tutto. 
Nell'immaginario collettivo Ragusa è rimasta "babba". Nel dialetto siciliano il significato di questa parola non è esclusivamente legato al concetto di ingenuità o mancanza di “spirtizza”. La stessa parola la utilizziamo per indicare persone che fanno le cose per conto proprio senza che gli altri se ne accorgano. Infatti, piano piano nel tempo e in modo “babbo” questa vicenda è stata ridotta. Dopo 45 anni a Ragusa in pochi sanno che Spampianto è vittima di mafia come Peppino Impastato, Mario Francese, Pippo Fava ...  Si fa di tutto per non fare emergere questa scomoda verità perché la mafia è dappertutto, tranne a Ragusa. Il tempo è stato adattato ad una volontà precisa: rimuovere la storia e i suoi sviluppi. Così il desiderio di verità che aveva mosso Giovanni Spampinato è stato umiliato, mortificato e per certi versi infangato. Sulla vicenda rimangono tanti dubbi, ma oggi come allora si afferma una grande certezza: Ragusa ama essere “babba”. La “babbitudine” conviene, è un ottimo anestetico, fa passare in secondo piano una definizione subdola, feroce e scomoda (che hai ragusani però piace un po'): Ragusa ha quattro facce, come il caciocavallo ... ... ...  e come la mafia.

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