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sabato 28 ottobre 2023

SERRICOLTURA SOSTENIBILE, LA FASCIA TRASFORMATA NON DEVE DIVENTARE "LA TERRA DEI FUOCHI".


Negli anni sono diventate diverse le emergenze ambientali lungo la fascia serricola del Sud Est siciliano. La pratica illegale delle fumarole sta appiccicando a questa zona l'appellativo di "Terra dei Fuochi". Queste problemi vanno definitivamente affrontati. Non si può più perdere tempo. La poca qualità ambientale rischia di mette seriamente a rischio il pregio dell'ortrofrutta che si produce e di conseguenza la tenuta economico sociale di questo territorio.

Sappiamo tutti che produrre beni o servizi da consumare è lo scopo di ogni attività economica, ma questa funzione implica, da sempre, sia lo sfruttamento di risorse naturali sia l'utilizzo di vari materiali che poi, in parte, diventeranno rifiuti dispersi nell'ambiente. Aumentare la produzione oltre a far cresce il depauperamento delle risorse implica anche un maggiore uso di materiali generando più rifiuti.  La serricoltura siciliana è all'interno di questo schema economico, è un modello di produzione agricola avanzato, capace di produrre ortofrutta di alta qualità. Nel tempo è diventata sempre più energivora (consuma sempre più acqua e sfrutta sempre di più il suolo),  per crescere ha sempre più bisogno di materiali (plastica, polistirolo, ferro,...)  che poi diventano rifiuti, quasi sempre smaltiti in modo poco legale. E' evidente come questo modello produttivo, sviluppatosi lungo la fascia Sud della Sicilia, se non modifica molti dei suoi aspetti attuali non sarà più sostenibile. Il rischio è che i livelli di sfruttamento e di inquinamento superino la capacità dell'ecosistema di "assorbirli" mettendo così definitivamente a rischio  la qualità dell'ambiente e di conseguenza quella delle produzioni. E' urgente, e non da ora, un cambio di mentalità che si basi su un concetto semplice ma diverso rispetto all'attuale: "fare di più utilizzando meglio e di meno". Sembra facile a dirsi e a scriverlo, ma nei fatti è molto complicato. 

Per molti serricoltori produrre in modo sostenibile non viene ancora percepito come un'esigenza, risulta un fatto molto poco concreto, diseconomico. Tra di loro prevale un irremovibile conservatorismo che viene assecondato e giustificato, in modo trasversale, da buona parte della classe politica. Però alcune tecnologie e servizi che possono migliorare in modo sostenibile un modello produttivo così importante già ci sono. I vivai invece di utilizzare i vassoi in polistirolo, dove si seminano e germogliano le piante poi coltivate nelle serre, potrebbero utilizzare dei vassoi in plastica che, a differenza dei precedenti, andrebbero riconsegnati al vivaio per essere riutilizzati dopo la sanificazione.  In questo modo verrebbe eliminato un rifiuto molto valido per attivare le fumarole.  

Discarica abusiva di vassoi in polistirolo

Vassoio in plastica

Sanificatore vassoi in plastica

Il filo e i gancetti in plastica che servono per legare e sostenere la pianta possono essere sostituiti da filo e gancetti in fibra vegetale.  Molti produttori  lamentano scarsa resistenza e un costo elevato sia dei gancetti e sia del filo in fibra vegetale. La resistenza ormai è un falso problema, le caratteristiche di questi materiali sono molto simili, se non uguali, a quelli in plastica.  Sul costo,  sono stati analizzati i costi di gestione complessivi di un'azienda di 10.000 mq. Per un ciclo lungo di produzione di pomodoro ciliegino (settembre giugno) in media si spendono circa 80 mila Euro. La spesa relativa al filo e ai gancetti in plastica incide circa l'1%. Per quelli in fibra vegetale la spesa può aumentare, massimo, di un altro 1%. 

Fratta pronta per alimentare una fumarola

Una spesa irrisoria renderebbe la fratta, cioè gli sterpi delle piante dei prodotti ortofrutticoli, un normale rifiuto vegetale. In questo modo invece di essere estirpata e ammassata fuori dalle serre  - con fili e ganci in plastica aggrovigliati - e poi essere utilizzata per alimentare le fumarole, potrebbe essere trinciata sul posto. Il prodotto della trinciatura, cioè erba sminuzzata, proteggerebbe il suolo, creerebbe ostacoli alla formazione di erbe infestanti, si trasformerebbe in concime migliorando la qualità della terra su cui si produce.

Due proposte fattibili tra le tante che metterebbero fuori uso due rifiuti (polistirolo e fratta) che sono di fatto il carburate principale delle fumarole. Per agevolare queste proposte potrebbe essere utile da un lato una norma che porti i vivai a non utilizzare i vassoi in polistirolo in favore di quelli in plastica;  dall'altro una misura agevolativa - un credito d'imposta (?) -  per i produttori che acquistano i lacci e i gancetti in fibra vegetale al posto di quelli in plastica.  

L'eliminazione di questi due rifiuti ridimensionerebbe il ruolo delle ecomafie di questa terra. Non nascondiamoci dietro un dito, ci sono state e ci sono troppe anomalie nella gestione dei rifiuti serricoli. Sono una risorsa, un business, troppo importate per l'imprenditoria criminale.  Gestirne la raccolta significa controllare il territorio e le aziende. L'inchiesta "Plastic free" dell'ottobre del 2019, ci ha confermato come da tempo le organizzazioni criminali di questo territorio si siano appropriate dei rifiuti delle attività serricole e ne abbiano fatto un uso, diciamo, "distorto". Alla luce di questi fatti sorgono due domande: ma tutte le fumarole possono essere addebitate all'insensibilità dei produttori? Non c'è il sospetto che alcune siano attivate per bruciare qualcos'altro e i vassoi in polistirolo e la fratta possono essere utilizzati per azionare e per coprire ciò che si brucia? Domande che meriterebbero un serio approfondimento da parte degli organi inquirenti.

La serricoltura ha avuto e ha un ruolo economico e sociale fondamentale per questa terra. Ha creato e crea lavoro e reddito, ha impedito che la nostra costa venisse deturpata dagli impianti petrolchimici, ma è anche diventata troppo invasiva. Questo modello di produzione agricola è valido e importate, ma va rivisto nel suo profondo, va obbligatoriamente condotto verso la sostenibilità. I territori agricoli che si sono via via convertiti verso questo concetto stanno diventando appetibili anche da un punto di vista turistico. C'è un binomio che sta diventando un unicum indissolubile: la qualità di un prodotto dipende dalla qualità ambientale del territorio in cui si produce quel prodotto.  

Le denunce fatte negli anni dalle associazioni ambientaliste (Fare Verde, Legambiente, Terre Pulite)  hanno avuto il merito di aver messo a nudo un problema. Ma dopo la denuncia servono le proposte. I prodotti di questa terra nei prossimi anni saranno fortemente ricercati nei mercati europei per un insieme di fattori che si sono inanellati a nostro favore. Le produzioni del Nord Africa sono fortemente diminuite per colpa della siccità (https://www.freshplaza.it/article/9533236/il-cambiamento-climatico-e-una-realta-per-l-agricoltura-marocchina/). Le produzioni del Nord Europa - fatte in serre riscaldate - causa l'aumento del gas (guerra in Ucraina) sono state significativamente ridimensionate (http://www.corriereortofrutticolo.it/2022/09/12/prezzi-del-gas-alle-stelle-olanda-le-produzioni-serra-crisi-profonda/).  E' evidente come la fascia trasformata siciliana e il suo modello produttivo sono, in questo momento, un punto di riferimento per il mercato dell'ortofrutta europea.  Non possiamo sprecare quest'occasione. C'è l'obbligo di invertire velocemente la tendenza attuale. Dobbiamo riappropriarci di un concetto che abbiamo rimosso troppo velocemente: agricoltura significa difendere l'ambiente lavorando la terra, mantenendo il suolo sano e permeabile ed evitando in ogni modo qualsiasi tipo di inquinamento. Questo concetto oltre ad avere un'incidenza economica è un obbligo civile e morale che la classe politica, le istituzioni, il sindacato, le associazioni e soprattutto il mondo produttivo devono mettere in cima alle loro agende. 

 Perseverare ignorando le evidenze,  continuare a giustificare certi comportamenti, assecondare il conservatorismo di molti produttori, accusare chi pone un problema (associazioni ambientaliste) di essere il problema, non avanzare proposte affinché tutto resti com'è,  non denunciare gli interessi delle ecomafie,...potrà determinare consenso, consolerà il dolce oblio che caratterizza questa terra, ma ci sta portando ad essere definiti, in modo indelebile, "Terra dei Fuochi" o "Chernobyl della Sicilia". Queste frasi ci vengono già incollate nelle varie narrazioni. Vogliamo che queste marchio di "Indicazione Geografica Protetta" attesti definitivamente i nostri luoghi e le nostre produzioni? Oppure è arrivato il tempo di avviare un serio cambiamento verso la sostenibilità ambientale della serricoltura!?