Alessio
D’Antonio, un ragazzino di 11 anni grazioso e vivace, come lo sono
tutti i ragazzi a quell’età, non c’è più. Gli è stata rubata
la vita da chi la vita l’aveva già persa per scelta. Alessio, come
tutti i ragazzi della sua età, amava stare in compagnia dei suoi
coetanei, giocare, come è normale che sia; ma la normalità in
questa città è diventata un fatto straordinario. Qui non si può
essere normali. Qui non si deve essere normali. Qui si deve avere
paura sempre, anche quando stai sul marciapiede.
Tanti
questa mattina già ripetono come una mantra: “povero
figlio, si è trovato al posto sbagliato al momento sbagliato”.
A sentirla sembra una frase apparentemente innocua, che viene
ripetuta anche per altre disgrazie; infatti, raccoglie sempre una
certa approvazione. Nei fatti è profondamente maligna. Con poche
parole si attenuano e si giustificano vicende brutali come questa:
travolgere con un’auto due ragazzi, ammazzandone uno e riducendo
l’altro in fin di vita. E’ come se in modo allusivo si cercasse
di scaricare le colpe anche su Alessio e su suo cugino, come a dire:
“che ci stavano a fare li”. NO! Non ci deve essere neanche
il minimo accenno di giustificazione. Leggo dalla stampa che chi
guidava il suv a folle velocità, aveva un tasso alcolemico superiore
a quattro volte il consentito, pare avesse tirato di coca e portava
in macchina mazze e manganelli.
Erano
Alessio e suo cugino al posto sbagliato nel momento sbagliato?
Alessio
e suo cugino non si trovavano nel posto sbagliato, ma in quello
giusto: erano sul marciapiede, anzi sullo scalino d’ingresso di
casa; erano li dove ragazzi di 11 anni, 11 ANNI, in una sera di
luglio possono e devono stare, insieme agli amici, a giocare, a
vivere la vita con la spensieratezza della loro età. Sono altri che
sono sbagliati, ma non si capisce - o meglio, visto i personaggi che erano nel suv,
si capisce benissimo - perché si prova sempre e in modo subdolo a
giustificarli.
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