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domenica 29 aprile 2018

I nuovi fasci siciliani



Qualche giorno fa i sindaci del Sud Est siciliano, i presidenti dei consigli comunali e una delegazione del comitato anticrisi si sono incontrati a Vittoria per predisporre strategie comuni a sostegno del comparto agricolo. Chi era presente racconta di una “parziale soddisfazione” per le iniziative intraprese dalla Regione. La definizione, nei fatti, nasconde una evidente delusione. La “soddisfazione” appaga, fa cessare ogni sensazione dolorosa. Di contro, la parola “parziale” indica qualcosa di incompleto o peggio un atteggiamento che tende a favorire una parte a danno di un'altra. Quindi, la “parziale soddisfazione” nasconde una indubbia amarezza, altrimenti che senso avrebbe continuare ad organizzare la protesta?
Mentre c'è chi cerca di domare lo sconforto, provando a decodificare le impalpabili proposte della Regione, nel territorio si sviluppano - da tempo e silenziosamente - preoccupanti dinamiche. I dati della Camera di Commercio di Ragusa sono inequivocabili. Al 31 dicembre del 2013, nei territori di Acate, Comiso, Santa Croce Camerina e Vittoria operavano 5510 imprese agricole. Dopo quattro anni, cioè al 31 dicembre 2017, in questa fetta di provincia, le imprese agricole operanti sono diventate circa 4100. Le crisi, in 48 mesi, hanno divorato 1400 attività. Il dato, significativamente allarmante, non va preso solo per la misura che indica ma ci racconta qualcos'altro. Infatti, secondo l'Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA) alle 1400 cessazioni non è seguita una riduzione della SAU (Superficie Agricola Utilizzata). Cioè, sono scomparse 1400 imprese, ma la terra di chi si è cancellato continua ad essere coltivata!! E da chi? E I titolari delle imprese cessate cosa sono diventati? Mezzadri o braccianti nella loro ex proprietà? E per conto di chi? Nel silenzio più totale stiamo assistendo al ritorno del feudo, del latifondo?
Forse quello che è accaduto, è che sta accadendo, è una sorta di pulizia etnica.? C'è una strana convinzione che serpeggia nel territorio: le crisi di prezzo alla produzione che si sono succedute in questi anni, hanno colpito, quasi esclusivamente, le piccole aziende; le stesse, via via,  si sono indebitate con i fornitori, con le  banche e lo Stato. Diversi produttori, non avendo oramai nessuna disponibilità finanziaria per reimpiantare serre e coltivazione, hanno "ipotecato" in vari modi le loro attività. Le crisi di mercato hanno completato l'opera. Infatti, con i prezzi alla produzione dell'ortofrutta schiacciati verso il basso, molti piccoli produttori "incapaci" a rientrare dai debiti, si sono visti costretti a svendere le loro aziende a "imprenditori capaci" già pronti a rilevarle. Quest'ultimi oltre ad essere forti finanziariamente, oltre ad avere solidi legami politici e istituzionali, hanno anche acquisito una certa abilità nel commercializzare e trasformare i nostri prodotti ortofrutticoli.
Se queste ipotesi hanno un fondamento, è evidente come l'agricoltura della fascia trasformata, e più complessivamente quella del Mezzogiorno, si trovi a un bivio: accettare supinamente il ritorno del latifondo, oppure reagire civilmente a questa logica che trova ampio sostegno nei fondi comunitari (Piano di Sviluppo Rurale) favoriti e gestiti dalla Regione Sicilia (la stessa che promuove i tavoli anticrisi).

Se la situazione è questa, serve una profonda riorganizzazione del settore. Serve una maggiore coscienza da parte dei produttori, oramai troppo rassegnati alla loro fine. Pare, senza voler essere pretestuoso e diffidente, che certa protesta, generica e istituzionalizzata, sia fin troppo funzionale allo sviluppo del neo feudalesimo. Se tutto è così, allora serve uno spontaneismo diverso, capace di guidare democraticamente il comparto, capace di produrre riforme che lo rilancino. La storia ci fornisce un modello: i fasci siciliani. Forse è venuto il momento di attualizzare quell'esperienza di riscatto civile, sociale ed economico. Naturalmente rivendendola, adeguandola e correggendola ... per evitare certi errori.

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