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domenica 24 luglio 2016

Storie di Sicilia da non dimenticare. La strage di Feudo Nobile.


La storia è un caos di stati gassosi che si scontrano, fanno attrito producono nuovi elementi. In un preciso momento spaziotempo si forma un precipitato di collisioni incredibile: e lì la storia si addensa. Lì si concentrano i sensi che hanno originato quel precipitare e da li se ne sprigionano di nuovi. Quegli eventi hanno un significato che va ben oltre la ristretta dimensione spaziotemporale in cui appare confinato.”

Finita la seconda guerra mondiale la Sicilia è ridotta a un cumulo di macerie. Povertà e disordine politico istituzionale regnano sovrani. Nella confusione più totale a farla da padroni oltre alla mafia e ad una nobiltà agraria legata ancora al feudalesimo c'è un banditismo violento e spietato il quale per darsi un tocco di “rispettabilità” si mette al servizio del movimetno separatista siciliano. Nella zona occidentale dell'isola si afferma l'efferatezza criminale della banda di Salvatore Giuliano. Nella Sicilia Orientale si riversano le azioni violente e spietate della “banda dei niscemesi” guidati da Rosario Avila e Salvatore Rizzo. Per capire la dimensione criminale di questi personaggi basta pensare che su Avila, soprannominato “Canaluni”,   pendeva una taglia di poco inferiore a quella di Salvatore Giuliano. Questi personaggi indosseranno i panni degli indipendentisti, nei fatti erano dei violenti malfattori al servizio del potere politico mafioso di allora.
La mattina del 10 Gennaio 1946 il brigadiere Vincenzo Amenduni (39), comandante della stazione dei carabinieri di Feudo Nobile - territorio a cavallo tra Gela, Niscemi, Acate e Vittoria – guarda il panorama ritagliato dalla piccola finestra del suo ufficio. Il giorno prima ha ricevuto una segnalazione per pascolo abusivo, deve uscire di pattuglia per effettuare i controlli. La zona da tempo è sotto il controllo dalla banda dei “niscemesi” Rosario Avila e Salvatore Rizzo, criminali incalliti che hanno indossato i panni del separatismo siciliano diventando "colonnelli", nella Sicilia Orientale, dell'Evis. Amenduni sembra avere lo sguardo perso in quel frammento di panorama. Ha uno strano presentimento: la segnalazione ricevuta il giorno precedente gli sembra poco veritiera ma non può tirarsi indietro, deve effettuare il sopralluogo. Distoglie di colpo lo sguardo dalla finestra e ordina ai carabinieri Vittorio Levico (29) , Emanuele Greco (25) , Pietro Loria (22)  e Mario Boscone (22) di prepararsi immediatamente. Dopo pochi minuti la pattuglia è pronta per effettuare il sopralluogo. A presidiare la caserma rimarranno il carabiniere scelto Mario Spampinato (31) e i carabinieri Fiorentino Bonfiglio (28)  e Giovanni La Brocca (20). La piccola pattuglia si incammina per raggiungere la zona del reato, tra i militari aleggiava una certa preoccupazione. Poche settimane prima a San Mauro nelle vicinanze di Caltagirone c'è stato uno scontro durissimo tra Carabinieri e “separatisti” con diversi morti tra i banditi, inoltre un importate “dirigente” del Mis (movimento indipendentista siciliano), Concetto Gallo, è stato catturato e incarcerato. Mentre marciano ognuno è immerso nelle sue paure, di tanto in tanto si guardano in faccia come per darsi forza. Dopo qualche ora hanno già visionato diverse zone di pascolo e hanno parlato con diversi contadini della zona senza aver registrato nulla di importante. Si apprestarono a rientrare in caserma. Sulla strada di ritorno nei pressi di un caseggiato notano che i coloni che lo abitano fuggono alla vista di un consistente gruppo di banditi a cavallo. I carabinieri si rendono conto di essere caduti in un’imboscata, tentano di resistere rifugiandosi nel casale, hanno pochissime munizioni. Dopo uno scontro durissimo vengono accerchiati e catturati. Poco dopo la stessa banda assalta con armi e  bombe a mano la caserma di Feudo Nobile. I tre carabinieri rimasti nel presidio non riescono a contenere l'attacco e anche loro dopo una strenua resistenza vengono fatti prigionieri. Gli otto militari vengono legati e trascinati in una località che è sotto il controllo dei banditi. Sono un ottimo bottino, utile per  uno scambio di prigionieri. Rizzo e Avila, tramite la mafia, che fa da mediatrice, avviano una trattativa con lo Stato (vizio antico quello delle trattative mafia-stato).  Le richieste sono chiare: la liberazione di alcuni capi indipendentisti tra cui Concetto Gallo, arrestato il 29 dicembre del 1945 durante la battaglia di Sa Mauro. In caso contrario Avila chiede l’amnistia per sé e per la sua banda oppure una agevole fuga all’estero. Il negoziato va avanti per quasi tre settimane senza che si raggiunga un risultato. La sera del 28 gennaio Rizzo e Avila ordinano ai loro tirapiedi di far uscire dalla loro prigione gli otto carabinieri, li legano e intraprendono una marcia che si conclude in Contrada Bubonia, nel territorio di Mazzarino. La zona è ricca di cave artificiali utilizzate per estrarre lo zolfo. I “prigionieri” vengono denudati, fatti inginocchiare. Subito dopo verranno falciati da raffiche di mitra in sequenza così che uno possa vedere la fine dell’altro. I corpi verranno buttati dentro il pozzo di accesso di una miniera abbandonata.
Il 25 maggio del 1946 i resti degli otto militari vengono ritrovati grazie alla confessione di uno dei banditi che partecipò all'eccidio, tale Milazzo, che era stato arrestato a Catania pochi giorni prima. Milazzo è uno dei pochi sopravvissuti del gruppo criminale. Infatti, quasi tutti i componenti della banda dei niscemesi verranno uccisi dalla mafia perché testimoni scomodi della vergognosa trattativa banditi - mafia - stato. Rosario Avila, verrà ucciso il 16 marzo 1946, probabilmente ad opera di un altro bandito per intascare la taglia. Il corpo venne rinvenuto a pochi chilometri da Niscemi con la tesa spaccata e le orecchie mozzate (aveva ascoltato cose che non doveva sentire?). Gli succederà Salvatore Rizzo, ucciso il 17 febbraio dell'anno successivo.
Settant'anni dopo un giovane di origine niscemese, Rosario Avila, legato alla stidda di Vittoria viene arrestato, dopo qualche mese si pente e comincia a collaborare con la giustizia. Rosario Avila, il bandito "separatista", pare sia  suo parente.  La storia si ripete, la dimensione spazio tempo non ha confini.

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