Un altro
amico si è ammalato di cancro. Con gli occhi gonfi di rabbia e voce
rassegnata mi ha annunciato: “Giò, ho il tumore”. Così mi a
detto. Come se il cancro fosse qualcosa che uno possiede. Come se
Dio, i Santi, la Madonna, Gesù Cristo una mattina si alzano, si
riuniscono e decidono di farti diventare proprietario di questa
malattia. No, non sono loro che decidono, è ciò che respiriamo,
mangiamo, spesso è anche il tipo di lavoro che facciamo che
determina il tumore. Il cancro non si possiede, è il frutto
dell'alterazione ambientale (nel senso più ampio possibile del
termine) di un territorio. Il fatto stesso che si pronunci la frase:
“ho il cancro”. significa che si ha scarsissima considerazione
dei fattori ambientali. E' come se il cancro cresce, si sviluppa e
fiorisce al tuo interno solo perché già ne possiedi i semi. Non
solo, quando viene diagnosticato scatta il silenzio ipocrita. Non si
deve sapere in giro che quella persona è malata. Come se il silenzio
divorasse la malattia. E poi quando purtroppo si muore, non si muore
per il cancro, no, si muore di “malattia incurabile”. Fino alla fine
si fa finta di ignoralo. Tutti atteggiamenti che si sono consolidati
nel tempo e ci hanno portato a sottostimare cosa mangiamo o a
sottovalutare le condizioni dell'ambiente in cui viviamo, lavoriamo e
passiamo il nostro tempo libero. Ignoriamo con naturalezza l'evidenza
delle cause e degli effetti di questo degrado. All'omertà classica
abbiamo affiancato l'omertà ambientale-oncologica. Bisogna cominciare
a fracassare questo atteggiamento, questa
quiete dolorosa e tragica, magari aprendo una interlocuzione sociale.
Raccontare il malessere significa evidenziare i danni del nostro
territorio e quindi sensibilizzare le istituzioni preposte ad avviare
politiche di riqualificazione e risanamento. Siamo capaci di farlo?
Oppure vogliamo essere i prossimi "ha possedere un cancro"?
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