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sabato 12 novembre 2016

Cancro, malattia sociale


Un altro amico si è ammalato di cancro. Con gli occhi gonfi di rabbia e voce rassegnata mi ha annunciato: “Giò, ho il tumore”. Così mi a detto. Come se il cancro fosse qualcosa che uno possiede. Come se Dio, i Santi, la Madonna, Gesù Cristo una mattina si alzano, si riuniscono e decidono di farti diventare proprietario di questa malattia. No, non sono loro che decidono, è ciò che respiriamo, mangiamo, spesso è anche il tipo di lavoro che facciamo che determina il tumore. Il cancro non si possiede, è il frutto dell'alterazione ambientale (nel senso più ampio possibile del termine) di un territorio. Il fatto stesso che si pronunci la frase: “ho il cancro”. significa che si ha scarsissima considerazione dei fattori ambientali. E' come se il cancro cresce, si sviluppa e fiorisce al tuo interno solo perché già ne possiedi i semi. Non solo, quando viene diagnosticato scatta il silenzio ipocrita. Non si deve sapere in giro che quella persona è malata. Come se il silenzio divorasse la malattia. E poi quando purtroppo si muore, non si muore per il cancro, no, si muore di “malattia incurabile”. Fino alla fine si fa finta di ignoralo. Tutti atteggiamenti che si sono consolidati nel tempo e ci hanno portato a sottostimare cosa mangiamo o a sottovalutare le condizioni dell'ambiente in cui viviamo, lavoriamo e passiamo il nostro tempo libero. Ignoriamo con naturalezza l'evidenza delle cause e degli effetti di questo degrado. All'omertà classica abbiamo affiancato l'omertà ambientale-oncologica. Bisogna cominciare a fracassare questo atteggiamento, questa quiete dolorosa e tragica, magari aprendo una interlocuzione sociale. Raccontare il malessere significa evidenziare i danni del nostro territorio e quindi sensibilizzare le istituzioni preposte ad avviare politiche di riqualificazione e risanamento. Siamo capaci di farlo? Oppure vogliamo essere i prossimi "ha possedere un cancro"?

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