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sabato 8 giugno 2019

LA PUZZA DI UN COMPROMESSO CHE NESSUNO SENTE



Cosa sono oggi le mafie e come, invece, vengono ancora percepite da certi organi inquirenti?

Più volte in questo mio piccolo spazio telematico ho provato (non so se bene o male) a descrivere come la criminalità mafiosa di questo pezzo di Sicilia sia diventata impresa. Quello che ho scritto in questi anni non è frutto esclusivo di mie analisi, ma in buonissima parte viene fuori da ciò che mi è stato raccontato da diversi operatori economici che hanno visto come le mafie locali sono diventate economie criminali. Basta saper ascoltare il territorio, mettersi in frequenza con esso, e lui ti sa raccontare cosa succede.

Leggendo le ultime tre Relazioni semestrali (2017 e 2018) della Direzione Investigativa Antimafia - in particolare il breve capitolo che riguarda la provincia di Ragusa – pare che tutto sia rimasto come trent’anni fa. Sarà una mia impressione ma pare che per la DIA vi sia una sorta di pace armata tra le bande criminali della stidda e quelle della mafia. Inoltre, emerge una visone del racket ferma a come lo abbiamo conosciuto negli anni ‘80, cioè l’estorsione intimidatoria e violenta ai danni delle attività professionali ed economica del territorio. Mi dispiace dirlo ma è un'ipotesi investigativa datata, oramai fuori dal tempo. Invece, sempre nelle relazioni, emerge in modo molto blando, nelle note a piè di pagina, il fatto che le mafie siano diventate imprese ben capitalizzate grazie soprattutto ai proventi della droga.

Forse, per capire meglio certe evoluzioni, oltre a sentire il territoro, bisognerebbe mettere insieme alcuni fatti di cronaca. Per esempio: le ultime operazioni fatte dalla Guardia di Finanza ci raccontano di ingenti sequestri di imprese e di beni mobili e immobili effettuati negli ultimi mesi. 15 Giugno 2018, 45 milioni sequestrati ad un “cartello mafioso” (https://palermo.repubblica.it/cronaca/2018/06/15/news/catania_sequestro_da_45_milioni_per_un_cartello_mafioso_di_imprese_-199052921/), il 28/01/2019 un sequestro di beni di 35 milioni di euro (https://meridionews.it/articolo/78001/mafia-confisca-da-25-milioni-a-rosario-dagosta-il-re-delle-macchinette-truccate-legato-ai-clan/), il 23 maggio scorso, 25 milioni euro sequestrati ad “un esponente di cosa nostra” (https://meridionews.it/articolo/78001/mafia-confisca-da-25-milioni-a-rosario-dagosta-il-re-delle-macchinette-truccate-legato-ai-clan/).
In meno di un anno 105 milioni di euro (una somma in grado di sanare il bilancio del nostro comune) sono stati requisiti a tre soggetti. Tre persone che non hanno una spiccata formazione economico-imprenditoriale ma gestivano attività e capitali di una certa dimensione. La domanda che pongo è: ma erano loro a gestire imprese e capitali così cospicui oppure erano guidati da professionisti? La risposta me la sono data da solo: in una società caratterizzata da tempo da un’enorme incertezza economica, “certa imprenditoria” - carica di capitali da reinvestire - senza la collaborazioni del mondo delle professioni e del sistema bancario non riuscirebbe tecnicamente a stare in piedi. Grazie a questa forme di collaborazione le mafie iblee sono diventate un potente agente di contaminazione sia delle economie locali e sia delle dinamiche sociali e politiche del nostro territorio. Davanti a questa nuova condizione (in continua evoluzione) gli organi inquirenti pensano ancora a contrastare un racket che, così come lo abbiamo conosciuto, non esiste più e per questo pare che critichino pure le associazioni antiracket accusandole di essere poco incisive. Ma io mi chiedo: si può ignorare il fatto che le mafie di questa terra sono entrate nei salotti di certa “società civile”, diventata borghesia mafiosa, che si è messa a disposizione a titolo molto oneroso, costruendo modelli di impresa buoni per far veicolare capitali, altrimenti inutilizzabili, tramite operazioni attuabili mediante conoscenze che i “padrini imprenditori” non posseggono? 
Si può rimanere ancorati al contrasto della criminalità e sorvolare sul fatto che le mafie sono diventate sempre più forti nei quartieri periferici (aree oramai culturalmente e strutturalmente desertificate) dove la criminalità organizzata oramai è l’unica agenzie educativa? Ma lo Stato c'è o ci fa? 

Le mafie iblee hanno cambiato pelle, non sono più “fotografabili”, individuabili come negli anni 80/90. Capisco la difficoltà degli organi inquirenti: sono stati bravi a contrastare e debellare quella criminalità cafona, spocchiosa e violenta che ha dominato nel passato. Ma devono rassegnarsi, quel modello criminale non esiste più. Oggi le mafie sono diventate altro, si sono affinate, si sono mischiate, si sono interconnesse, sono diventate “protagoniste di processi di modernizzazione”, si sono istituzionalizzate, sono diventate un soggetto di potere con cui è conveniente convivere. Per smascherarle servirebbe una nuova consapevolezza, servirebbe capire cosa succede in molti studi professionali di questa terra, servirebbe capire cosa succede nelle banche ragusane. Per fare questo non serve più Polizia, più Carabinieri o l’Esercito. NO! Servono più ispettori dell’Agenzie delle Entrate e della Banca d’Italia per avviare finalmente certe verifiche.  Ma in nome della riduzione della spesa la prima è stata ridimensionata e la seconda è stata chiusa. 

Ecco, in nome della "spendig review" i miasmi creati dal compromesso tra mafie e colletti bianchi hanno perso ogni fetore,sono diventati ossigeno, scalzando la fragranza della realtà.


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