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venerdì 25 marzo 2016

Pasqua del '79


Pasqua del 1979, avevo 13 anni. Mio padre mi chiese di fargli compagnia, voleva andare a Mazzarrone (allora era frazione di Caltagirone) li c'era un suo lontano parente che faceva il pastore. Quell'anno aveva deciso di comprare l'agnello per  le "impanate" non in macelleria, ma  in un allevamento. Dopo una buona mezz'ora di strada in auto arrivammo in una fattoria, un vecchio casale in muratura a secco. Ci vennero incontro molto cordialmente tre persone. Uno di questi era un signore di mezz'età dalla carnagione scura. Mi colpì lo spessore delle sue sopracciglia, erano folte ed enormi e poi aveva tantissimi capelli di un nero corvino. Lo osservavo con una certa curiosità. Puntavo la sua fronte, non riuscivo a capire dove iniziasse l'attaccatura dei capelli e dove finiva quella delle sopracciglia. Aveva pure dei grandi baffi  che gli si spalmavano sulle guance. A lato della masseria c'era un recito dove si si agitava un grande gregge di pecore. Gli animali erano impauriti, bastava un rumore e si muovevano tutti insieme, a scatti, velocemente. Io mi divertivo a battere con forza le mani. Lo schioppo faceva balzare il gregge di colpo, il movimento sembrava una grande onda bianca. L'uomo dalle sopracciglia folte, dopo aver scambiato qualche parola con papà entrò nel recinto insieme ad un altro. Al loro ingresso la “mannira” di colpo si divise: da un lato scapparono le pecore mentre gli agnelli, terrorizzati da quelle presenze, rimasero bloccati in un angolo dello steccato. I due con un'abilità unica li afferravano per le zampe posteriori, li portavano fuori dal recinto e li consegnavano alla terza persona che teneva in mano un grosso coltello. Quest'ultimo con una velocità e una freddezza unica applicava ad ogni agnello un taglio secco al collo, penso all'altezza della carotide, e poi lo adagiava per terra.  Appena la lama affondava usciva uno spuzzo di sangue, l'animale contorceva gli occhi e poi piegava il capo. Tutto avveniva con una rapidità impressionante. L'agnello, in quei pochi attimi, non si dimenava, non emetteva nessun urlo, sembrava rassegnato alla sua fine. Le pecore rimaste nel recinto (le madri?) belavano in modo straziante, sembrava un urlo disperato. In poco tempo il terzo pastore aveva “scannato”, messo per terra e in fila almeno venti agnelli. Un grande fiotto di sangue, seguendo la pendenza del terreno, finiva in una canaletta che sfociava più in basso in un porcilaia, li dei grossi e grassi maiali si contendevano il sangue ancora caldo. L'uomo col coltello, con la stessa abilità e la stessa freddezza con cui aveva ucciso quelle povere bestie, ne prese una e in pochi minuti lo scuoiò, la aprì togliendo tutte le interiori e gli mozzo la testa. Prese quella massa informe di carne, ossa e sangue, la mise dentro un grande sacco che consegnò a mio padre. Papà pagò, salutammo e ritornammo a casa. Da allora ho qualche difficoltà a mangiare le impanate. BUONA PASQUA A TUTTI

sabato 5 marzo 2016

Omicidio Brandimarte e dintorni



L'ultima relazione della Direzione nazionale antimafia presentata qualche giorno fa dal procuratore, Franco Roberti, riaccende una luce sull'omicidio del pregiudicato calabrese Michele Brandimarte. Nelle mille pagine che fotografano e analizzano i tanti fenomeni mafiosi che si sviluppano in tutto il Paese viene evidenziato un unico vero dato di novità rispetto al passato: la continua crescita della capacità permeativa della 'ndragheta nelle varie zone dell'Italia, Sicilia compresa. La criminalità organizzata calabrese controlla il mercato della cocaina in tutta Europa e quindi chi vuole commercializzare questo stupefacente deve entrare per forza in contatto con la 'ndragheta. A pag. 573 della relazione si legge che dalle indagini avviate dalle procure distrettuali di Catania e Reggio Calabria dopo l'omicidio Brandimarte, avvenuto a Vittoria il 14 dicembre 2014, sarebbero emersi contatti tra la criminalità ragusana e la 'ndragheta, in particolare col gruppo criminale riconducibile alla cosca “PIROMALLI-MOLE” di Gioia Tauro per quanto concerne un traffico di sostanze stupefacenti. Faccio notare che secondo la Direzione Investigativa Antimafia, quella dei Piromalli Molè è la più grande cosca dell'Europa occidentale, ha rapporti diretti con i narcotrafficanti colombiani e messicani. Nel libro “Oro bianco”, scritto a quattro mani dal procuratore Nicola Gratteri e dal giornalista Antonio Nicaso, si legge che per El Chapo, il super boss messicano, la ‘ndrangheta è “l’alleata ideale per esplorare il crescente mercato europeo, dove la cocaina tira molto più dell’oro e del petrolio”. Il più grande narcotrafficante è diventato il principale fornitore di coca per la 'ndragheta. che partendo dal Sud America arriva in Italia, principalmente nel porto di Gioia Tauro, infrastruttura, che secondo la stessa relazione della DNA, è controllata in modo asfissiante proprio dai Piromalli Molè tramite i fratelli Brandimarte.
Ipotizzare che Michele Brandimarte fosse  presente casualmente a Vittoria è quantomeno bizzarro. Se penso a come sia scivolata rapidamente la notizia della sua uccisione, soprattutto dopo che il suo “accompagnatore”, Domenico Italiano, confessava l'omicidio, posso dedurre che il disinteresse sia il lubrificante che agevola lo scivolamento della nostra società verso l'indifferenza più bieca. Per la verità c'è stato qualcuno che ha chiesto cosa ci facesse un personaggio di primissimo piano della 'ndragheta nel nostro territorio. Pochi però hanno sentito il bisogno di approfondire. Forse il livello criminale di Brandimarte è stato sottovalutato? Forse! Meno mane  che c'è la Direzione Nazionale Antimafia.