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domenica 1 settembre 2024

Crisi Idrica: la siccità avanza, la desertificazione procede, le soluzioni...


Foto tratta da Google Immagini

Molto caldo, poca pioggia, il clima cambia...e la siccità avanza. E' la sintesi di cosa è stata questa estate e più in generale quest'anno, soprattutto nella nostra provincia. Tutto questo non si è manifestato ora. E' da oltre venti anni che questa terra vive uno stato di "arsura". Se poi si va a vedere il sito del SIAS (Servizio Informativo Agrometereologico Siciliano) (http://www.sias.regione.sicilia.it/frameset_news_96.htm) e si guardano i vari diagrammi pubblicati si capisce chiaramente cosa è accaduto e cosa sta accadendo in Sicilia. Accanto ai dati regionali vi è poi la specificità del nostro territorio. La provincia di Ragusa negli ultimi anni presenta una piovosità media annua che supera di poco i 500 mm, il dato è inferiore del 20% rispetto alla media regionale. Le aree caratterizzate da basse precipitazioni sono tutte ubicate nella zona costiera tra Scicli, Santa Croce Camerina e Acate con un valore medio annuo di 436 mm. Tanto per  farci un'idea: nelle zone desertiche cadono in media 200/250 mm di pioggia l'anno. Alla scarsa piovosità si è aggiunto un lento ma continuo aumento delle temperature medie. Il sito https://www.meteoblue.com/it/climate-change/ragusa_italia_2523650 ha analizzato le temperature medie degli ultimi 44 anni (1979-2023), in quest'arco di tempo si è determinato un aumento delle temperature medie di circa 2°. Queste condizioni sono la causa dell'avvio alla desertificazione del nostro territorio. Infatti, osservando la Carta della vulnerabilità alla desertificazione redatta dalla Regione Siciliana si può notare come circa il 50% dell'area iblea presenta un rischio desertificazione molto alto.  Lungo la fascia costiera il rischio è elevato. 

Tutto ciò sta seriamente compromettendo la condizione dei nostri fiumi e dei nostri invasi. Pochi giorni fa Alessia Gambuzza, responsabile di Legambiente agricoltura Sicilia, su ragusaoggi.it dichiarava:Ad aprile il livello dell’acqua nella diga di Santa Rosalia, che rifornisce campagne e città, si collocava sette metri sotto lo sfioro, un dato assolutamente eccezionale. Oggi l’Irminio, principale corso d’acqua del Sud Est e che alimenta la diga, in alcuni tratti del suo corso appare privo del deflusso minimo vitale”. Anche le condizioni dell'Ippari sono preoccupanti, addirittura alcuni tratti sono secchi da tempo. Infine, per non farci mancare nulla,  la nostra rete idrica è un colabrodo. Da uno studio della CGIA di Mestre si apprende che in provincia di Ragusa si disperde  il 46,5 % di "oro blu".
Riepilogando: Dighe quasi prosciugate, bacini fluviali in difficoltà, riserve d'acqua scarse, reti idriche colabrodo e dati  meteo che ci indicano la lenta ma inesorabile  desertificazione del territorio. Tutto questo sta avvenendo in una zona densamente popolata la cuij hu economia è legata all'agricoltura e  alla zootecnia. Un dato su tutti: l'attuale crisi idrica ha ridotto del 50% la nostra produzione olivicola. Queste difficoltà dovrebbero creare l'insonnia alla nostra classe dirigente. Invece? Invece dorme sonni tranquilli, si sente rassicurata da una grande scoperta:  la recente individuazione, da parte dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, di un ampio corpo idrico sotto i Monti Iblei https://www.nature.com/articles/s43247-023-01077-w. Si è aperta subito la caccia a come emungere, sfruttare, questa enorme massa d'acqua senza capire che caratteristiche ha quest'acqua e senza valutare i costi di questa sottrazione. 
Ho  chiesto al dott. Mario Mattia,  ricercatore dell'INGV, di spiegare in modo semplice il senso della ricerca e le eventuali difficoltà  sul probabile sfruttamento di questo importante corpo idrico. Di seguito allego la sua nota.
"Il recente articolo intitolato "Extensive freshened groundwater resources emplaced during the Messinian sea-level drawdown in southern Sicily, Italy," scritto da un gruppo di ricercatori dell’INGV, dell’Università Roma Tre e dell’Università di Malta e pubblicato sulla rivista ‘Communications Earth & Environment’ ha “agitato le acque” (è il caso di dirlo) dell’opinione pubblica e della politica siciliana in questa estate all’insegna della crisi idrica che sta martellando quasi tutta l’isola. In estrema sintesi, i ricercatori affermano che nelle profondità dell’Altopiano Ibleo esiste un cospicuo “reservoir” (serbatoio) profondo di acqua, frutto della dinamica geologica recente (tra 5 e 7 milioni di anni fa) e mai sfruttato. I dati utilizzati per definire le dimensioni e la distribuzione tridimensionale di questo serbatoio provengono da diverse campagne di prospezione (pozzi) trivellati negli ultimi 50 anni da compagnie interessate a giacimenti di petrolio e gas sia in territorio siciliano che nei mari prospicienti l’isola. Al di là dei dettagli tecnici e del modello interpretativo sull’origine di questa grande massa d’acqua che appaiono ancora piuttosto speculativi, il dibattito si è subito aperto sulla possibilità di utilizzare quest’acqua per risolvere l’eterno problema della carenza idrica siciliana. A questa ipotesi è possibile opporre alcune considerazioni: 
1 il serbatoio, nella sua parte più alta, è profondo circa 700 metri (Licodia) e dunque le tecniche di perforazione necessarie per raggiungerlo appartengono più al campo petrolifero che a quello tradizionale dei pozzi idrici; 
2 i costi per il sollevamento dell’acqua (energia per i motori) sarebbero notevoli; 
3 non abbiamo certezze sulla salinità di queste acque. Ove si trattasse di acqua non potabile, sarebbe necessario mischiarla con acqua dolce, riproponendo il tema della scarsità della risorsa; 
4 è un serbatoio che non ha rialimentazione, quindi destinato ad esaurirsi. 
Un approccio razionale e non emotivo al problema, dunque, impone una seria riflessione sull’enorme investimento che una campagna di perforazione ed estrazione comporterebbe, senza considerare il fatto che se uno dei motivi principali della carenza d’acqua in Sicilia è lo stato delle condotte, questo investimento risolverebbe poco o niente. L’idea che, da ricercatori, ci siamo fatti è che si cerchi, ancora una volta, una soluzione “miracolistica” ad un problema che ha invece soluzioni possibili senza voli pindarici e rischiosi. Riuscirà il populismo imperante a non abbracciare questa ricerca (di per sé meritevole e ben fatta) ed a farne una bandiera politica da sventolare in occasione di elezioni e relative interviste e dibattiti sui giornali e nelle TV? Vedremo."
Parole chiare che dovrebbero far riflettere e che danno anche un'indicazione importante: riqualificare lo stato delle nostre condotte idriche per evitare di continuare a disperdere acqua. I soldi, tra Fondo di sviluppo e Coesione 2021-2027 e PNRR, ci sono e sono pure tanti ma le perdite continuano. Perchè?
Le politiche sull’acqua che si sono imposte negli ultimi anni sono influenzate dalle società multinazionali e rispondono a logiche di mercificazione e di privatizzazione. La Sicilia non è esente da questa logica neoliberale tant'è che nel 2004 è nata Siciliacque spa una società mista partecipata al 75% da Idrosicilia, controllata da Italgas spa, e al 25% dalla Regione Siciliana.  Dal 2004 ad oggi Siciliacque ha investito oltre 250 milioni di euro sull'infrastruttura idrica regionale, gran parte dell’impegno totale previsto dalla concessione stipulata con la Regione Siciliana, ma i risultati, viste le attuali condizioni,  non sono brillanti.  Personalmente penso che il problema stia tutto in un concetto: l’acqua non viene più considerata un bene pubblico ma una merce nelle mani di pochi grandi gruppi industriali che agiscono perseguendo la massimizzazione dei profitti utilizzando fondi pubblici. Questa logica si è imposta fino ad annichilire una condizione che era certa e indiscutibile, cioè che l’accesso all’acqua è un diritto che dev’essere garantito a tutti, in base a una considerazione che dovrebbe essere ovvia ma non lo è più. L’acqua non è un bene economico qualsiasi ma una fonte di vita e la vita dev’essere assicurata a tutti, fa parte di quei diritti inalienabili e immercificabili che ognuno acquisisce nascendo. 

La mercificazione dell'acqua sta avvenendo mentre la risorsa è sempre più scarsa. Questo ha riaperto vecchi canali che sembravano oramai fuori uso. Le economie mafiose hanno fiutato l'affare, le somme in ballo sono tante e l’acqua è da sempre uno dei settori su cui i gruppi mafiosi hanno, in ogni tempo, esercitato il loro dominio. Come scrive Umberto Santino: "...i gruppi criminali agiscono all’interno di un sistema di relazioni, hanno rapporti con il contesto sociale, con l’economia, la politica e le istituzioni, le attività delittuose sono intrecciate con attività legali e perseguono fini di arricchimento e di potere".  E' ovvio per tanto che le mafie, forti delle loro relazioni e approfittando dell'opportunità dalla crisi idrica hanno rivolto particolare attenzione  all’acqua.  E' chiaro che bisogna opporsi a questa logica, bisogna riprendere una battaglia che fu del movimento contadino, ovviamente con nuove articolazioni, promuovendo da un lato politiche di autogoverno dell'acqua nel territorio e dall'altro impegnare parlamenti, associazioni di categoria,   intellettuali,   media e i sindacati contro la mercificazione di un bene che non a caso è chiamano "oro blu". 






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