La
domenica mattina, soprattutto ora che è inizio estate, è bello
alzarsi presto per andare a prendere il caffè in uno dei bar di
fronte
al mare di
Scoglitti. Forse
sarà un caso, ma
di
prima mattina,
nei bar, si incontrano sempre le persone più
schive
ma
vere,
quelle che ti salutano per il piacere di salutarti e con cui è
sempre gradevole fermarsi per
scambiare qualche parola. Il
quotidiano locale, acquistato pochi minuti prima dal titolare
dell’esercizio, giace immacolato sul bancone e chi lo prende
sfoglia i tomi con delicatezza, proprio ad evitare che si stropiccino
le pagine.
Domenica
scorsa subito dopo l’alba ho rinnovato il rito settimanale.
Mentre a casa tutti dormivano mi sono alzato e
in silenzio mi sono preparato per uscire in bici. Pedalando lungo la
riviera apprezzavo la calma di
quell’ora e
la
bellezza dei nostri arenili.
Nelle vicinanze del porto il
profumo della pasta sfoglia
dei cornetti appena sfornati aveva saturato l’aria di
quella zona. Entro al bar e ordino il mio caffè. Seduto in angolo
c’è “Nino u piscaturi” (il
nome è di
fantasia, la
professione no)
che sfoglia il quotidiano con attenzione. Lui non mi ha ancora visto.
Intanto il caffè
mi viene servito, bevo l’acqua, verso un po di zucchero nella
tazzina, prendo il cucchiaino e lo intingo nelle crema per mescolare
lo zucchero. Il leggero tintinnio che crea quel gesto distrae Nino
dalla lettura, si gira verso di me ed esclama:
-
Ah tu sei!! ... Minchia
di casino che tieni con quel cucchiaino … pensavo
che stamattina manco ti facessi vedere.
Lo
salutai, mentre cominciavo a sorseggiare il caffè mi avvicinai a
lui. Ero curioso di vedere cosa stava leggendo.
-
Chi porta u giurnali Ninu’?
La sua risposta fu secca:
-
E chi po’ purtare, MINCHIATE!
Allungai
l’occhio per vedere meglio su quale pagina del quotidiano si era
soffermata la sua attenzione. Vidi la foto di una nave militare, accanto ad essa un gommone mezzo sgonfio carico di persone.
-
Immigrati! ... Ninù, è l’argomento del momento. Non si parla d’altro
che di questi disperati che sperano di arrivare da noi.
-NO!! Non si parla mai dei tantissimi che non arriveranno mai. MAI!!
La
durezza
della sua
risposta mi incuriosì:
-In
che senso Ninù?
-Nel
senso che la costa libica e lunga quasi 2000 km, la costa tunisina
1200 Km, e questi disperati non partono solo da un punto. Ogni giorno
partono diversi gommoni, da più zone, e molti di questi non arrivano neanche
a vederle le coste di Malta o della Sicilia.
-
Cioè, mi stai dicendo
che secondo te i morti in mare sono molti di più di quelli che ci
raccontano i giornali e telegiornali?
-Ti
sto dicendo che quando andiamo a pescare al largo, di pesce ne
tiriamo su poco rispetto a prima. Però, tra le reti, rimane sempre
incagliato un
corpo
o
parti di un corpo umano.
La cosa che fa più impressione è il rumore che fa quella
“cosa”
nera
e gonfia
d’acqua quando sbatte sullo
scafo. Hai presente il rumore che facevano “i papacci ... le minchie di mare” quando da
piccoli li predavamo e li facevamo saltare, con un gesto veloce
delle mani, dall’acqua al bagnasciuga? Quel “bloff” ... che per
certi versi ci faceva anche ridere? Ecco, quello è il rumore che
fanno i morti annegati. Tiriamo su pezzi di uomini, di donne, di
bambini … e mentre cerchiamo di liberarli dalla rete gli arti si
scollano ... e poi quel bloff che è peggio di un pugno sullo stomaco. Dopo sai che facciamo? Ributtiamo
... piangendo e vomitando ... tutto in mare ... come se fosse
spazzatura impigliata alle reti. Questo “schifo di tragedia” la
compiamo noi ma anche i
pescatori di
Licata e
ancora di più quelli di
Mazara del
Vallo
… da quasi vent’anni. VENT’ANNI!
Ascoltai quella storia rimanendo immobile e la cosa che mi fece più impressione era come Nino me la raccontava. Nelle sue parole c'era un rabbia sorda, ma soprattutto una freddezza impressionante. Era come se la sua coscienza fosse atrofizzata dall’abitudine di pescare corpi morti in mezzo al mare.
Pagai
la mia consumazione, salutai il gestore del bar, abbracciai Nino il
quale mi disse: “scenziato, se non muori ci vediamo la settimana
prossima”. Salì
sulla bicicletta e mi incamminai verso casa pensando al “bloff …
dei papacci”.
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